Nel IV secolo l’imperatore romano Costantino, dopo la presa del potere e la sconfitta di Massenzio, fece edificare la prima costruzione cristiana del centro di Roma: la chiesa di Anastasia, dedicandola alla sorellastra.
Oggi questo edificio di culto è caduto quasi nel dimenticatoio ed è fuori dai circuiti turistici, ma all’inizio dell’era cristiana era la terza per importanza a Roma, dopo il Laterano e S. Maria Maggiore.
Per la sua posizione, alle pendici del Palatino verso il Circo Massimo, l’imperatore la fece eleggere Chiesa di Corte Imperiale (titulus Anastasiae).
Il ruolo di questa chiesa nella nascita del Natale è del tutto dimenticato e sottovalutato.
Cerchiamo qui di ricostruirlo.
Sappiamo che nella basilica Anastasia, che con Teodorico diverrà “Sant’Anastasia”, i papi, a partire dal V secolo (cent’anni dopo Costantino), celebravano regolarmente il 25 dicembre il Natale di Cristo.
Fu papa Sisto III a introdurre l’uso di un rito solenne tripartito: poco dopo la mezzanotte il vescovo di Roma teneva la prima messa nella basilica di s. Maria Maggiore; dopo, prima del sorgere del sole, celebrava la seconda in Anastasia; infine, all’alba, la terza messa in s. Pietro.
L’uso di celebrare a Roma il Natale in data fissa, il 25 dicembre, era però già documentato in precedenza, a partire dal 336 e. v., nel Depositio Martyrym, il calendario liturgico di Filocalo (in precedenza non c’era tradizione unitaria sulla ricorrenza e le comunità cristiane la festeggiavano con irregolarità, in mesi diversi).
E qui torniamo a Costantino.
Era stato lui, infatti – l’imperatore che aveva già concesso la libertà di culto ai cristiani nel 313 e che si era occupato della data della Pasqua nel 325 (Nicea) – a sovrapporre la festa per la nascita del Cristo alla ricorrenza romana della nascita del Sole invincibile (Natalis Solis Invicti).
Si tratta della festa calendariale che Aureliano, nel 274 e.v., stabilì il 25 dicembre, al culmine delle feste solstiziali che seguivano i Saturnali e a suggello millenario della tradizione di culti solari che attraversava tutta la storia della romanità e del mondo italico, dalla Valcamonica ai Pelasgi, dall’Ausel del Sabini all’Ansur di Terracina, dal Monte del Sole/Soratte, al Sol Indiges di Laurento sino alla consacrazione augustea, con l’edificazione del tempio di Apollo entro il pomerio, al centro del palazzo imperiale.
Il Cristo che-ci-salva-la-vita, dunque, prendeva il posto del Sole che-dà-la-vita.
Ma Costantino si spinse anche oltre. Fece in modo che la prima officiatura del natale di Cristo avvenisse proprio nella chiesa di Anastasia (con Silvestro vescovo, nel 326 e.v.).
E perché mai?
Sarà forse perché a ridosso della basilica di Anastasia – edificata sulla porzione del palazzo-santuario di Augusto che sporgeva sul Circo Massimo – c’è il Lupercale (1), l’antro grottesco e paludoso dove si era arenata la culla alla deriva dei gemelli abbandonati Romolo e Remo, divenuto “monumento nazionale” e incastonato nello stesso palazzo imperiale?
Costantino, facendo li’ celebrare la prima messa di Natale, e fissandola simbolicamente nella chiesa di Anastasia, prese “politicamente” due piccioni con una fava, imponendo la svolta (cristiana) alla storia.
Operando una ulteriore sovrapposizione/mistificazione, dopo quella della data, assimilò (e tombò) la natività di Roma, rappresentata dal Lupercale, all’altra natività d’importazione, quella del Nazareno e della sua capanna/grotta/spelonca di Betlemme, trasformando così il vecchio culto in favore del nuovo.
Questa forzatura, tuttavia, non operava tagli netti alla Tradizione: grotta per grotta, nascita per nascita.
Da romano-nonostante-tutto, l’imperatore dispose, infatti, che si operasse in situ per assicurarsi coerenza formale e continuità ideale (anche l’edificazione della sua Costantinopoli fu preceduta da riti romani di fondazione).
Ecco perché Costantino fece celebrare il primo Natale nella chiesa di Anastasia, dopo averla fatta costruire proprio in quel luogo, sul Lupercale.
Da Roma, e solo da Roma, con la sua autorevolezza e con le e sue consolari, la novità del Natale cristiano poté così poi espandersi, come fece, in tutto il mondo conosciuto e dominato: dall’Italia alla Bretagna, alla Spagna, all’Africa settentrionale, al Medio oriente, ai Balcani.
Se oggi festeggiamo il 25 dicembre, con l’annesso immaginifico della grotta e della nascita del “Salvatore” figlio di dio e di vergine, è grazie a tutta questa intrecciata vicenda.
Dunque, come ha ben scritto Carandini (La casa di Augusto. Dai “Lupercalia” al Natale, Roma-Bari, 2008) è assolutamente certo che “alle pendici del Palatino si erano succeduti natali, epifanie e fondazioni tra Romolo, Augusto e Cristo”, ma questa verità, incontestabile, è oggi assai imbarazzante per la Chiesa cattolica.
Col favore degli insipienti e dell’opinione pubblica distratta, crediamo che più di qualcuno pensi sia un bene che Romolo rimanga una favoletta: sia mai che possa tornare alla memoria che pure lui è figlio di dio (Marte) e di vergine (la vestale Rea Silvia).
Paolo Casolari
(1) Anche la famosa lupa bronzea oggi ai Musei Capitolini sul Campidoglio, capolavoro etrusco cui il Pollaiolo aggiunse i due gemelli, sembra fosse posta in gran rilievo nella grotta, tanto che venne custodita per secoli, fino al 1700, nelle vicinanze del Lupercale, precisamente nella chiesa circolare di S. Teodoro (costruita sugli horrea/depositi annonari di Agrippina).