Tracce di antichi culti tradizionali italico – romani sopravvivono nel folclore e nei riti religiosi delle singole realtà dell’Appennino centrale, in particolare di quello abruzzese.
Nello studio storico – antropologico della devozione alle grandi madri agrarie appenniniche, assorbita sincretisticamente dal cristianesimo di tradizione mariana, mi sono imbattuto nella stupefacente continuità tra il culto della dèa romana Vittoria e la devozione a s. Vittoria, patrona di Castilenti, comune della provincia di Teramo alle pendici del Gran Sasso centrale sito sull’antica “via del sale”, la direttrice che portava all’importante porto adriatico di Hatria picena.
Il toponimo Castilenti, secondo recenti approfondimenti, deriva dall’insediamento di un castrum romano: il castrum di Lentulo. Gneo Cornelio Lentulo Clodiano era, infatti, il comandante romano che combatté i pirati illirici nel 67 a.e.c. che infestavano l’Adriatico; la stessa gens Cornelia Lentula potrebbe essere originaria della zona.
A Castilenti, la statua della santa svetta da tempo immemorabile nella chiesa parrocchiale di s. Vittoria Vergine e Martire, edificio religioso che risale al XIV secolo.
Ora, l’ipotesi di una sincretica trasformazione del culto della dea Vittoria in quello di s. Vittoria è qualcosa di più della suggestione che accomuna tanti santi italiani. La teoria mi è stata avanzata da un appassionato di storia locale, Antonio Di Donato, il quale, insieme all’amico Graziano Paolone, sta conducendo ricerche sulle identità locali nella vallata del fiume Fino.
La prova che, secondo Di Donato, avvalora la tesi è tutta nel calendario. Nei Fasti romani, infatti, il 28 agosto è il giorno che festeggia l’apposizione, da parte dell’imperatore Augusto, della statua della dèa Victoria nella nuova curia Julia: era il 29 a.e.c. Lì la statua rimase per quasi quattro secoli, sino almeno al 383 e.c. (quando l’imperatore Graziano, convertito al cattolicesimo, la rimosse). Ebbene, nell’area di Castilenti in quel giorno d’agosto si tiene, sin dalla notte dei tempi, un’antichissima celebrazione folcloristica e religiosa: la fiera della Piana di Campli.
A Roma, il culto della dèa Vittoria era molto sentito e, spesso le celebrazioni avvenivano alla presenza dell’imperatore e si svolgevano nel tempio dedicato sul Palatino, l’Aedes Victoriae. Il sito, secondo il grande archeologo Giacomo Boni, era posto vicino l’arco di Tito in quanto proprio lì, nel 1918, venne ritrovata una statua attribuita alla Vittoria, scoperta questa che fece anche a presagire il favore degli dèi per il trionfo dell’Italia nella prima guerra mondiale.
Secondo la leggenda, il primo tempio alla dèa Vittoria è stato costruito da Evandro, semidio figlio di Mercurio e della ninfa Carmenta e fondatore, prima della nascita di Roma, della città di Pallante (uno dei villaggi che ha dato poi vita all’Urbe) oltre che alleato di Enea contro Turno re dei Rituli.
In realtà il tempio alla Vittoria venne edificato da Lucio Postumio Megello con i fondi delle multe raccolti quando era edile e venne dedicato alla dèa il 1° agosto del 294 a.e.c., anno del suo consolato.
L’edificio sacro, dal 204 al 191 a.e.c. ospitò provvisoriamente la pietra nera sacra il “betilo” della Magna Mater Cibele, quando ancora il tempio di quest’ultima era in costruzione.
Vicino al tempio della Dèa Vittoria, Marco Porcio Catone costruì il tempio di Victoria Virgo.
Devoti della dea Vittoria furono personaggi illustri della romanità che l’associarono al proprio nome: Silla, che istituì la festa della Victoria Sullana dopo la vittoria nella battaglia di Porta Collina; Cesare che onorò Victoria Caesaria; infine Augusto che fu devoto di Victoria Augusta.
Nella religione tradizionale romana la dea Vittoria rappresenta soprattutto il trionfo in battaglia ed è quindi associata alla dea della guerra Bellona, spesso identificata con la greca Nike, raffigurata come una giovane donna alata con una corona di alloro nella mano destra, in attesa o in atto di incoronare il vincitore, e nella sinistra un ramo di palma. Nelle mani della dea, in antico, vennero anche raffigurati globi e serpi.
Non possiamo non notare che anche la statua della Vittoria di Castilenti ha un ramo di palma in mano.
Alla divina patrona celeste di Castilenti, il sindaco durante la prima fase della pandemia di Covid ha donato la sua fascia tricolore, in omaggio a un culto ancestrale italico che procede da millenni alle pendici del Gran Sasso, testimonia la continuità della nazione italiana dall’età antica ai giorni nostri e vede nella società appenninica la sua spina dorsale. Una linea di congiunzione che trova la sua esaltazione anche nel Canto degli Italiani, scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro, nel passo “….dov’è la Vittoria le porga la chioma che schiava di Roma Iddio la creò…”, dove è chiaro il riferimento all’usanza dei Romani di imporre ai vinti il taglio dei capelli alle donne, immolate ritualmente alla dea Vittoria.
Cristiano Vignali