Appunti di viaggio.
Il Viet Nam riesce ancora a sorprendere il viandante occidentale. Girandolo in lungo e in largo (è un serpentone come l’Italia) si lascia cogliere per le sue contraddizioni tra esplosione dell’economia ed evidenti sacche di povertà, per una età media della popolazione intorno ai 30 anni, per i suoi nugoli di motorini che sfrecciano ovunque senza regole, per la composta e sorridente dignità della popolazione, per la lingua in lettere latine e per un orgoglio – non sopito – d’aver sconfitto sul campo francesi e statunitensi (a carissimo prezzo) e di tenere a distanza la Cina.
Ma c’è anche un altro filo conduttore che lega tutto il paese, da Nord a Sud senza distinzioni, e questo è il culto degli Antenati.
Il Viet Nam, sulla carta, è uno dei paesi meno religiosi del mondo: non arriva al 30% della popolazione chi dichiara di professare una religione. La repubblica è uno stato ateo e il regime comunista, anche se ormai è un involucro secco, si fa ancora sentire nell’immaginario collettivo e sollecita prudenza; il dato è quindi sottostimato.
Le religioni però in Viet Nam, cosparso com’è di pagode e templi, hanno una lunga tradizione a partire proprio dal culto popolare, il quale è stato storicamente influenzato dal buddismo oltre che dal confucianesimo e dal taoismo cinesi – che però, più che religioni, sono corpi precettivi morali. Su 90 milioni di abitanti, 11 milioni oggi si dichiarano buddisti, oltre 6 milioni cattolici, 4 milioni e mezzo seguono il Cao daismo (religione che mescola elementi di dottrine orientali e occidentali), 1.4 milioni sono protestanti , 1.3 milioni praticano la tradizione dell’Hoa haoismo (altra religione sincretica autoctona), oltre a gruppi più piccoli di musulmani, indù. Indipendentemente dalla sua religione, però, ogni vietnamita (o quasi) si dedica al culto degli Antenati, la cui pratica ha sperimentato una forte rinascita nel corso degli ultimi decenni ed attraversa tutto il Paese, dal nord più agricolo e tradizionale, al centro e al sud, più vivaci commercialmente.
L’espressione “culto” si riferisce qui all’insieme delle pratiche e credenze religiose basate sull’idea che i membri defunti di una famiglia o di un clan veglino sui propri discendenti e siano in grado di influire positivamente o negativamente sul loro destino. I riti associati al culto degli Antenati hanno lo scopo di assicurare che gli Antenati siano felici e ben disposti verso la propria discendenza e l’anima del defunto continui a proteggere la sua discendenza. La cosa peggiore per un vietnamita sarebbe quella di smettere di praticare questo culto. L’anima del defunto sarebbe a quel punto condannata a vagare senza fine.
Nella scala dei valori della morale tradizionale, la pietà filiale (di cui l’adorazione degli Antenati è un’estensione) riveste quindi un ruolo cardine. L’uomo pietoso riconosce e onora nei genitori, negli anziani e negli Antenati la causa ultima della propria esistenza. In questo senso, la venerazione contiene elementi di confucianesimo e taoismo, e si colloca su un piano morale più che strettamente religioso.
Ciononostante, molte delle forme in cui questa venerazione si esplica coincidono con quelle usate per comunicare col mondo spirituale. Così in ogni casa vietnamita non manca mai un piccolo altare che ospita le foto dei deceduti, le offerte di frutta e fiori e dei bastoncini d’incenso. Le foto degli Antenati sono venerate e onorate fino alla quarta generazione. Dopo di che, le anime possono finalmente reincarnarsi.
In una famiglia, l’altare è un po’ il cuore della casa. Lì si celebrano i matrimoni e si prendono le decisioni più importanti. Lì si fanno offerte e sacrifici, almeno in specifiche festività come ad esempio la luna nuova o il plenilunio. Il calendario seguito, solo per il culto, è quello lunare, con un mese in più, ballerino, a scalare, che viene a formarsi ogni anno rispetto al calendario occidentale attualmente in vigore anche in Viet Nam.
E’ poi sempre il primogentito della famiglia ad accollarsi gli oneri maggiori del culto, conservando sull’altare le effigie di quattro generazioni, spettando invece agli altri famigliari solo il culto dell’ultimo defunto.
Sull’altare poi, oltre alle foto o immagini degli Antenati, il vietnamita colloca i cinque elementi della tradizione, acqua, fuoco, terra, metallo e legno, oltre alle offerte di cibo che durano il tempo della bruciatura degli incensi e successivamente non sono buttate, ma vengono passate nella dispensa di famiglia e consumate.
Inoltre in tutta la campagna del Viet Nam si trovano tombe sparse a piccoli gruppetti, quasi mai veri cimiteri (solo in questi anni si sta cercando di raggrupparle). La tradizione vuole che il corpo dell’Antenato sia sepolto in risaia, anche non di proprietà (e nessuno si può opporre), su indicazione specifica dello sciamano del villaggio, il quale decide la posizione in base alle sue conoscenze di geomanzia in modo che gli spiriti possano trovare la strada di casa. Si tratta di strutture in marmo o in pietra dove però non si usa pregare, curare o pulire (quindi appaiono trascurate) perché gli spiriti non amano la luce e vanno ricordati solo in casa.
Non sfuggirà, in questo corpo rituale popolare, il richiamo alla Pietas, ai culti domestici della religione romana, alla venerazione degli Antenati, ai doveri del Pater familias, al larario, alle feste delle Calende e delle Idi, al calendario lunare di Romolo e, infine, al 13° mese intercalare romano Mercedonio, che veniva a formarsi per eccesso rispetto al computo solare sui 12 mesi.
Quello dunque che a noi parrebbe un piccolo mondo antico, in Viet Nam è tutt’altro che scomparso e sorprende sia ancora così ben “coltivato” nonostante le spaventose fratture subite nella sua storia, recente e meno recente.
E, comunque, è una bella lezione per tutti noi.
Paolo Casolari