Vi può essere qualcosa di più bello, buono, forte e luminoso, qualcosa che possa parlare a noi della più alta spiritualità come enèrgheia, virtus che conduce verso l’Alto, verso la Libertà, verso l’Azione pura, poiché libera da qualsiasi fine che non sia l’essere se stessa, essere la Potenza dello Spirito che affermandosi, ferma, trattiene, quale kathècon, lo scendere verso l’Abisso dell’Oscurità; qualcosa di più del Mistero divino che è l’epifania di Platone, nel larvale tramonto della Luce eterna dell’Ellade? Tale interrogativo, che è frutto del thaumàzein (stupore, meraviglia, timore religioso…) genetico del medesimo eros filosofico, non può che avere una risposta che i millenni, il tempo, il divenire, hanno consacrato: Egli è quella Luce dell’Ellade che rende visibile il Dio, amabile la Forma, tangibile la sua plasticità, che è il “toccare” il Dio di cui parlerà Plotino; Egli è la Virtus eroica e la decisione guerriera che dirige la battaglia onde chiamare, un’ultima volta, quello che era stato il Popolo degli Dei, all’Anamnesi del proprio Fato che, essendo Ananke (Necessità), impone la scelta: o lo si è oppure non si è più nulla, dileguandosi, nella nebbia dell’Oblio, la genialità, il miracolo, quell’unica ierofania che, in tutta la fenomenologia delle civiltà del Mondo, era stata solo l’Ellade di Omero, Esiodo e dell’immortale potenza dello Spirito tanto nell’Ascesi dell’Azione (la Guerra e la visione agonale della vita quale affermazione virile e splendidamente bella, nella sua giovanile baldanza, quasi altera, della Libertà di essere ciò che l’occhio del Dio vede) quanto nell’Ascesi della Contemplazione (che è Vedere e quindi Conoscere gli Dei ed essere da Loro visti e conosciuti in un dialogo, in un erotico confronto che è l’amore per la phýsis, per il Mondo, per il Corpo che è Anima e per l’Anima che è Corpo: amore per il Vivente, l’Uomo ed il Cosmo che sono il Divino). L’anima degli Elleni che Platone chiama al combattimento, componendo i suoi Dialoghi, quali immortali prove di iniziazione dello Spirito alla Verità e quindi bandi di arruolamento per l’ultima battaglia contro le tenebre del materialismo, non può non essere, secondo la sua più genuina essenza indoeuropea, la sapienza saettante di Febo Apollo e quella armata della Vergine Athena; le armi dello Spirito eroico del ciclo ellenico sono, infatti, la spada, la lancia e l’arco del guerriero che non escludono anzi si identificano nella e con la parola, la rivendicazione della libertà della stessa, che è la parresia, che si esercita tra gli uomini liberi che sono gli Àristoi, la contesa del Sapere che è la sfida, l’agone della battaglia tra gli animi, in un confronto tra gli stessi, bellicoso e pericoloso per l’onore e la fama, tanto nell’Agorà quanto nella retorica politico-giudiziaria; Platone, però a quest’anima e non solo ad essa, ma all’umanità intera e mediante proprio la potenza cosmica generatrice di Eros che è quello universale di Mantinea (nel Simposio infatti è superato l’Eros esclusivamente maschile, e quindi solo greco, di Pausania) indica soprattutto la linea di vetta del Fuoco interiore che, ardendo, brucia i detriti e purifica l’Animo, innalzando il Vivente alla generazione nel Bello che è la sola Forma visibile ed ellenicamente amabile del Dio.
