L’appartenenza dei Latini alla stirpe indoeuropea è indiscussa. Tuttavia ancor oggi la questione della terra originaria degli indoeuropei è aperta. Nella breve storia dalle prime teorie linguistiche ad oggi, si sono affacciate spiegazioni che spesso, anche se superate dalla stessa scienza che le aveva generate, continuano ad avere seguaci, come se si trattasse di una sorta di verità assoluta. In realtà stiamo parlando di una mitologia moderna, completamente sconosciuta nel mondo antico e non appartenente all’insieme di pratiche che costituiscono la Religio. Una mitologia che inoltre è in netto contrasto con lo spirito della scienza che le ha generate, che non si piega all’ideologia ma prosegue con teorie da essere confermate o confutate seguendo la giusta metodologia.
Con l’illusione di scrivere un articolo divulgativo, mi accingo a compilare un breve resoconto delle teorie che hanno goduto del maggior successo nella breve storia della ricerca indoeuropea.
Teorie superate
La teoria indiana
La prima teoria sull’origine indoeuropea non risale ad Erodoto, né a Tito Livio e nemmeno a qualche sconosciuto autore del mondo tardo-antico. Infatti, soltanto nel XIX secolo la linguistica si rese conto dell’esistenza di un legame tra la maggior parte delle lingue europee ed alcune lingue asiatiche. Allora si pensò alla possibilità che le lingue imparentate fossero evolute dal medesimo ceppo, ossia s’immaginò l’esistenza in tempi antichissimi di un unico popolo e di una patria d’origine, conosciuta con il termine tedesco di Urheimat.
Questo risultato rivoluzionario della linguistica sembrò dettare le linee guida della ricerca archeologica, per trovare le evidenze di questo legame, tuttavia la collaborazione deluse le entusiastiche aspettative dei primi tempi. L’archeologia infatti studia reperti ma generalmente non è in grado di illuminarci sull’etnia delle genti che hanno lasciato le loro tracce. La linguistica invece riesce a definire l’origine di una parola, di un testo scritto o della toponomastica, trovando legami di sviluppo e relazioni etniche, ma non sa offrire un legame con la cultura dove la lingua era parlata e non riesce a fornire una cronologia.
Come ogni scoperta che si rispetti, anche l’ipotesi indoeuropea si è potuta postulare grazie a piccoli ma significativi passi preparatori. Nel 1790 Paulinus a Sancto Batholomeo pubblicò la prima grammatica sanscrita in una lingua occidentale, ossia in latino, tuttavia si trattava di un testo non chiaro.
La prima opera veramente utile agli eruditi del tempo fu pubblicata nel 1805 e aiutò a confermare alcune osservazioni fatte da viaggiatori eruditi che fin dal XVI secolo avevano notato una certa affinità tra sanscrito, latino e greco. Non deve quindi sorprendere che la prima teoria con una certa fortuna fu quella dell’origine sanscrita delle lingue indoeuropee. Proprio in quel tempo fu coniato il termine indo-europeo, un termine che abbiamo ricevuto in eredità, pur essendo la sua teoria completamente superata, in quando la propagazione delle lingue indoeuropee va ben oltre la polarità indiana ed europea. Questo è il primo esempio di ipotesi linguistica morta e sepolta ma ancora erta a verità assoluta indiscutibile: mi è capitato di discutere con qualche guru indù che dopo quasi 150 anni propugna il sanscrito come madre di tutte le lingue e culture indoeuropee. Questa è stata la prima risposta ai quesiti della linguistica: il pansanscritismo, che andava in voga a metà del 1800. Tuttavia le ipotesi scientifiche sono valide solo fino a prova contraria. E la prova che negava la possibilità del primato sanscrito arrivò presto.
