Verso il Misticismo Neoplatonico. Un percorso filosofico (XIV parte)
In un’oscura domenica invernale di vento e pioggia decido di visitare un’esposizione d’arte moderna nel museo vicino casa. Arrivato, pago il biglietto e m’addentro nella sala principale senza avere bene idea di che cosa aspettarmi. Attorno a me regna una disarmonia tale da indurmi inizialmente a credere che l’edificio sia in manutenzione e mi vengono in mente varie immagini di scatoloni dei miei ultimi affannosi traslochi. Osservando con più attenzione, capisco il malinteso: quella è l’esposizione. Per rifuggire dallo stereotipo dell’Italiano medio che starnazza sempre la sua insindacabile opinione all’estero, applico la stoica “sospensione di giudizio” per non entrare in un circolo vizioso di sdegno verso quelle opere, dovuto certamente alla mia ignoranza. Guardo senza capire la prima opera con vasi di vernice vuoti apparentemente abbandonati alla rinfusa su un vecchio tappeto consunto e sfilacciato; la seconda con una sedia d’ufficio rotta in una rete di pescatori; mi soffermo sulla terza: una parete di cartongesso su cui è stata incollata una madonna, di traverso, simile ad un’incompiuta del Mago Silvan quando segava in due le vallette. C’è uno stivale sporco e a fianco un cesso pronto all’uso e sotto il medesimo, orrore, il busto del dio Nettuno con tanto di tridente (nonne nefas est?). Ormai la mia sospensione di giudizio vacilla e quasi perdo l’equilibrio inciampando su uno pneumatico appoggiato con inutile perizia sulle altre macerie. Leggo una tanto pomposa quanto autorevole spiegazione di ciò che ho visto, sulla demitizzazione delle culture che ci hanno condizionato e presi in giro, con una perorazione della libertà dell’individuo dal suo passato. La distruzione dell’arte, intesa come momento artistico. Penso alle statue di Buddha di Bamiyan fatte saltare dai talebani: a distruggere si fa poco, ma costruire bene è un’altra cosa. Il mio giudizio non è più sospeso, ormai sono ostile a quanto vedo… ammetto i miei limiti sulla pratica dello stoicismo. Qui non c’è nulla per me e forse venire all’esposizione non è stata una grande idea, potrei quindi interrompere la vista e ritornarmene a casa, pioggia permettendo. Alzo lo sguardo verso la vetrata dall’altra parte della sala. Fuori è già buio da un pezzo. Al di là del vetro, in quello che sembra un cortiletto interno all’aperto, quasi un impluvium, scorgo nell’oscurità una regale sagoma. Incuriosito, con una certa dignitosa urgenza, quasi come un fumatore alla ricerca di un angolo nascosto dove accendere una sigaretta, chiudo il cappotto ed esco a vedere di che si tratta.
Per quanto moderna, si erge maestosa una scultura con tanto di scudo, elmo, chioma, statura, fierezza e vibrazioni: è Lei, nell’oscurità, Minerva, impassibile, in disparte dal caotico nulla dell’esibizione. La faccia è solo accennata, non ha occhi, ma sento la sua azzurrità. Pioggia sulla mia testa e un’imbarazzata commozione di sentirmi a casa, dopo tanta estraneità. Proclo, che aveva una grande devozione per la Dea occhio ceruleo, diceva che il prodotto mantiene dentro di sé un’attrazione verso la causa che lo produce. Ciò che sento nel petto è il desiderio verso la fonte, il ritorno, l’epistrophé. Minerva, nata dalla testa di Giove armata di tutto punto, ossia generata dal Nous demiurgico, si eleva là, davanti a me.