Se il Platone vero ed autentico, poiché universale ed eterno, è questo Logos divino, e non certamente la opaca e vuota crisalide dell’erudizione professorale dei dotti ignoranti, la sua valenza immortale risiede proprio in quel Fuoco, in quella lotta dello Spirito, che deve essere viva e presente nell’animo agonico di ogni uomo che, vivendo le epochè crepuscolari, sente, vede, vuole anzi brama, la pienezza della Vita che si realizza nel più-che-Vita che è lo Spirito poiché la Verità dell’uomo è al di là dell’uomo; ed è proprio l’Eros per la pienezza e lo splendore della Vita, l’Amore per la stessa e le sue Forme, ciò che è la Visione, essa apre l’Anima ellenica allo stupore per la luminosità del corpo medesimo che è il Vivente, in un insieme unitario ed organico, gemma della civiltà indoeuropea. Cosa ha a che fare tutto ciò, che è l’essenza stessa del Platonismo, della e-videnza dell’Idea e del suo Culto, simile a quello degli Dei Olimpii, con un esangue e candido cantore della negazione del corpo e della sua vita come del mondo medesimo, che fugge in un “altro” mondo che è poi quello effettuale all’allucinazione psichica dei dualisti, tanto gli orfico-pitagorici che i successivi cristiani i quali addirittura fecero “entrare” Platone in convento?
Nulla, assolutamente nulla! Platone, infatti, ha lottato, per tutta la sua vita, contro il male del dualismo che è il padre del materialismo: Platone è Apollo, poiché Apollo, nella sua più alta e sublime espressione, è la Forma luminosa della Misura che è il Bene, Conoscenza ed Armonia suprema, Potenza del Limite (Uno) che tiene, determina e dà forma all’Illimite (Dualità): la via apollinea di Platone è, pertanto, in termini ermetici, la Via Secca della Fissazione del Volatile, che può abbracciare anche quella Ultrasecca, necessaria nell’Età Oscura, ed è la Via del Guerriero o dell’Eros, condotta dal Furor Bellicus o dalla mania erotica, ambedue le Vie, di evidente ascendenza indoeuropea, nulla hanno in comune, né possono averlo, con qualsiasi forma o esperienza di Via Umida, evasionista, dualista e, quindi, negatrice, per paura e per debolezza, del Mondo, della Polis e della Cura del Vivente che è l’Uomo e lo Stato. Platone così rinnova in una spirituale ed epocale rivoluzione conservatrice, la stessa Tradizione omerica nonché la sapienza di Parmenide, situandosi nel loro aureo solco.
Nel Novecento coloro i quali hanno vissuto Platone in cotale guisa, poiché hanno sentito ed amato la propria anima come simile a quella del Divino ateniese, non vi è dubbio che siano stati tre eccelsi spiriti europei: Heinrich Friedemann, Kurt Hildebrandt e Giorgio Colli; essi, infatti, proprio come è sempre accaduto, dalla morte fisica di Platone in poi, vivendo in una Età crepuscolare che è di sofferta transizione e che, secondo la Sapienza espressa dalla Spirale di Stefanio, antico simbolo ermetico-alchemico ellenistico, coincide con il precipitare nell’Oscurità del Centro della virtus solare, che è l’Io conosciuto tale nella discesa, e quindi con l’interiorizzazione del Sacro e del Culto in un Rito filosofico interiore; hanno essi, misteriosamente ed in guisa salvifica, incontrato e/o cercato la presenza luminosa del Logos platonico, come è avvenuto al tramonto del mondo classico greco-romano con il neoplatonismo, nell’autunno del Medioevo con il Platonismo dell’Umanesimo e del Rinascimento, nonché nella tarda e crepuscolare modernità, con il primo Schelling, l’immenso Hegel e il sulfureo Evola. Essi ci hanno lasciato degli autentici gioielli, frutti della vita, della gioia, della sofferta ed erotica lotta per la Potenza dello Spirito sia nell’uomo che nella Comunità politica; solo entrando nelle loro pagine e vivendo le stesse in una percezione sottile di quelle immagini, di quei simboli, di quelle visioni, si può, ancora e sempre, vivere Platone, conoscendo il suo vero volto. Friedemann, insieme ad Hildebrandt, apparteneva al fatidico Circolo di Stefan George che, in Germania, all’inizio del XX secolo, diede vita ad una straordinaria comunità platonica composta virilmente da illustri e geniali spiriti i quali videro, attraverso