Forum Hadriani, a.d.III Idus Dec, MMDCCLXIX aUc.
Come funziona la applicazione della bussola sullo Smartphone?
Cercavo di non pensarci e di rilassarmi mentre percorrevo uno stretto sentiero immerso nel verde cupo del bosco del monte Říp, nella Boemia settentrionale, a una quarantina di chilometri a nord di Praga. Il sole estivo filtrava con difficoltà attraverso le fronde, mentre il rumore dei passi si perdeva tra le foglie. Mi trovavo con un gruppo di una trentina di persone, in occasione della conferenza dello “European Congress of Ethnic Religions”. Si procedeva con un silenzio soprannaturale, come d’attesa.
La bussola, dunque. Un quarto d’ora prima, presso la cappella romanica di San Giorgio, costruita nel XII secolo sopra un precedente insediamento pagano, un “frater” mi aveva mostrato la bussola impazzita del suo cellulare. La mia parte razionale aveva subito protestato con la domanda: “Come funziona la applicazione della bussola sullo Smartphone?”. Si trattava di un’anomalia del campo magnetico o semplicemente “non c’era campo”? Tutto dipendeva da come funzionava l’applicazione. E più ci addentravamo in quella foresta antica, più la mia parte razionale cercava appigli per non traballare, aggrappandosi confusamente a ogni pensiero logico fino a ridursi a recitare come un mantra “Come funziona la applicazione della bussola dello Smartphone?”.
All’improvviso le fronde si aprirono e dopo un breve stordimento per la forte luce del mezzogiorno di luglio, misi a fuoco uno spettacolo mozzafiato: sotto di noi si stendeva fino all’orizzonte un paesaggio dolce di prati e campi, colline e boschi. Il naufragio era compiuto. La mente razionale taceva.
Mi appartai leggermente dal gruppo, per concentrarmi sulle mie sensazioni, mentre qualcuno dirigeva una preghiera pagana in lingua ceca al dio Perun. Ad un certo punto del rituale tutti alzammo le mani verso l’alto. Tra me e me invocavo Giove, il dio del cielo dei miei antenati. E fu precisamente lì che la vidi, materializzata dal nulla, una splendida aquila volare alta sopra le nostre teste. Compì un largo giro maestoso, quasi al rallentatore, e poi lo confermò con un secondo giro, e ancora con un terzo, alla fine del quale puntò verso l’alto, per sparire dalla visuale con la stessa velocità con cui era apparsa. Questa volta ogni voce interiore era spenta. Ammutolita. L’aquila di Giove era volata sulle nostre teste durante l’invocazione.
Qual è la natura degli Dei immortali? Su questo interrogativo, probabilmente antico quanto l’essere umano, il mondo classico ha tramandato diverse risposte, coerentemente con la sua grande tradizione filosofica e con una libertà di pensiero che non ebbe eguali nel mondo fino ai tempi moderni. Infatti, se da una parte la religione era orientata più verso l’ortoprassi, ossia alla corretta esecuzione dei rituali, dall’altra la predilezione per l’investigazione filosofica favorì lo sviluppo e la convivenza di molte interpretazioni teologiche, anche contrastanti. Non deve quindi sorprendere la coesistenza di approcci completamente diversi sin da tempi antichissimi. Per esempio Cicerone, nell’opera “dē Naturā Deōrum” scritta nel 44 a.e.v., presenta tre teorie molto differenti. La prima, legata alla tradizione dell’epicureismo, asserisce che gli Dei non si occupano delle vicende umane ma esistono in una dimensione completamente scollegata dalla nostra, per cui risulta inutile seguire qualunque forma di religione. La seconda, che Cicerone sembra prediligere e che appartiene alla tradizione stoica, ritiene che le anime umane siano immortali e che possano beneficiare dell’azione provvidenziale degli Dei. La terza infine, di stampo ateo e razionalista, considera la religione come un mero mezzo di esercizio del potere da parte della politica, negando l’esistenza di un piano divino.
L’interpretazione teologica che ha maggior seguito nel politeismo moderno deriva dal neoplatonismo, il movimento filosofico che fiorì in tutto l’Impero Romano a partire dal terzo secolo dell’era volgare, in particolare a Roma con la scuola di Plotino e in tutto il mondo ellenistico con pensatori come Giamblico, Porfirio, l’imperatore Flavio Claudio Giuliano e, nel quinto secolo, la mente eccellente di Proclo, il santo pagano. Questi autori considerano gli Dei come enti metafisici ai quali le anime umane si possono elevare seguendo una giusta etica, onorando le divinità con il culto e con la teurgia, intesa come tecnica ritualistica di meditazione. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’ Occidente, la tradizione neoplatonica pagana continuò ad esistere in forma sommessa nell’Impero d’Oriente, senza essere mai cancellata nonostante la violenta repressione della teocrazia cristiana (vedasi per esempio la testimonianza di Giovanni Lido nel sesto secolo), per riaffacciarsi in Italia all’inizio del Rinascimento attraverso Giorgio Gemisto Pletone, un filosofo bizantino che proponeva una religione pagana riformata e che ebbe il merito di convincere Cosimo de’ Medici al ritorno dei valori della filosofia platonica. Ne seguì la fondazione dell’Accademia Platonica Fiorentina che fu alla base dell’umanesimo Rinascimentale, garantendo la continuità del pensiero platonico nel mondo odierno.
