L’antichissima frequentazione italica dei luoghi appenninici ci ha lasciato molte e preziose attestazioni archeologiche e architettoniche, oltre che una ricca tradizione che ha saputo adattarsi al mutare dei costumi, sopravvivendo in forma modificata fino ai giorni nostri.
Testimonianze lampanti di questo fenomeno le troviamo in campo religioso: le popolazioni italiche che hanno abitato le nostre terre in tempi antichi hanno lasciato tracce indelebili e oggi siamo in grado di coglierne gli accenni, sia nei culti, sia nelle evidenze urbanistico/architettoniche.
Un esempio è la devozione italico romana per Diana Trivia, nel corso dei secoli sincreticamente adattata nella religione cattolica: lo dimostra la storia dell’attuale chiesa di s. Maria del Tricalle a Chieti, eretta sulle fondamenta di un precedente tempio italico dedicato proprio a questa divinità.
Ma chi era Diana Trivia?
Nelle fonti documentali antiche ne troviamo copiosa traccia.
Divinità italico romana, signora delle selve e dei boschi, custode degli animali, delle fonti e dei torrenti, Diana Trivia è considerata anche protettrice delle donne, a cui assicura parti non dolorosi, oltre che dispensatrice di sovranità.
Ne canta Virgilio nel libro VI dell’Eneide citando il bosco sacro di Cuma.
Grazie a Catone il Censore (Origines) sappiamo che il culto di Diana era molto radicato in Lazio intorno ad Ariccia, sui Colli Albani. Qui, presso il lago di Nemi, sorgeva sin dall’epoca latina un importantissimo santuario, circondato da un bosco sacro, santuario che fu meta di culti e pellegrinaggi per secoli, tanto che venne tenuto in grande considerazione anche dall’imperatore Caligola.
Altrettanto importante era il santuario fondato da Servio Tullio sull’Aventino, mentre altri sacelli minori sorgevano in tutto il Lazio, in Campania, in Umbria e in Abruzzo.
Spesso tuttavia si è ipotizzata la derivazione diretta della Diana italico romana dalla greca Artemide, con la quale presenta più di un tratto in comune, ma è accertato che la fusione tra le due figure avvenne solo in un secondo momento, nel corso del primo secolo avanti l’era comune, quando a Roma iniziò cioè il processo di sincretizzazione con più famose divinità femminili orientali.
Secondo il mito greco più noto, Diana è sorella di Apollo e figlia di Giove e Latona. Viene descritta come una giovane vergine abilissima nella caccia, vendicativa e solitaria. Votata alla castità, si dimostrava protettiva solo verso chi prometteva di mantenere la propria verginità e affidarsi a lei.
Fu il filosofo Nigidio Figulo a legare l’appellativo Trivia all’aspetto lunare di Diana. Interpretazioni più estensive lo collegano poi alla sua triplice natura, di divinità cosmica/Selene/Luna, di divinità terrestre/Artemide e di divinità infernale/Ecate/ Proserpina/Libera/Persefone/Kore.
In quanto associata ad Ecate, Diana Trivia è una divinità psicopompa, ossia in grado di viaggiare tra il mondo degli dei, il regno degli uomini e quello dei defunti. Spesso è raffigurata con una torcia in mano, in quanto accompagnatrice dei vivi nel regno dei morti; proprio da Ecate/Trivia la Sibilla Cumana, a lei consacrata, traeva anche la capacità di offrire responsi.
La radice del nome Diana viene fatto derivare da dius, “della luce” e in particolare alla forma arcaica divios. Secondo tale derivazione il nome arcaico della divinità sarebbe stato Diviana e il riferimento alla luce sarebbe a quella che filtra dall’alto nei boschi e non a quella lunare poiché, come abbiamo visto, l’associazione della dea con la luna è piuttosto tarda.
E torniamo allora alla chiesa di s. Maria del Tricalle, oggi sconsacrata, primo esempio di pianta ottagonale in Abruzzo dedicata al culto di Maria vergine, che intreccia la sua storia con l’antico culto pagano. Sono infatti diverse le fonti che attestano come, in origine in loco, vi fosse un tempio di Diana Trivia.
Innanzitutto, l’autore teatino Lucio Camarra, vissuto a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, che inserisce proprio Diana tra le divinità venerate a Chieti.
Al pari, lo storico del XVIII secolo Giuseppe Maria Allegranza, nel corso del suo studio sulle antichità teatine, attestò per la chiesa la presenza di quattro antiche basi marmoree, riconducibili a una preesistenza templare romana.
L’attuale edificio, che ci è attestato solo dal 1317, nella sua attuale pianta ottagonale non contraddice, anzi corrobora, l’ipotesi di una preesistente Aedes rotonda, tipica dei sacelli templari pagani dedicati a divinità femminili.
Inoltre, la chiesa possedeva un porticato che ne circondava il corpo centrale (scomparso dopo un restauro del 1879), anch’esso fonte di rimandi all’architettura templare romana.
Della costruzione trecentesca si conservano oggi solo la pianta ottagonale, il portale ogivale in cotto e alcuni resti del portico, a testimonianza del ruolo svolto da questo edificio nello sviluppo degli impianti centrici in Abruzzo, di cui fu il capostipite.
Circa il nome odierno, s. Maria del Tricalle, esistono due ipotesi.
La prima associa Tricalle, toponimo del popoloso quartiere cittadino di Chieti in cui è integrata oggi la chiesetta, all’origine geografica, ossia Tricaglio, (da “a tribus callis”) poiché la costruzione sorgeva appunto presso un trivio di strade, lì dove si incontrano tre colline.
L’altra ipotesi fa derivare direttamente il nome dall’appellativo Trivia, in quanto divinità protettrice (anche) degli incroci stradali.
Ambedue le teorie, con tutta evidenza, si compenetrano e si sostengono a vicenda.
Infine, un’ultima suggestione: la funzione di Diana di custodire le fonti e la sua tutela nei confronti delle partorienti, affinché non soffrano nel dar luce ai figli, lega la divinità ad antichissimi riti propiziatori, in uso in Abruzzo sino ai primi del Novecento, che si svolgevano presso le fonti ritenute sacre. Non a caso presso s. Maria del Tricalle c’è una antica fonte d’acqua, in dialetto teatino la “fontiuccia” (oggi abbandonata), ove in remoto avveniva la pratica ciclica dell’ablutio attraverso la quale le giovani donne del posto bagnavano i seni sotto l’acqua sorgiva per propiziarsi la fertilità.
Oggi la chiesetta, tutelata da un accordo tra la Soprintendenza di Chieti e Pescara e il Fai di Chieti, è visitabile su richiesta.
Cristiano Vignali