le nebbie dell’ignoranza, la Luce del Divino Maestro e la indicarono ai contemporanei quale Via Europea dello Spirito per la restaurazione della Salus Publica. Il primo, da giovanissimo, compose un’opera nel 1914 dal titolo: Platone. La sua forma (Bompiani, 2012), che fu anche il suo testamento spirituale nonché l’arma spirituale che impugnò quando volontario si arruolò nell’esercito germanico e partì per il fronte dove trovò il compimento del suo Fato, morendo nel 1916, a soli 26 anni. Autentico eroe ed esempio solare di quello straordinario e magico clima che si respirava nella Germania e in tutta l’Europa nei primi decenni del XX secolo e che manifestava plasticamente la Rivolta spirituale e politica della gioventù nei confronti di una stupida modernità ormai avanzata e che si avvertiva foriera di ben più catastrofiche conseguenze. Dinanzi a tale frattura degli animi, l’opera di Friedemann non solo indica Platone e la Forma come realtà apollinea dello Spirito ma la declama come il Ritorno dei popoli europei alle Origini e quindi allo Stato come educazione virile degli spiriti e la Salvezza dell’Animo del Popolo, quali Idee reali ed ascensionali. Hildebrandt, suo discepolo, pubblicherà successivamente, nel 1933, l’altro gioiello della George Kreis: Platone. La lotta dello Spirito per la Potenza. Ed è da notare che, nel 1933 e nel suo sottotitolo, compaiono due parole altamente significative per quegli straordinari e rivoluzionari momenti della vita spirituale tedesca: la Lotta (Kampf) e la Potenza (Macht).
Libro veramente sublime per la sua organica sistematicità che conserva, però, sempre quel pathos, quel Fuoco di cui si era nutrito il suo eroico maestro; libro che, non a caso, venne tradotto in italiano da Giorgio Colli e pubblicato da Einaudi nel 1947 che è anche l’anno in cui Colli pubblicò in poche centinaia di copie, il terzo gioiello di cui vogliamo far cenno in queste righe e che, anche se in guisa spiritualmente orfico-dionisiaca e quindi nicciana, risiede nel mondo dei Friedemann e degli Hildebrandt, quale sublime sentire il Logos di Platone come ardore e brama erotica del Sapere, presente, misteriosamente presente, nonostante l’oscurità, agli occhi dell’Animo nell’uomo moderno. Tale gioiello è il libro: La natura ama nascondersi, (Adelphi, 1988; titolo che è un noto frammento di Eraclito; si veda anche: Filosofi sovrumani, Adelphi 2009), opera che il Colli aveva già scritto, comunque, sin dal 1939. Il suo eroico e radioso contenuto fa comprendere le ragioni sapienziali della traduzione che il Colli stesso curò dell’opera dell’Hildebrandt che appartiene, come abbiamo affermato, ad una simile visione del Mondo; siamo, infatti, fortemente convinti che, se si entra nel significato profondissimo espresso dal Colli nel testo succitato, sulla Verità iniziatica del Fedone platonico ed essenzialmente sulla potenza (Macht, in tedesco, proprio in riferimento al semantema originario della parola, derivando la stessa dal radicale indoeuropeo mag che è la madre della parola magia) della Visione dell’Anima “essa stessa per se stessa” = “autè kath’autè, la quale vede se stessa nella Phýsis, si può riconoscere, come accadde a chi scrive oltre trent’anni addietro, la medesima come Psyché universale, cioè Anima del Mondo, in una riapparizione tanto della Verità di Parmenide sull’Essere che è il medesimo del Pensare quanto sul Braman che è l’Atman delle Upanisad.
Platone chiude il ciclo ellenico, dopo di Lui vi è il meriggio sereno di Aristotele, come se non fosse accaduto nulla durante il giorno, ma poi venne la notte e l’Ellade si oscurò: la Luce di Platone era però riapparsa in Italia, nel Latium, che nasconde il Mistero del Sat-urnus cioè dell’Essere, Roma pertanto è la sintesi divina della Sapienza armata di Atene (Athena), del Silenzio guerriero di Sparta (Marte) e del Battaglione Sacro di Tebe (la Legione e la sua Aquila) nonché della Res Publica Romana quale irruzione del Sacro nel Mondo, nella Forma di un nuova Politeia platonica quale Archetipo divino che si fa storia: ed il Fuoco si rinnova nella traslatio Imperii!
Giandomenico Casalino