Da anni giace inascoltata la richiesta di far luce sul mistero: Alessandro Magno o l’Evangelista?
Tra le tante “scoperte” storiche che vengono starnazzate sul web da siti di archeo-misteri ce n’è una che non va catalogata come bufala, ma va approfondita.
Ci riferiamo alla presunta esistenza dei resti di Alessandro Magno a Venezia.
Come noto, la basilica di san Marco, cattedrale metropolitana, custodisce sotto l’altare maggiore le spoglie di s. Marco Evangelista.
La basilica stessa è stata edificata per accoglierne le spoglie.
L’evangelista Marco fu, infatti, scelto dal doge Giustiniano Partecipazio per consolidare la supremazia della città lagunare: il santo aveva evangelizzato i veneti, diventandone patrono e simbolo (il leone alato). Trasferire la venerazione del santo a Venezia, che diventava così meta del suo culto, avrebbe portato enormi vantaggi, anche economici.
Le reliquie vennero così trafugate su commissione del doge nell’828, ad Alessandria d’Egitto. Protagonisti due mercanti/spie: Buono da Malamocco e Rustico da Torcello. Partecipazio, che morì un anno dopo l’arrivo a Venezia delle reliquie trafugate, dispose per testamento la costruzione di una basilica “degna per mettere definitivamente a dimora le ossa del santo”. La prima chiesa fu così edificata nell’832 accanto al Palazzo ducale; l’edificio venne poi sostituito in situ da uno nuovo nel 978. La basilica attuale risale, invece, a una successiva ricostruzione completata nel 1094: in quell’anno fu anche ritrovato in un pilastro il corpo di san Marco, nascosto durante i tanti lavori e poi dimenticato. Altri restauri e rifacimenti si susseguirono, senza cambiare ubicazione alla chiesa. Insomma, una storia un po’ travagliata, con spostamenti ripetuti e non documentabili delle spoglie del patrono, che, comunque, sono sempre rimaste lì. Nel 1811 si decise di ispezionare la sepoltura per spostare san Marco sotto l’altare maggiore onde evitare il rischio inondazione.
Fu così che arrivò la prima sorpresa: l’ispettore, il conte Manin, si ritrovò due cadaveri, uno intatto, testa compresa, dell’altro solo alcune ossa. In quel tempo non esistevano prove del Dna o analisi al Carbonio 14 e le indagini furono superficiali. Pertanto la cosa finì lì, senza troppo clamore.
Ma perché due corpi?
Occorre, allora, fare un passo indietro, ad Alessandria d’Egitto.
Come noto ad Alessandria è stato sepolto Alessandro Magno, morto nell’anno 323 ante era volgare. In base alla versione riportata dalle fonti, Alessandro fu imbalsamato e trasportato in Egitto per volere di Tolomeo I, già suo generale. Custodito dalla dinastia tolemaica, il corpo del sovrano, dopo una prima tumulazione a Menfi, venne trasferito ad Alessandria e collocato in un gigantesco mausoleo di 800 x 600 metri, simile ai recinti sacri di Menfi. Secondo la gran parte degli studiosi il mausoleo era posto in prossimità dell’incrocio fra le due vie principali che attraversavano ortogonalmente l’antica Alessandria ed era conosciuto come il Sema (tomba) o Soma (corpo) di Alessandro.
Venne venerato per secoli e omaggiato da illustri personaggi almeno fino all’anno 390 era volgare: da Cesare ad Augusto, a Caligola (che, secondo Svetonio, si impadronì della sua armatura), da Settimio Severo (che fece sigillare il sepolcro affinché il sonno dell’eroe non venisse più disturbato) a Caracalla.
“Ottaviano – scrive Svetonio – pose una corona d’oro e sparse fiori sul sarcofago che custodiva il corpo di Alessandro Magno nel sancta sanctorum; gli chiesero poi se voleva vedere la tomba dei Tolomei. Così rispose: Il mio desiderio è quello di vedere un re, non cadaveri”.