La svolta ittita
Nel 1834 Charles Textier scoprì presso l’odierna Boğaskale in Turchia i resti di un’antichissima metropoli antica. Nel 1880 Archibald Henry Sayce identificò il popolo che vi abitava con gli Hittim (Ittiti), citati dalle scritture ebraiche, e in seguito si capì che la città era Ḫattuša, la capitale del regno degli Ittiti. Si rivennero documenti scritti risalenti fin dal XX aev. Il problema era decifrare il linguaggio. L’ittita si scriveva in caratteri cuneiformi, un sistema di scrittura che era già stato decifrato per il sumero e l’accadico. Nonostante il sistema di scrittura fosse già noto, la decodificazione dell’ittita fu difficile. Considerata l’antichità dei reperti, si cercavano affinità con le altre lingue mesopotamiche, ma senza successo. Gli esperti di caratteri cuneiformi conoscevano solo le lingue mesopotamiche e non avevano gli strumenti della linguistica indoeuropea moderna. Inoltre, per lungo tempo non si prese neppure in considerazione la possibilità che si trattasse di una lingua indoeuropea, perché si escludeva la presenza di popolazioni indoeuropee nel posto fino al XII secolo aev, ossia ben otto secoli più tardi, quando risultava attestato l’arrivo del popolo frigio in seguito ad una migrazione attraverso i Balcani. Nel 1915 uno studioso di linguistica indoeuropea ceco, Bedřich Hrozný, per caso si trovò a studiare l’ittita e ne decifrò la prima frase usando la comparazione di altre lingue indoeuropee allora conosciute, identificando la desinenza accusativa –an (cfr. greco), la radice ad-/-eza per “mangiare” (cfr. latino edo) e vadar per “acqua” (cfr. inglese water) traducendo la frase rituale “Ora voi mangerete pane, poi berrete acqua”. I risultati dei suoi studi non furono accolti bene, quando furono pubblicati nel 1917, ma alla fine furono riconosciuti e si comprese che la questione indoeuropea non era risolta e si poteva escludere il sanscrito come origine della lingua indoeuropea originaria e l’India come Urheimat.
La teoria siberiana, la terra degli Arya
I giochi dunque si riaprirono. Ricordando che anche l’iraniano è una lingua indoeuropea, furono presi in considerazione i testi del zoroastrismo, gli Avesta, dove si menziona Airyanəm Vaējah, la pianura degli Arya, in qualche luogo della Siberia settentrionale, da cui avrebbe avuto origine il popolo iraniano. Etimologicamente Iran deriva appunto da Arya. Nella lingua persiana Arya era la designazione dell’insieme dei popoli dominanti dell’Impero Persiano.
La teoria artica
Uno studioso indiano, Bal Ganandar Tilak, rielaborando le nozioni geografiche dei Veda e dell’Avesta e del Bundahishn, collocava il Airyanəm Vaējah al Circolo Polare Artico, sulla base del seguente testo: “Io, Ahura Mazdā, creai come la prima e migliore regione, l’Airyanam Vaĕjō, o creazione buona. Allora, Angra Mainyu, il distruttore, in opposizione ad esso formò un grosso serpente e l’inverno (o neve), creazione dei Daevas. Ci sono questi dieci mesi di inverno e due di estate.” Inoltre descriveva un’epoca in cui il sole sorgeva a sud e le stelle non sorgevano né tramontavano, ma si muovevano in circolo. Se dovessimo considerare la descrizione alla lettera, tale regione non esisterebbe: ai poli l’estate dura sei mesi, esattamente come l’inverno, ed il sole può sorgere in ogni punto dell’orizzonte a seconda del periodo dell’anno, ma se interpretiamo i dieci mesi di inverno semplicemente come “periodo freddo” e soprattutto consideriamo il moto circumpolare delle stelle, allora è facile accettare l’origine degli Arya come le regioni artiche, o della penisola scandinava o della Russia.
La teoria lituana
Alla fine dell’Ottocento si fecero alcune scoperte che provavano la presenza di culture in Europa in tempi molto antichi, e quindi si cominciò a considerare la possibilità di una Urheimat europea, con una propagazione dei popoli indoeuropei verso sud e verso est. Nel 1878 Theodor Poesche, ricercando argomenti in favore dell’origine europea, aggiunse il fatto che gli storici greci e latini spesso avevano rilevato che le genti indoeuropee con le quali erano entrati in contatto, principalmente celti e germani, erano bionde. I crani trovati negli scavi archeologici degli insediamenti di questi popoli appaiono dolicocefali. Con il suo ragionamento giunse ad affermare che il Baltico era la culla originaria e il Lituano la lingua indoeuropea originaria o comunque più affine all’origine. Anche questa è una teoria che continua ad avere un discreto successo in certi ambienti, pur non essendo più scientificamente giustificata. In realtà si ripeteva concettualmente lo stesso errore del pansanscritismo, considerando come terra d’origine quella dove si parlava la lingua più arcaica. Da qui si immaginò i Lituani come “puri” indoeuropei, rispetto agli altri popoli più o meno imbastarditi.
La teoria ariana
Karl Penka seguì la definizione di indoeuropeo come biondo dolicocefalo con gli occhi azzurri, ma notò che i Lituani sono brachicefali piuttosto che dolicocefali, da cui dedusse che essi non potevano essere veri ariani. Il termine “ariano” fu introdotto per la prima volta da Friedrich Max Müller nella sua opera “Lezioni sulla scienza del linguaggio” del 1861 e cominciò ad essere usato come sinonimo di indoeuropeo originario. Viene da sé che in realtà non abbiamo idea di come gli antichi Indoeuropei si chiamassero: la ricostruzione del termine “ariano” si basa su pochi elementi discutibili. Nacque così la mitologia moderna dell’ariano come razza pura.