Guardo intorno a me, all’aperto, nel patio: nessuno. Dentro: la folla, attorno alle opere dell’esposizione. Le vie del caos e della distruzione culturale sono più facili della ricerca del Nous. Ormai la vera cultura rivoluzionaria è quella classica, in quanto quel materialismo patetico mi sa di minestra riscaldata e insipida, di pigri figli di papà radical chic che non sarebbero degni nemmeno come portatori di pietre per il maestro Fidia. Mi viene in mente un episodio della vita di Proclo, così come raccontato dal suo discepolo Marino. Quando egli giunse ad Atene per la prima volta, volle subito vistare l’Acropoli. Ormai la Grecia stava rinnegando secoli di sapienza, trascinata nella spirale dogmatica del cristianesimo, e i templi erano a poco a poco dimenticati per poi essere usati come cave all’aperto (distruzione del passato, tema della mostra). Quando Proclo giunse ai cancelli dell’Acropoli incontrò il custode che esclamò: “Certo, se tu non fossi venuto, avrei chiuso”. Che dire, noi politeisti moderni ci sentiamo tutti un po’ come Proclo, per giungere a visitare i nostri luoghi e le nostre pietre con un occhio diverso da quello del turista o del viandante, mossi da quel desiderio di divinità, il ritorno, l’epistrophé.
La costruzione metafisica di Proclo è a dir poco monumentale. La sua opera “Teologia Platonica” è incredibilmente lucida, con riferimenti incrociati alle opere di Platone e di altri grandi filosofi dell’antichità. Vediamo a grandi linee come si dipana la profondità metafisica di Proclo.
La causa prima di ogni cosa è l’Uno, in piena sintonia con la tradizione neoplatonica che identifica l’Uno di Parmenide con il Bene di Socrate. L’Uno può essere onorato solo con il silenzio e con l’unificazione a monte del silenzio stesso. Come ogni ente, l’Uno è caratterizzato dalla propria esistenza e dalla propria energia. L’esistenza dell’Uno è il “Principio del Limite”, la sua energia è il “Principio dell’Illimitato”. Il Principio del Limite è ciò che conferisce un limite e un’identità a ogni cosa e nella sintesi geometrica estrema potremmo associarlo alla definizione più basica dell’universo: il punto. Anzi, dal momento che non è partecipato, è la causa del punto. Il Principio dell’Illimitato esprime invece la potenza illimitata dell’Uno, il principio dell’espansione senza limite. Questi compaiono nella mitologia di Orfeo rispettivamente come Etere e Caos e combinandosi tra loro s’intrecciano in tutto il cosmo.
La potenza dell’Uno ha come effetto una classe partecipata di caratteristiche individuali dell’unità, le Enadi, che conferiscono unità all’universo. Queste si dividono in unità indipendenti, che sono gli Dei, e dipendenti dallo spazio e dal tempo, che sono le loro rappresentazioni divine. A ogni Dio partecipano i suoi effetti, generandosi così una corrente ascensionale che costituisce la provvidenza. Gli Dei quindi sono la partecipazione degli enti indipendenti (Essere, Vita, Intelletto, Psiche, Natura, Soma) alle Enadi, quindi riflettono le caratteristiche ontologiche delle Enadi nell’ente in cui dimorano. Gli Dei sono sopra l’Essere (superessenziali) e anche sopra l’ente Vita, (supervitali), oltre la generazione e la moltiplicazione. Gli Dei inoltre risiedono oltre l’ente Intelletto (superintellettuali), ossia trascendono la Mente stessa. Essendo gli Dei prossimi all’Uno, hanno la caratteristica di essere unitari, perché l’Uno è l’Unità assoluta, di essere buoni, perché l’Uno è anche il Bene assoluto, di essere divini, perché l’Uno è Dio assoluto.
In ogni ordine, si individuano funzionalità differenti delle divinità. Il Dio o gli Dei che presiedono alla causa non partecipata, rappresentando l’essenza della causa stessa o la sua permanenza, sono gli Dei Padri (πατέρες) e identificano la serie “paterna”. Gli Dei che presiedono l’attività della causa o la sua progressione e che quindi presiedono al processo di differenziazione e produzione sono le Dee Madri (μητέρες) e identificano la serie “generatrice”. Gli Dei che presiedono l’Effetto o il ritorno sono gli Dei Figli (γεννήματα) e identificano la serie “perfezionante”. Negli ordini minori compare una quarta serie partecipata dall’Energia interna della Causa non partecipata, la serie degli Dei guardiani (φρουρητικός). In altre parole ogni causa non partecipata (Essere, Vita, Intelletto, Psiche, Natura, Soma) identifica un ordine divino e all’interno di ogni ordine si differenziano tre principali serie di Dei, quella paterna, quella generatrice e quella perfezionante.