“Il Soma, come viene chiamato, è una parte del quartiere reale. Questa è stata la cinta muraria, che conteneva i luoghi di sepoltura dei re e quello di Alessandro”: così Strabone, testimone oculare nell’anno 25 prima dell’era volgare.
Diodoro, da parte sua, afferma di aver visitato Alessandria d’Egitto e visto, con i suoi occhi la tomba di Alessandro Magno costituita da un temenos, ovvero un recinto sacro che faceva parte di un mausoleo.
E così arriviamo al 391, anno dell’editto dell’imperatore Teodosio che bandì la religione pagana dall’impero. Da allora, si stima la progressiva distruzione fisica del mausoleo. Qualche decennio dopo Alessandria fu anche sconvolta da un maremoto. Fu così che si perse memoria del Soma.
Parallelamente, sempre ad Alessandria, nel primo secolo dell’era volgare, predicava s. Marco, che fu anche primo vescovo della città. La tradizione riporta che il santo fu lì martirizzato, trascinato da cavalli sino a staccargli la testa ed in segno di ulteriore disprezzo condannato alla cremazione; si narra che alcuni fedeli siano riusciti a trafugarne le spoglie combuste per dagli degna sepoltura. Nel quarto secolo, sconfitto il paganesimo, si comincia poi ad avere notizia di pellegrinaggi sul luogo del martirio dell’Evangelista. Era usanza cristiana sostituire i culti pagani con i propri e così avvenne la sostituzione del culto pagano di Alessandro con la venerazione cristiana di san Marco creando, di fatto, la reliquia del santo. La venerazione avveniva in una chiesetta costruita appena all’interno delle mura, all’altezza della porta orientale dell’Alessandria medievale (chiamata Porta del Cairo o Porta di Rosetta), ossia dove antiche cartografie segnalavano proprio il Mausoleo, nel crocevia cioè dell’antica Alessandria: si ritiene infatti che le mura siano i resti di quelle del recinto della tomba di Alessandro. Insomma, nello stesso luogo comparve il corpo di san Marco e sparì (ufficialmente) quello di Alessandro.
La chiesetta, negli anni, divenne anche meta di pellegrinaggio di mercanti veneziani che vi rendevano grazie per il buon esito dei viaggi.
Quando Buono da Malamocco e Rustico da Torcello giunsero ad Alessandria per trafugare san Marco vennero facilitati dalla circostanza che la chiesetta era oggetto di mire predatorie da parte del governatore islamico. Fu così che i preti custodi, per proteggere le reliquie, permisero ai due veneziani di portare via i resti del santo (o, forse, si fecero corrompere). Quando scostarono la pietra tombale, si accorsero però che i corpi erano due. Non avendo tempo per approfondire, i mercanti misero tutti i resti in una grossa cesta, ricoprendola di teste di maiale per nascondere i profumi speziati provenienti da una delle due mummie (e fugare l’ispezione delle autorità portuali islamiche). Dopo un mese e mezzo di navigazione i due sbarcarono in gran segreto a Venezia e solo a cose fatte, con le reliquie sistemate in una piccola cappella, il doge avvisò la popolazione.
Tutta questa storia, che sembra un romanzo d’avventura salgariana, si è corroborata di verità grazie agli studi di un ricercatore britannico, Andrew Michael Chugg, pubblicati nei suoi due libri “The Lost Tomb of Alexander the Great” (2004) e “The Quest for the Tomb of Alexander the Great” (2007).
