Il Movimento Tradizionale Romano ha celebrato ritualmente la ricorrenza del Solstizio d’Inverno con un consolidato rituale comunitario sui monti marchigiani, ospiti di frater Pietro.
Quest’anno il passaggio astronomico è avvenuto alle 5,29 del 22 dicembre: si tratta del momento in cui il sole, nel suo moto meridionale apparente nelle costellazioni dello zodiaco, raggiunge la massima distanza rispetto al piano dell’equatore terrestre e il massimo rimpicciolimento. Da allora il sole smette di muoversi verso sud, si ferma e, sempre apparentemente, non cambia la propria posizione per tre giorni. Dopodichè si muove e si sposta di un grado verso nord. Si consideri che, già dalla mezzanotte del 24, nel cielo meridionale brilla Sirio e alla sua destra, in alto, si stagliano i “tre re”, gli astri della cintura di Orione. Queste quattro stelle, perfettamente allineate, ci indicano quella parte del cielo in cui sorgerà il sole, la mattina del 25.
Da adesso le giornate ricominciano ad allungarsi, prospettando più luce, più calore, più vita. Il Sol Invictus dunque risorge, portando germogli di nuova vita alla futura primavera dell’eterno ritorno.
Come noto a Roma il 21 dicembre, durante le grandi feste dei Saturnali (17/23), si celebravano le Angeronalia/Divalia, in onore della Dèa Angerona, il Nume del silenzio – custode del segreto inviolato del Nume/Nome di Roma – che permetteva gli attraversamenti nei passaggi stretti e che “liberava con la forza del pensiero silente la luce solare dalla sue angustie” (Macrobio) .
Il 25 invece – quando il Solstizio si rende visibile alla lati-longitudine di Roma – si celebrava la ricorrenza del “Sole Invincibile”, istituita dal 274 dall’imperatore Aureliano (complice il Mitraismo): la festa si teneva in due momenti: il 23, assorbendo le Brumaia (contrazione di brevima-die, ossia il giorno più breve), per ricordare la posa della prima pietra del tempio del Sole, e il 25 per solennizzare il momento in cui i giorni cominciano di nuovo ad allungarsi.