In geometria solida il dodecaedro è un poliedro con dodici facce. Se regolare, le facce sono pentagoni anch’essi regolari che si incontrano al vertice a gruppi di tre. Il dodecaedro regolare è uno dei cinque solidi platonici e, come gli altri solidi, è stato oggetto di reiterati studii da parte dei filosofi fin dall’antichità, tra tutti Pitagora e Platone. Tuttavia, le conoscenze sulle proprietà e sulle qualità associate a questo solido sono rimaste segrete.
Un dodecaedro tutto particolare è il cosiddetto dodecaedro romano, la cui comprensione è tutt’ora misteriosa.
Il dodecaedro romano è un artefatto in bronzo o in pietra presente oggi in diversi musei in Europa. Vanta caratteristiche uniche: ognuna delle dodici facce ha cinque lati e un foro di differente diametro; inoltre, su ogni faccia, agli angoli, ci sono piccole sfere, probabilmente d’appoggio. Le dimensioni variano dai quattro agli undici centimetri. La sua datazione: dal I al IV secolo.
Oltre 100 di questi strani artefatti sono stati trovati sparsi per l’Europa romana dove stanziavano le legioni, in Galles, in Ungheria, in Spagna, ma soprattutto in Belgio, in Francia e in Germania.
Diverse ipotesi sul suo utilizzo sono state avanzate da studiosi, anche se nessuna appare risolutiva. Tralasciando quelle di pura fantasia e quelle dal sapore ufologico vediamo le più convincenti.
Amelia Carolina Sparavigna, docente al Politecnico di Torino, lo ha descritto come un oggetto di misurazione delle distanze, per uso agricolo e militare, sviluppando quindi una ipotesi ingegneristica (https://arxiv.org/abs/1204.6497).
L’ingegnere britannico John Laad lo ha invece qualificato come uno strumento utilizzato per definire la geometria ottimale delle armi. Secondo questa complessa ipotesi, il dodecaedro veniva immerso in un fluido, al fine di migliorare la progettazione e la fabbricazione dei proiettili per le fionde dal momento che, grazie alla “spinta di Archimede”, i Romani erano in grado di determinare la deviazione della traiettoria dei proiettili
Sjra Wagemans, chimico ricercatore presso la DSM di Eindhoven (Olanda) lo definisce uno strumento calendariale per il calcolo pret-a-porter degli equinozi e solstizi. Nonostante la storia non ci narri di una grande passione dei Romani per i moti celesti, il dodecaedro secondo Wagemans sarebbe stato un oggetto legato al ciclo agricolo, sofisticato e semplice al tempo stesso, per consentire alle legioni di programmare, e godere sempre, di un buon raccolto. Wagemans ha usato un approccio sperimentale, testando il dispositivo per anni in diversi luoghi e latitudini.
Queste le tre descrizioni più accreditate.
Vorremmo però abbozzarne qui una ulteriore.
Prendiamo a modello il dodecaedro, completamente in bronzo, di Tongeren (Atuatuca Tungorum, Belgio), conservato in stato ottimale nel locale museo gallo romano. Osservandolo da vicino vedremo che si tratta di un oggetto per nulla semplice.
E’ infatti la riproduzione plastica di uno dei cinque noti solidi platonici; Platone, nel Timeo, aveva associato un solido a ogni elemento: dopo fuoco, terra, aria e acqua al dodecaedro fu assegnato l'”etere” o la “quintessenza” che componeva i corpi celesti e l’anima. Secondo il filosofo, infatti, il cosmo aveva la forma del dodecaedro.
Posta questa premessa filosofica, possiamo ora ipotizzare che il dodecaedro romano fosse un prezioso “dado magico” che nascondeva, dietro la sua semplice maneggevolezza, arcani simbolici universali?
Non sarà un caso che l’oggetto sia stato spesso rinvenuto sepolto insieme a monete e a tesori.
Abbiamo poi visto che è formato da dodici facce, le quali possono ben essere accostate sia ai dodici mesi dell’anno, sia ai dodici segni zodiacali.
Inoltre, i cinque lati del pentagono ricordano il V latino, che si accosta al triangolo del cuore (vedi immagine qui sotto). V anche come Veritas, come Venus e come Vita.
Il cinque e il dodici, come noto, sono due numeri cardine del linguaggio esoterico.
La circostanza aggiuntiva che i dodecaedri romani siano prevalentemente in metallo ci ricorda “la metallurgia celeste”, che facilita i collegamenti astronomici, quelli astrologici e financo quelli rituali.
Infine conosciamo bene la smisurata passione romana per il gioco dei dadi, in tutte le sue forme, dagli astragali in giù: addirittura si giocava ai dadi durante il rito dei Saturnalia, e ben sappiamo che, nei riti, le simbologie, i gesti e le parole svolgono una funzione decisiva.
Ci insegnano che nell’uomo, sin da bambino, l’attività ludica è il paradigma dell’iniziativa libera, senza costrizione, che tiene attiva la mente e riduce le tensioni. Questa attività può divenire una proficua palestra d’addestramento per l’età adulta: il gioco dunque, come quello dei dadi, è così funzionale allo sviluppo dell’apprendimento ed aiuta a perpetuare l’Ordine sociale (Cosmos).
E quale dado è mai più ricco di simbologia capacitante del dodecaedro romano?
Simone Codispoti e Marco Felli