“Già nel 2006 al convegno Eroi, Eroismi, Eroizzazioni, organizzato all’Università di Padova – scrive la ricercatrice veneziana Teresa dalle Vacche (Il Gazzettino, 29.6.2012) – Chugg espose al mondo accademico le prove delle connessioni, a suo dire, esistenti tra la storia della reliquia di San Marco e la mummia di Alessandro Magno”. E così prosegue. “A supporto della propria tesi Chugg fa riferimento ad un importante indizio che stabilirebbe una diretta connessione tra San Marco e Alessandro Magno: un grosso e pesante blocco di pietra rinvenuto nel 1963 durante alcuni lavori di manutenzione nella fondazione dell’abside della Basilica marciana, in una zona molto vicina alla cripta dove in origine fu collocato il corpo del santo e pertinente al primo edificio fatto costruire dal Doge Giustiniano Partecipazio. La pietra, oggi conservata nel Chiostro di Santa Apollonia, attuale sede del Museo Diocesano d’Arte Sacra di Venezia, presenta alcuni rilievi: sulla facciata principale uno scudo con la stella argeade a otto punte simbolo della famiglia reale di Filippo II, padre di Alessandro, due schinieri e la traccia di una lunga lancia, forse una sarissa; sul lato sinistro una spada appesa ad una fascia, identificata come la spada macedone. Per Chugg la pietra sarebbe un frammento lapideo di una tomba regia macedone, forse proprio del Soma/Sema di Alessandro. Ora è doveroso segnalare che prime analisi svolte sulla composizione del materiale sembrerebbero smentire la tesi dello studioso inglese dando alla pietra un’ origine locale (pietra di Aurisina, vicino a Trieste). Tuttavia, in una località che Chugg ha individuato vicino al braccio occidentale del Nilo (una nel Sinai, l’altra ad Abu Roash, non lontano dal Cairo, ndr) esiste una pietra con la stessa composizione fossile presente nella pietra conservata a Venezia e pertanto ulteriori analisi sono state richieste dallo studioso al fine di accertare in modo inequivocabile la provenienza e la datazione del materiale. A fronte delle sue ricerche nel 2005, Chugg ha anche avanzato formale richiesta all’autorità ecclesiastica per un’approfondita indagine scientifica sui resti di San Marco, che si avvalga delle più moderne tecniche forensi”.
Secondo Chugg, anche una semplice Tac potrebbe bastare, in quanto Alessandro riportò diverse ferite.
L’autorità ecclesiastica, a distanza di dieci anni, deve ancora rispondere.
Inoltre, se la roccia di cui è composto il frammento lapideo di cui sopra risultasse davvero provenire dall’Egitto, ciò significherebbe che i due mercanti veneziani l’hanno trovata nella Chiesa di san Marco ad Alessandria e l’hanno portata via insieme ai resti del santo, ritenendo forse che essa fosse in qualche modo connessa con il suo culto. E se anche dovesse risultare che il blocco è costituito da pietra di Aurisina, si potrebbe ipotizzare che i due mercanti abbiano fatto riprodurre su un blocco di pietra locale un disegno che avevano visto all’interno della chiesa.
Ma c’è dell’altro.
Un motivo straordinariamente simile a quello del blocco della basilica (cioè il sole macedone, gli schinieri e la spada appesa alla fascia) è disegnato sul murale di una tomba risalente al II secolo ante era volgare ritrovata ad Edessa, vicino Pella, la città natale di Alessandro.
Inoltre, il motivo della spada appesa alla fascia si trova in numerose tombe del periodo ellenistico.
Infine, nella basilica di Venezia, tra le prime due arcate, c’è un bassorilievo bizantino che rappresenta Alessandro Magno che vola in cielo su un carro trainato da due grifi alati (animali mitologici con becco d’aquila e corpo di leone).
Qualcuno che sapeva ha voluto lasciare indizi? E che dire dei cavalli della Quadriga del Sole di Lisippo, sopra la basilica?
Insomma, diverse circostanze lasciano aperta la possibilità che in san Marco siano sepolti insieme Alessandro Magno e l’Evangelista.
Non resta che associarci alle richieste di Chugg di riesumare e analizzare i resti dei due cadaveri e la pietra.
Paolo Casolari