Il primo ordine sotto le Enadi è l’Essere, dove dimorano 3×3=9 Dei noetici (intellegibili). Quindi segue l’ordine della Vita, con 3x3x3=27 Dei noetici e noerici (intellegibili e intellettuali). Segue la Mente, con un totale di 72 Dei noerici (intellettuali). Tra questi Saturno è il Dio Padre della Mente, ossia la mente pura, permanente, non mescolata. Quando un’anima giunge a innalzarsi al livello di Saturno vive l’esperienza mistica dell’enosi, la pace duratura, il Porto Sicuro. Non sorprende che nei Saturnali si celebri l’età dell’oro di felicità perpetua. La progressione della Mente è la Dea Rea, che rappresenta la vitalità generatrice della mente stessa, la potenzialità di generare pensiero. L’attività della Mente è Giove, il Demiurgo, colui che può accedere alla purezza delle forme e copiarle sotto, nel cosmo.
Nell’ordine della Psiche avviene la maggior parte delle nostre attività spirituali. Gli Dei più alti sono trascendenti, non raggiungibili direttamente. Sono chiamati ipercosmici perché non dimorano nel nostro universo, ma metafisicamente sopra di esso, oltre la volta celeste. Tra essi si trova la triade paterna o Demiurgica, costituita da Giove, Nettuno e Plutone, che al livello superiore è unificata nel demiurgo noetico Giove, poi la triade vivificatrice chiamata Core, costituita da Diana – Ecate, Proserpina e Atena (triade femminile in quanto legata alla Vita o serie materna), la triade innalzante di Apollo – Elio e la triade immacolata dei Coribanti.
Sotto gli Dei ipercosmici, sempre nell’ordine della Psiche, ci sono gli Dei simultaneamente ipercosmici e cosmici. Questi Dei hanno la caratteristica di poter stare contemporaneamente nel nostro cosmo e nell’ipercosmo, quindi sono gli Dei a cui naturalmente sono rivolti i nostri rituali per la loro caratteristica di essere un ponte. Riconosciamo tra loro la serie degli Dei dell’Olimpo: la triade demiurgica costituita da Giove, Nettuno e Vulcano, la triade guardiana da Vesta, Minerva e Marte, la triade vivificatrice da Cerere, Giunone e Diana, e la triade innalzante costituita da Mercurio, Venere e Apollo.
Sotto ancora ci sono numerosi Dei encosmici, come i pianeti, e ancora, sotto gli Dei, i demoni che sono preposti a miriadi di funzioni, come quelle naturali della necessità, ma anche a ruoli di guida quando aiutano il teurgo a innalzarsi agli Dei.
La gigantesca opera di Proclo può assorbirci a tal punto da generare il grande fraintendimento che basti lo sforzo intellettuale per avvicinarsi agli Dei. In realtà Proclo, con la sua produzione di inni e con l’esempio della sua stessa vita ci manda un messaggio completamente diverso: la teologia non basta, la teologia dà supporto alla religio ma non la sostituisce. È da qui che occorre partire. Secondo Proclo, tutto naturalmente intona un inno per ritornare all’origine, persino gli eliotropi e i girasoli partecipano, elevando un “inno fisico” quando suonano nel vento o quando si volgono al sole. Tutto è connesso, tutto è un’imitazione del livello superiore. I rituali nel mondo fisico attirano i numi che ci muovono verso le alte sfere: quella sorta di leggerezza nel cuore che si sente dopo aver partecipato a un buon rituale.
Un improvviso colpo di vento mi riporta sul piano terreno, davanti alla statua. Mi meraviglio di dove mi abbia portato una catena di pensieri. Non so se sono restato là, imbambolato, due secondi o venti minuti. La statua sembra sorridere. Sorrido anch’io, quasi complice. Sì, è da qui che dobbiamo ripartire, dall’esperienza diretta del divino, in una struttura chiara e organizzata, che si erge sopra il pensiero caotico. Saluto la Dea ringraziandola dei pensieri. In quella mostra mi sentivo perso, ma adesso posso uscire sicuro, in un universo ordinato e divino. La consapevolezza è il primo passo verso la via del ritorno.
Fori Hadriani scripsit, Id. Feb MMDCCLXXI
Mario Basile