Kalendarium: il calendario di Giulio Cesare che vige ancor oggi

Il calendario attualmente in uso in tutto il mondo è il Calendario (Kalendarium) Giuliano, la scansione ordinata del tempo che prende il nome dal suo codificatore, Caio Giulio Cesare, il quale nell’anno 46 a.e.v. lo fissò in 365 giorni, gli conferì una impostazione solare e introdusse gli anni bisestili (1).

Cesare lo elaborò risettando il precedente calendario numano repubblicano soli-lunare di 12 mesi, discendente a sua volta dal calendario romuleo di dieci mesi lunari che iniziava il 1° marzo.

Il calendario repubblicano, in vigore fino alla riforma di Cesare, era invece basato su un anno di 355 giorni, suddiviso in dodici mesi (quattro di 31 giorni, sette di 29 e uno di 28) e che cominciava il primo di marzo (solo dal 153 a.e.v. l’inizio dell’anno civile fu anticipato al 1° gennaio, rimanendo il 1° marzo l’inizio dell’anno sacro). Ad anni alterni, quelli pari, venivano aggiunti 22/23 giorni in febbraio, dopo il 23, mentre i rimanenti 5 giorni, dal 24 al 28, venivano uniti alla fine del periodo aggiuntivo; questo lasso di tempo era denominato “mese intercalare” ed aveva lo scopo di uguagliare l’anno civile a quello solare e al ciclo delle stagioni.

I nomi dei mesi del calendario giuliano derivano per tre quarti da divinità romane e da personalità romane divinizzate, per il restante quarto sono espressione di ordinali romani.

Eccoli: Giano (gennaio), Februo (febbraio), Marte (marzo), Venere (aprile, da aperire, l’azione divina di “colei che apre” al risveglio della natura), Maia (maggio), Giunone (giugno), Giulio Cesare (luglio), Ottaviano Augusto (agosto), settimo mese (settembre), ottavo mese (ottobre), nono mese (novembre), decimo mese (dicembre). Questi ultimi quattro mesi conservano dunque la progressione del primigenio calendario romuleo.

Qui riportiamo un modello di Kalendarium dell’età del Principato, i Fasti, con indicate sia le feste in onore delle Divinità, le Celebrazioni e le Dedicazioni dei Templi, sia la qualità dei singoli giorni dell’anno.

Calendario

Il calendario scandiva la vita religiosa di Roma, era scolpito sulla pietra nel Foro ed era parte integrante della vita dello Stato.

I giorni erano distinti dai pontefici in base a predizioni e si articolavano in relazione alle attività religiose e civili da svolgere o meno e questa specie di giorni era indicata da lettere: Dies Fastus F, giorno in cui le attività erano permesse; Dies Nefastus N, giorno destinato ai riti purificatori in cui le attività non erano permesse; Dies EndotercisusEN, giorno nefasto all’inizio e alla fine, ma fasto in mezzo; Dies Comitialis C, giorno in cui si potevano tenere i Comizi e le attivtà civiche; NP/FP – festa religiosa pubblica (es. il 21 aprile); QRCF, giorno nefasto fino a quando non venivano sciolti i comizi; QSDF giorno nefasto finché il tempio di Vesta non veniva spazzato per la pulitura annuale

Inoltre vi erano altre classificazioni non ufficiali: Dies Religiosus era il giorno sfortunato perchè concidente con eventi negativi accaduti alla Res Publica che quindi sconsigliava attività sacre o profane (2); i Dies Atri erano i giorni funesti in cui si evocava un mondo intermedio tra sacro e profano (i Parentalia dal 13 al 21 febbraio rientravano in questa specie, come pure il 24 agosto, il 5 settembre e l’8 novembre il giorno di apertura del Mundus).

Un’ulteriore scansione calendariale atteneva invece alle sole attività occupazionali: i Dies Festi erano le feriae publicae, i Dies Profesti erano i giorni lavorativi – oggi curiosamente detti “feriali” (3).

I tre principali giorni “fissi” di riferimento del mese, le Calende (K/Kalendae), le None (NON/Nonae) e le Idi (EID/Idus), erano assimilati ai dies festi e risalgono all’originario calendario lunare di Romolo: Calende/novilunio, il primo giorno del mese; Idi/plenilunio, il 13 del mese o il 15 in marzo, maggio, luglio e ottobre; None/nono giorno ante Idi, il 5 del mese o il 7 in marzo, maggio, luglio e ottobre. Le Calende erano sacre a Giunone, le Idi a Giove.

Una ulteriore distinzione in vigore sin dagli albori della Repubblica scandiva poi tutti i giorni della settimana, di otto giorni: questi erano indicati con le lettere dalla A alla H. La “settimana”, chiamata ciclo nundinale (novem dies, grazie al conteggio romano secondo cui l’ultima unità di una serie è anche la prima della serie successiva), iniziava con il dì del mercato, le nùndinae (A), che ricorreva ogni nono giorno. Era l’appuntamento fisso per il contado che veniva in città per vendere i prodotti che i cittadini acquistavano per gli otto giorni a venire. Durante il Principato il ciclo nundinale venne progressivamente sostituito dalla settimana di sette giorni (d’importazione egiziana/mediorientale), codificata solo al tempo del Dominato da Costantino nel 321 e.v..

I Fasti solitamente prendevano il nome dal console entrato in carica nell’anno o dal generale che nell’anno aveva celebrato il trionfo.

Paolo Casolari

(1) Cesare sapeva che l’anno solare era leggermente superiore al 365 giorni (sei ore in più). Pertanto introdusse l’anno bisestile ogni quattro aggiungendo un giorno dopo il 24 febbraio, il sesto giorno prima delle Calende di marzo (ante diem sextum Kalendas Martias); il giorno aggiuntivo si chiamava “bis sextus dies” – sesto giorno ripetuto – da cui l’aggettivo bisestile.  Nel 1582 papa Gregorio XIII apportò piccole correzioni al calendario giuliano, sopprimendo 11 giorni che si erano accumulati nel tempo a causa di un piccolo errore nel computo dei bisestili da parte di Cesare (non sono sei le ore annune oltre i 365 giorni, ma qualche secondo in meno; in sedici secoli divennero giorni interi). Con ciò il papa impose anche il nome di “gregoriano” al calendario, senza averne vero merito.

(2) Ad esempio il 2 giugno, che oggi in Italia è la festa nazionale della Repubblica (sic).

(3) Oggi i giorni profesti sono detti “feriali” perché  il cristianesimo, per cassare i nomi pagani attribuiti al tempo del Dominato ai giorni della settimana (dies Lunae, d. Martis, d. Mercurii, d. Jovis, d. Veneris, d. Saturni, d. Solis), li “festivizzò” dedicandoli ai santi: feria secunda/lunedì … feria sexta/venerdì. Tentativo non riuscito perché, se si esclude il sabato e la domenica (l’uno di significato ebraico, il secondo dedicato al Dominus/Signore, già feria prima), i nomi pagani sono rimasti – insieme all’inversione del significato dell’aggettivo qualificativo.