Principali teorie odierne
La teoria Kurgan e la teoria Yamna
L’archeologia ha fatto enormi passi in avanti non solo con nuovi scavi, ma anche con nuove tecnologie. Per esempio il metodo di datazione con il Carbonio 14, che è valso il premio nobel al suo inventore Willard Frank Libby, ha permesso di datare con precisione i reperti archeologici di origine organica. La genetica, che si è sviluppata solo nella seconda metà del secolo scorso, ha aperto nuove prospettive sulle relazioni tra i popoli. La linguistica stessa si è arricchita con nuove idee, aggiungendo altre lingue alla famiglia indoeuropea e avanzando sulla formazione delle lingue, la dialettologia.
Prima di riprendere il discorso dell’Urheimat, ripassiamo i punti accettati generalmente da tutti gli studiosi. Immaginando la famiglia indoeuropea non come un albero, ma come un fiume in piena che si divide in vari bracci e canali, si identifica un ramo anatolico, a cui appartenevano gli Ittiti, i Luvi, i Lici, ed altri, che si è reso autonomo attorno al IV millennio aev. Un’altro ramo, un po’ meno antico, è quello indo-iranico. Si pensa che l’armeno, il frigio e il greco derivino da un comune fattore indoeuropeo del III millennio aev. Per le altre famiglie indoeuropee il quadro diventa più complesso: per quello che ci riguarda si vede una certa vicinanza tra le lingue celtiche e quelle italiche come il latino.
Studiando il vocabolario delle lingue indoeuropee, si trovano vocaboli come: faggio, cervo, alce, salmone, lupo e cane. Questo indicherebbe un’origine tra l’Elba e il Danubio, il Volga e e l’Ural.
Basandosi sulle nuove conoscenze, l’archeologa lituana Marija Gimbutas identificò la cultura dei Kurgan, apparsa nel V millenio aev in un arco a settentrione dell’area tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, con l’Urheimat da cui sono provenuti gli indoeuropei in varie ondate. David Anthony, con una ricerca sull’addomesticamento dei cavalli e la presenza dei carri, posticiperebbe le prime testimonianze indoeuropee alla cultura Yamna, nel 3500, nella stessa zona. Questo gruppo di teorie, vede gli indoeuropei come guerrieri e conquistatori che hanno sottomesso l’Europa cancellando le culture anteriori.
La teoria autoctona
Nel 1987 archeologo Colin Renfrew mise in sistematicamente in discussione il modello proposto dalla Gimbutas, partendo dalla diffusione dell’agricoltura dal medio oriente verso l’Europa nel neolitico con un lento processo iniziata del VII millennio, considerata sia da un genetista come Luigi Luca Cavalli Sforza. Il lavoro dei due archeologi Marcel Otte (1994, 1995), e Alexander Häusler (1998) e il linguista italiano Mario Alinei (1997, 2000a), in maniera indipendente, ha messo alla luce una nuova spiegazione dei dati archeologici, genetici e linguistici, secondo la quale gli Indoeuropei non sarebbero giunti in Europa in seguito ad un’invasione dalle steppe caucasiche, ma sarebbero eredi delle popolazioni autoctone Europee, quelle che risalivano all’arrivo originale dell’Homo Sapiens in Europa nel paleolitico medio. Di conseguenza, i primi coltivatori del Neolitico, provenienti dall’Asia occidentale sarebbero invece non-indoeuropee, e il loro contributo linguistico sarebbe stata l’introduzione di influenze non- indoeuropee sulle lingue indoeuropee autoctone. Il linguista spagnolo Francisco Villar invece sostiene una invasione indoeuropea lenta con assimilazione del sostrato delle popolazioni neolitiche (ipotesi descritta nel precedente articolo: “Indoeuropei, ma non solo”) .
Conclusione
Si è presentata una panoramica delle varie teorie sull’origine delle nostre genti. Si tratta di un tema affascinante che ci porta indietro alla notte dei tempi, all’alba della civiltà. Non esiste ancora una risposta certa, ma la passione con cui archeologi e linguisti cercano di scoprire frammenti di questo mosaico ancestrale è semplicemente meravigliosa. È appassionante ed incoraggiante vedere gli enormi progressi rispetto alle prime teorie, all’alba della linguistica indoeuropea. Resta la speranza di scoprire nuovi reperti ed inventare nuove tecnologie che possano aiutarci a comprendere qualcosa di più sul nostro passato.
Mario Basile
scripsit ad XI·K·IVN·MMDCCLXXIII