E’ la prima volta che un libro ne parla, anche se non tratta di pratiche, di riti, di religione ma solo di vicende storiche e di approcci dottrinali.
Il titolo del saggio, alle stampe da alcune settimane, è “La perenne linea porpora”; sommario: “La Tradizione vive oltre ogni distruzione”; editore “I Libri del Graal”; autore: “I Dioscuri”.
Già il fatto che la fonte sia, contemporaneamente, il soggetto e l’oggetto del racconto farà sicuramente sobbalzare chi ha magari già trattato il tema e ora si vede spiazzato. Però non è qui l’interesse. La novità è che nel più vasto torrente, sempre meno carsico, della Tradizione romana cominciano a baluginare, in esterno, i contorni. E questi contorni interessano anche noi, dal momento che del ramo siciliano dei Dioscuri il M.T.R. è tributario.
Ma veniamo allo sviluppo del saggio.
Il volume parte da lontano, e cioè dalla ininterrotta (dalla nascita del sodalizio) azione religiosa dei Dioscuri a tutela e riaffermazione della presenza di Roma nel tempo e racconta gli anni di oblio che hanno caratterizzato questa azione.
“Il Gruppo dei Dioscuri nacque – scrive l’autore – con il medesimo intento che animò i fondatori del Gruppo di Ur e che motivò il Gruppo di Ekatlos: non più un indefinito tradizionalismo di segno nostalgico, relegato in astratte dimensioni intellettuali, ma Tradizione come sistema di conoscenze superiori, che utilizzano elites appositamente formate”. In particolare, per i Dioscuri l’intento era l’evocazione del Nume di Roma: “lontani dal grigio conservatorismo di segno cattolico, distanti dal tradizionalismo intellettuale laico e profano … i Dioscuri riaccesero il fuoco degli Italici e di Roma, celebrando i riti. E saldando l’azione di una nuova generazione con la vita e l’opera di Armentano, Reghini, Evola, Boni, Musmeci Ferrari Bravo e di tutti coloro i quali, incrollabilmente, vissero durante lunghi secoli per l’idea assoluta della continuità sacrale romana”.
Immersi in questa dimensione, per decenni i Dioscuri sono rimasti in silenzio, onorando l’impego assunto dell’azione rituale. Tuttavia c’è sempre un momento in cui batte l’ora dell’emersione. Anche per evitare, come scrive l’autore – ricostruzioni azzardate o sovrapposizioni di presunti eredi, nonché smentire dichiarazioni di morte presunta.
Da qui la pubblicazione, che ricostruisce l’intera epopea, sino ad oggi.
Promotore dei Dioscuri fu Franco Mazzi che fondò il cenacolo a casa di Julius Evola, suo maestro spirituale, nel 1969. Mazzi raccolse dunque, con l’esplicita “benedizione” di Evola, un gruppo umano che, per gemmazione, si staccò dalla casa madre evoliana per dedicarsi solo alle tematiche della tradizione. Inizialmente ciò accadde in termini culturali e formativi, successivamente in termini rituali. Mazzi, infatti, maturò la volontà di riprendere il cammino esperienziale di Ur attraverso una dimensione marcatamente ispirata alla romanità prisca. Va da sé che non tutti lo seguirono in questa seconda fase, con altri si consumò una rottura dottrinale, la maggioranza però rimase ferma sulla linea della ripresa operativa della ritualità romana. Fu così riacceso il fuoco nel tempio a Roma ed iniziò la celebrazione costante dei riti; lo stesso avvenne per i gruppi di Napoli e, successivamente, di Messina. Dioscuro di Messina, come correttamente ricorda il volume, era il cofondatore del Movimento Tradizionale Romano, Salvatore Ruta.
Il saggio esplora poi le vicende dei gruppi, in particolare di quello romano, e tratteggia ampiamente la figura di Mazzi, ricostruendone i tratti della personalità, la storia, i difficili rapporti con alcuni esponenti “evoliani” di diverso orientamento e, soprattutto, il percorso spirituale, quest’ultimo “cristallino e senza tornaconti” nella sua ferma determinazione di riconnettersi e di far riconnettere alla Tradizione della Roma prisca.
Nella vicenda dei Dioscuri, un apporto dottrinario esterno è stato poi rappresentato, nei lunghi anni di “silenzio stampa”, dalla pubblicazione di quattro “Fascicoli”: Rivoluzione tradizionale e sovversione, Le due razze, Impeto della vera cultura, Phersu maschera del Nume, che “servirono a risvegliare e attrarre coloro che si identificarono nel fine operativo” (i fascicoli sono ottimamente ripubblicati in appendice al volume).
Non mancano approfondimenti sull’apparato dottrinale che ha presieduto e informato la ripresa della ritualità romana prisca che, scrive l’autore “non è un retaggio lineare, immerso nel tempo terreno … tutto rinasce e tutto, nella perennità, riprende nuove forme. A questi germinamenti eterni, gli Dèi, nella loro immensa potenza, contribuiscono, accogliendo il richiamo di chi veglia e rinnova i loro fuochi”. “La Pax Deorum è uno speciale condensato di perenne validità giuridica … che colloca Roma e la sua funzione in una dimensione atemporale ed inviolabile”, … “Nessuno può considerare estinto un patto che conserva i suoi fondamenti e poteri, dai quali evidentemente non può essere escluso il destino stesso dell’Italia e della sue genti”.
Diverse osservazioni sono inoltre dedicate a una chiara presa di distanza dai “diffusi” esoterismi borghesi, sincretismi pasticciati, pratiche psichiche, cabalismi, teorie filosofiche e tecniche di meditazione che “ritardano la possibile riemersione della propria natura ed inclinazione spirituale più profonda”.
In conclusione l’autore, senza negare legittimità operativa ad altri sodalizi indirizzati al ritorno a pratiche rituali gentilizie e/o familiari della religione dei padri e “che detengono forme di conoscenza sufficienti a creare un cammino spirituale dei propri componenti e ad occupare un ruolo centrale nella guerra che le forze di luce combattono contro l’ombra”, rivendica ai Dioscuri ab origine una funzione “spietrificante” della realtà che ha come fine l’irruzione delle forze celesti nel mondo visibile. “Una ipotesi teurgica che potrà essere condivisa o meno, considerata praticabile o illusoria, ma che fu sempre al centro dell’intento dioscureo”.
Paolo Casolari