Qual è dunque la natura degli Dei immortali? La risposta della Tradizione Romana è che esistono molte riflessione teologiche sviluppate da menti eccellenti del passato, tuttavia si tratta sempre e comunque d’interpretazioni che non hanno alcun carattere di vincolo o dogma su chi pratica la Religio. La filosofia neoplatonica non coincide con la Religio Romana, ma offre un eccellente mezzo per chi desideri approfondirne gli aspetti teologici.
La Religio Romana, prima di essere teorica, è pratica e concreta, fin dalla sua fondazione. Il centro della Religio Romana, istituita dal secondo re di Roma Numa Pompilio, è un patto con gli Dei, la pax deōrum, “volta non solo alla pace religiosa, ma a quella sociale e politica (equivalenti nella mentalità romana), basata su modalità di esecuzione rituale” (nota 1)
Gli Dei immortali non si conoscono attraverso la teoria ma attraverso l’esperienza diretta delle loro manifestazioni. Secondo lo storico Varrone (nota 2), per 170 anni dalla fondazione della Città, i Romani non rappresentarono i loro Dei. Solo in seguito, attraverso i contatti con il mondo etrusco e greco, gli Dei principali furono raffigurati in forma antropomorfa, comunque senza avere un carattere sviluppato e dettagliato come la loro controparte greca. Basti pensare a titolo di esempio alla divinità italica di Giano Bifronte, per il quale ci è stata tramandata un’esigua mitologia nonostante l’importanza di Giano nella religione romana. La mancanza di mitologia favorisce un’esperienza di tipo diretto, che in questo caso avviene, per esempio, a capodanno quando Giano (gennaio significa mese di Giano) apre la porta del nuovo anno, così come apre la porta di ogni nuovo mese e di ogni nuovo giorno. Incontriamo Giano nel dipanarsi del tempo, di questa dimensione che sembra procedere dall’eternità e misteriosamente ci trascina nel verso indicato dall’entropia della fisica moderna.
L’esperienza diretta della manifestazione divina è stata alla base del patrimonio di conoscenza religiosa accumulato dalla notte dei tempi. Sebbene buona parte dei nomi degli Dei non abbiano un’etimologia conosciuta, nel caso di Giove, Iuppiter – Iovis Pater – è chiara l’origine indoeuropea attraverso la radice di̯eu (“sfolgorare, risplendere”): nome che ricorre in gran parte degli antichi dialetti indoeuropei, perché non solo il greco Ζεὺς πατήρ corrisponde all’indiano Dyauḥ pitā e all’italico Iuppiter (umbro Iupater, Iuve patri; anche latino Diespiter), ma la divinità della luce si ritrova, denominata dalla stessa radice, anche nel celtico, nel germanico, nel lituano (nota 3). La datazione del proto indoeuropeo all’inizio del quinto millennio a.e.v., (nota 4), conferma che i nostri progenitori identificavano la divinità che oggi conosciamo come Giove già settemila anni fa. Attualmente la mancanza di documentazione scritta o di altre evidenze non permette la ricerca di andare oltre questo velo temporale. È sorprendente come i Romani abbiano potuto intuire la profonda affinità dei loro Dei con quelli delle popolazioni circostanti, in primis con i Greci. L’ esperienza diretta della manifestazione del padre Giove ha fatto rivelare la sua vera natura transnazionale ed universale. Secoli dopo la linguistica indoeuropea conferma su base scientifica che il nome di Zeus e quello di Iuppiter sono indissolubilmente legati.
L’esperienza diretta del divino, basata su intuizioni ed interpretazioni della realtà, è la chiave della Religio Romana. Allo stesso modo, mentre i miei amici cechi invocavano il dio Perun, io sentivo che per qualche misteriosa ragione Giove era presente. Chi segue la Tradizione Romana è esposto alla manifestazione divina e partecipa alla realizzazione della Pax Deōrum, comprendendo intuitivamente la natura degli Dei immortali e agendo nel mondo di conseguenza.
Molte risposte sono possibili sulla natura degli Dei immortali. Sicuramente è una natura universale che a volte si manifesta nel tempo degli umani con vari tipi di fenomeni, da semplici intuizioni, a manifestazioni tangibili.
L’applicazione della bussola si basa su sensori di campo magnetico integrati sul cellulare. La bussola del cellulare quindi parte da una misurazione di un ente fisico vero. Il monte Říp è una collina vulcanica, con una grande concentrazione di magnetite ed una misurabile anomalia del campo magnetico. Essendo una montagna isolata, appare naturale che sia stata inoltre prescelta come luogo sacro dagli antichi popoli del luogo.
L’aquila di Giove quel giorno volò propizia sopra le nostre teste. Ita est.
Mario Basile
1) La religione dei Romani – Renato del Ponte.
2) Religions of Rome – Mary Beard, John North, Simon Price
3) Enciclopedia Treccani
4) Indo European Origins – William G. Davey.