E’ riconosciuto generalmente che “la famiglia antica, più che un’associazione naturale, fu una istituzione a base religiosa”(1) avente come finalità la perpetuazione del culto famigliare e la procreazione di una prole idonea (specie il primogenito) nata dal dovere.
In questa “famiglia sacralizzata la polarità dei sessi appare associata ad un regime di complementarità”(2) in cui la donna è la custode del fuoco domestico e, in linea di principio, ha natura di Vesta(3) .
In assenza del culto pubblico con relative magistrature religiose, dei tre tipi di matrimonio della nostra tradizione romana – Confarreatio, Coemptio, Usus – quest’ultimo soltanto sembra essere praticabile poiché non necessita di un particolare rito.
Con il matrimonio “per uso”, la coppia rende noto che intende convivere per un intero ed ininterrotto anno al lo scopo di contrarre, ipso facto, matrimonio ed al termine dell’anno festeggia il fatto compiuto(4).
La coppia si preoccuperà di non festeggiare il matrimonio nelle Ferie, nelle Calende, None e Idi, nel mese di Maggio, nei giorni dedicati ai morti, nei giorni infausti, al fine di farlo cadere nell’ambito del Fas. Il che richiama la base religiosa del matrimonio in questione, comune anche agli altri due tipi o forme.
Nel giorno stabilito per le nozze, la sposa viene condotta nella casa dello sposo (come se non vi fosse mai stata), viene portata in braccio oltre la soglia e riceve, secondo l’antichissimo costume, l’acqua ed il fuoco, al che pronuncia la formula rituale: “Ubi tu Gaius, ego Gaia“(5).
Poi stringe la destra del marito e la stretta vie ne coperta dal drappo giunonio della pronuba, la di lei madrina, che impersona Juno Pronuba, appunto. Lo sposo dona alla sposa l’anello, dopo di che si svolge un banchetto(6). Termina così la prima parte, quella “pubblica in privato”, del matrimonio.
Segue la parte riservata ai soli sposi, che è posta sotto la tutela di numerose divinità che vengono debitamente invocate(7).
Prima che con lo sposo, la donna si unisce col dio Matitus, ut íllarum pudicitiam prior deus delibasse videtur(8).
Al matrimonio tradizionale potrà far seguito il matrimonio civile, a nostro modesto parere non incompatibile, in virtù della sua indifferenza verso i valori religiosi.
I requisiti affinché il matrimonio sia valido sono: l’assenza di coazione, il libero consenso, la reciproca capacità matrimoniale (connubium), l’età, lo stato libero, l’assenza di rapporti di parentela o di consanguineità. la capacità di intendere e di volere, l’assenza di condizioni contrarie alle finalità del matrimonio, ecc.
Il matrimonio si scioglie per morte, ripudio e divorzio(9).
Se v’è da aggiungere qualche cosa sull’argomento, essa riguarda la prudenza con la quale le parti devono affrontare il matrimonio.
Non è il coronamento d’un “sogno d’amore”, bensì”… coniunctio maris et feminae, consortium manie vitae, divini et humani iuris communicatio” (Modestino, IV sec.), ossia l’unione, di un uomo e di una donna, per tutta la vita, nel segno del diritto umano e divino insieme. L’amore, come è oggi inteso, non può essere il solo legame che giustifichi il matrimonio. Il vero, imperituro, vincolo è quella Dignitas matrimonii nella quale il marito ha rispetto per la moglie e questa è devota a quello. La dignità del matrimonio viene arricchita dall’affectio maritalis (l’affetto reciproco dei coniugi) che non si esprime solo al momento della fondazione della famiglia, ma dura costante quanto il matrimonio stesso.
Non è mai raccomandata abbastanza all’uomo l’oculata scelta della donna, la quale se lui è a capo e sacerdote della famiglia, deve essere non soltanto la madre dell’attesa prole, ma anche la custode del focus domesticus, in senso non figurato.
Aurelia
(da La Cittadella n° 5, luglio- settembre 1985)
NOTE
1) J. Evola, METAFISICA DEL SESSO, Mediterranee, Roma, 1969, p. 252.
2) Op. cit. p. 254.
3) Ivi.
4) Il matrimonio usus, per uso, era solitamente anche “senza potestà” maritale (sine manu), il che permetteva alla moglie di beneficiare di eventuali successioni. Affinché il matrimonio per uso fosse anche senza potestà maritale, l’anno di convivenza veniva inter rotto da tre notti consecutive di assenza della donna dalla casa coniugale. Fu il tipo di matrimonio più diffuso presso i Romani sin dagli ultimi secoli della Repubblica ed è attestato nei codici giustinianei (V sec.).
5) Con questa formula la donna accetta i Sacra del marito, dichiara di trovare in lui il polo della sua realizzazione, accomuna il suo destino a quello di lui.
6) Al banchetto lo sposo liba agli dei Celesti, la sposa alla dea Tellus. L’anello, di cui si è detto, è senza gemme, di ferro o di metallo prezioso. Nel darlo alla donna, l’ uomo dice:” Con questo anello ti sposo”.
7) Domiduca e Interduca conducono la sposa in casa dello sposo e Domitius ve la trattiene. Manturna la fa restare vicino al marito Cinxia le slaccia la cintura, Subigus la mantiene sotto l’uomo, Prema la rende docile, Pertunda e Perfica rendono perfetta l’unione.
8) Ciò fa parte del “mistero” del matrimonio (v. J.Evola, op. cit , p. 252 e seg.; M. Meslin , L’UOMO ROMANO, Mondadori, Milano 1981, p.134 e seg): è anzitutto il dio – Lar familiaris/Deus Domesticus/Genius – a cogliere la purezza del la nova nupta. La condizione verginale del la donna trova una giustificazione nel fatto che il “sigillo” sulla “cera intatta” impresso dal dio che sta a fondamento della famiglia. Lo sposo porta la sposa nel letto matrimoniale che, non a caso, è detto lectus genialis. Espressione della religiosità indoeuropea è il ben noto letto matrimoniale eretto da Ulisse.
9) Cause del ripudio (Conditione tua non utor) sono: l’aborto illecito, i figli illegittimi , l’alienazione di beni domestici, l’ubriachezza. Tra le cause del divorzio (Collige farcinulas: exi, vade foras) adulterio per colpa di lei. Nel caso in cui i coniugi siano in regime di matrimonio civile, sia il ripudio sia il divorzio sono oggi regolati dalla legge italiana sul divorzio.