Quanto a tafazzismo noi italiani siamo secondi a nessuno.
Nonostante sia mai accaduto che un paese del globo ci abbia restituito spontaneamente la sola unghia di un’opera d’arte illegittimamente sottratta all’Italia nei secoli (da inglesi, francesi e statunitensi soprattutto, vedi https://www.saturniatellus.com/2022/09/lo-spaventoso-saccheggio-anglo-francese-dellarcheologia-italiana/) i nostri vertici continuano a brillare nella libido adsentandi, ovvero nella gioia morbosa di accondiscendere il princeps di turno e di apparire i primi della classe in (presunto) altruismo.
Cosa accade.
Come noto, è in corso una secolare disputa tra Grecia e Regno Unito per la titolarità delle sculture del Partenone trafugate da Lord Elgin, ambasciatore britannico presso l’impero ottomano, a partire dal 1801 dall’Acropoli ateniese e oggi esposte al British Museum di Londra. La Grecia ne chiede la restituzione dal 1832 (anno in cui conseguì l’indipendenza), ma la disputa è divenuta prepotentemente d’attualità in questi ultimi mesi.
E allora, mentre Londra – dove per legge è vietato disfarsi di tesori culturali – sta studiando una forma di prestito onerosissimo, ecco che appaiono i faciloni nostrani, non richiesti, a far lustro di generosità a nostre spese nel donare marmi antichi a destra e manca, senza contropartita.
E questo, occorre dirlo, nel disinteresse generale dell’opinione pubblica.
A metà 2022 è stata la volta di Franceschini, ministro della cultura del governo Draghi, che ha fatto restituire alla Grecia, complice la Regione Sicilia, il “Frammento Fagan” di Palermo.
Si tratta di una lastra appartenente al fregio orientale del Partenone – mai richiesta indietro dai greci – che raffigura il piede di Artemide seduta in trono. Il reperto, giunto all’inizio del XIX secolo nelle mani del console inglese Robert Fagan in circostanze non del tutto chiarite (un probabile saccheggio), fu lasciato in eredità alla moglie che successivamente lo vendette tra il 1818 e il 1820 al Regio Museo dell’Università di Palermo, di cui il Museo Archeologico Regionale “Antonino Salinas” odierno erede, era custode. La donazione alla Grecia risale a giugno 2022, ma dallo scorso 10 gennaio 2022 il frammento si trovava già in prestito al Museo dell’Acropoli di Atene, dove lo hanno subito (sai mai che in Italia ci ripensino!) ricongiunto al fregio originale da cui era stato asportato due secoli fa. La donazione ad Atene è stata possibile in base a un accordo fra il Governo siciliano e il Governo di Atene, siglato nei mesi scorsi dal Museo Archeologico Regionale e dal Museo dell’Acropoli di Atene, che ha previsto la sdemanializzazione del fregio. In base all’accordo, da Atene, in cambio (si fa per dire) è arrivata a Palermo una anonima statua acefala della dea Atena, databile alla fine del V sec. a.e.c che resterà esposta al Museo Salinas per quattro anni; al termine di questo periodo, giungerà un’anfora della prima metà dell’VIII sec. a.C. per altri quattro anni. Insomma, in cambio di una donazione di un bene acquistato a suo tempo con denari dei contribuenti, un prestito di otto anni d’oggetti di valore assolutamente inferiore. Bel colpo, non c’è che dire!
Ora è il turno del papa argentino, che in dicembre ha donato ai greci tutti, qui senza alcuna contropartita, addirittura tre marmi del Partenone conservati nei Musei Vaticani.
I frammenti restituiti sono una testa di fanciullo, una testa virile barbuta e una testa di cavallo. Si trovavano fin dall’Ottocento nelle Collezioni pontificie, anche se non sono chiare le vicende che li hanno portati a Roma, e rappresentano tutti i frammenti del Partenone in possesso dei Musei romani. Sono sempre stati esposti a milioni di visitatori di tutto il mondo. Il cavallo proviene dal frontone occidentale del Partenone: si tratta di uno dei cavalli che trainavano la quadriga di Atena nella scena della disputa tra la dea della saggezza e il dio del mare Poseidone per il dominio sull’Attica; la testa di fanciullo è quanto rimane di un offerente che si trovava effigiato sul fregio della cella del tempio; l’uomo barbuto giunge probabilmente da una delle metope del lato meridionale, dov’era rappresentata una centauromachia. Non è dato di sapere se l’allora Stato della Chiesa abbia pagato per l’acquisizione dei tre marmi, ma è assai probabile. I Musei Vaticani, comunque, non sono del papa, né sono un museo qualsiasi: sono sempre stati un museo di donazioni e acquisizioni, dove il donante o il venditore aveva l’orgoglio di vedersi esposte le opere; in ultima analisi sono un museo “italiano” per il patrimonio che possiedono, tutto appartenente alla nostra cultura e alla nostra storia.
Non è infatti un caso che il precedente papa Ratzinger si sia ben guardato dall’autorizzarne donazioni, già ventilate dai prelati suggeritori buonisti della curia romana. Ma l’argentino no, anche lui doveva apparire il primo della classe nel politicamente corretto, a nostre spese. E così ha ceduto alle lusinghe di chi gli ha suggerito di imitare Franceschini e di mostrarsi più realista del re: “quale segno concreto del sincero desiderio di proseguire nel cammino ecumenico di testimonianza della Verità” – si legge in una nota – “Sua Santità ha deciso di dare a Sua Beatitudine Ieronymos II, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, i tre frammenti del Partenone”.
Soddisfazione, ovvia, è stata immediatamente espressa dalle autorità greche che mai si sarebbero aspettate un tale ulteriore dono, dopo quello siciliano. “Il Ministero della Cultura e dello Sport accoglie con favore la decisione di Papa Francesco, annunciata dal Vaticano, di restituire alla Grecia i tre frammenti del fregio e della metope del Partenone che dal XIX secolo sono custoditi nelle preziose collezioni dei Musei Vaticani”, si legge in un comunicato. “Questa decisione viene in aiuto al diligente sforzo compiuto dal governo greco, dal luglio 2019, per il ritorno delle sculture del Partenone dal British Museum e la loro riunificazione con quelle esposte nel Museo dell’Acropoli”.
Ecco appunto, dal British Museum e dal Regno Unito, non da Roma o da Palermo.
Sia chiaro che noi non guadagneremo nulla da questi atti, se non la conferma che non solo siamo sempre e comunque terra di saccheggio, ma ora anche di autosaccheggio, capace di arrivare ad automporsi un danno erariale tra il silenzio dei più (e le grasse risate degli stranieri addetti ai lavori), in una interpretazione smaccatamente ottusa e a senso unico della “Art Repatriaton”.
Ci fosse mai un giudice a Roma …
Paolo Casolari