Se accogliamo l’etimologia della parola religione che la fa derivare sia da Lattanzio (Divinae institutiones, IV, 28,2) che da Servio (Ad Aeneadum, VIII, 349), che è accettata da Ernout-Meillet nel Dictionaire ethimologique de la langue latine e che intende religio da religare, cioè collegare, relazionare, mediare, quindi legarsi faccia a faccia con il Divino, con gli Dei; allora possiamo pensare alle “religione della mente” come ad una relazione, un legame, un collegamento che media tra due realtà: quella di colui il quale o di coloro i quali esperimentano tale forma religiosa, tale rapporto con il Divino ed il Divino medesimo. C’è di più: se si parla di mente è implicito che quel “della mente” ha un doppio significato, cioè è sia la religione che ha per “oggetto” la Mente come il Divino che la religione che appartiene alla Mente quale soggetto a cui pertiene il rapporto, il collegamento, la relazione che è il religare da cui religio.
In tale prospettiva (si veda come già si procede nel percorso spirituale in quanto “stazioni gradate di conoscenza…”!) il religare si effettua, si realizza, consiste nel rapporto sussistente ab origine, in forza della natura medesima di homo religiosus, quale sostanza distintiva della sua essenza più intima che è ciò che noi chiamiamo Anima, tra questa e la medesima Realtà che è allo stesso “aliena” in quanto è l’Altro di sé medesimo. Detto ciò, siamo caduti nella frattura, nella scissione, nella divisione, ed abbiamo, pur senza volerlo intenzionalmente, spezzato quel religare; ed è la morte, la cessazione della mediazione, la fine della relazione in quanto medietà che media tra due unilateralità, tra due punti di vista che sono l’immediato, onde giungere all’Intero che è l’insieme, il complesso di tutte le mediazioni, e ciò ai vari e differenti livelli e dimensioni dell’Intero medesimo che, come insegna Hegel, è il Vero.
Se l’Intero è il Vero che supera quindi la frattura, la scissione, il rapporto, il religare, nella religione della mente, tra homo religiosus, che è come dire uomo tout court, e la Mente, è l’Intero che è il Vero; se è così, possiamo e dobbiamo dichiarare la nostra consapevolezza intorno al fatto che la religio è la mediazione tra l’Io e il Mondo, quale Via manifestativa della Verità; Verità che non può non essere conosciuta in quanto esperita, vissuta: la Verità di quel rapporto è il Vero Assoluto poiché esso è libero e sciolto da qualsiasi legame in quanto al di là di tale Intero, che è tutto tenuto insieme dalla Necessità, non vi è Nulla, ed anche se si potesse pensare o parlare del Nulla, esso sarebbe sempre nell’Intero e sarebbe sempre, quindi, l’Intero, come dimensione dello stesso.
Conoscere la Verità, quell’Intero che è la mediazione che è immediata tra l’Io ed il Mondo, non può che significare la realizzazione della identificazione tra conoscente e conosciuto o, quantomeno, il Sapere intorno alla necessità teleologica di tale identificazione.
A questo punto, mutando prospettiva e termini dell’argomentare, è necessario percorrere una via che è a latere della precedente: l’uomo da sempre è capace di comprendere (composto da “prendere con”) nel senso di riconoscere quale simile a sé medesimo, ogni artefatto, cioè ogni complessa opera da egli stesso ideata e creata, poiché la mente che governa, anima, guida e muove l’uomo medesimo, lo induce, sempre ab origine e quindi costituzionalmente, a pensare, desiderare, ideare, progettare e costruire, creando, il manufatto che è frutto di tutto ciò; però l’uomo è, sempre ab origine, capace anche di comprendere, nella stessa guisa in cui accade per gli artefatti, ciò che non è frutto di pòiesis (come dicevano i Greci) ma lo è per phýsis, cioè per natura; l’uomo è capace quindi di porre la relazione, anzi l’uomo è la relazione stessa tra egli medesimo e la Natura, quale Cosmo vivente, e tale relazione è, nella sostanza, il conoscere, l’assimilare (è da notare che il significato del verbo è tanto “fare proprio” quanto “divenire simile a…!”) il Mondo nell’Anima.
Ora che l’uomo possa relazionarsi (religare) con gli artefatti quali enti dallo stesso pensati e creati, si può dire che è effettuale alla natura degli stessi, apparendo essi quali “proiezioni” delle sue (dell’uomo) immagini interiori; ma che l’uomo possa, altrettanto pacificamente, pensare, sentire, amare la Natura o fuggire da essa, conoscere la sua più intima essenza, mediante le varie differenti “tecniche” di conoscenza, che è sempre esperienza vivente, quali la mitico-poetica, la sapienziale-filosofica e la simbolico-metaforica, in quanto immagine, è quantomeno difficile da tematizzare. Ciò avviene in difetto di una Conoscenza propedeutica che è iniziatrice al Cammino e che è fondata sulla serena consapevolezza, di natura deduttiva, che, come la conoscenza degli artefatti è frutto della somiglianza degli stessi all’Animo dell’uomo in quanto mente, così la conoscenza della natura, quale artefatto non dall’uomo ma da Altra mente, è effettuale, non può non essere effettuale, ad una somiglianza altrettanto forte e decisa tra le due realtà che religano nella religio: la mente umana e la mente Altra.
Se vi è somiglianza vi è similitudine e quindi le “due” realtà non sono, ontologicamente, che Una realtà in quanto sono la stessa Realtà.
Ciò può essere affermato in virtù del principio che “il simile è conosciuto solo dal simile” (Empedocle, Diels, Framm. 109).
A questo punto del nostro procedere è necessario superare e lasciare dietro alla nostra coscienza, il ritornante ed umanistico errare insito nella visione dualistica e, pertanto, individualistica del soggetto spirituale: liberandosi da ogni equivoco, quindi, è d’uopo affermare che non vi sono la mente “mia”, la mente “sua”… e “l’Altra” mente ma bensì tutti noi esseri “pensanti” siamo suoi, in quanto governati dalla Mente (Una) e lo siamo in quanto stupidamente antropocentrici o, detto in termini più letterari, umanisti: quando e se si inizia il Cammino, andando oltre il religare come relazione che è la religio e quindi oltre il soggetto in quanto individuo, negando pertanto la sua miopia egoica e si procede verso la Conoscenza che è essere al di là del Due (Io e Mondo; mente “mia” e Mente “Altra”) giungendo con tutto il proprio essere alla Identificazione serena con la Luce del Pensiero (declinato solo così: né “mio”, né “tuo”, né “altro”) nella sua Realtà assoluta che è Cosmica, cioè Universale, solo allora possiamo e dobbiamo affermare, alla nostra coscienza ancora dualisticamente incredula, dubbiosa e spaventata, che Noi siamo il Pensiero, il solo e unico Pensiero Cosmico: ciò che è, nell’Essenza, il Tutto, dal Macrocosmo al Microcosmo, ciò che Anima, Governa e Conserva, nella mutazione continua e ciclica di nascita e distruzione, l’Universo che è, nella sostanza, una manifesta Energia Pensante; non vi sono pertanto “aspetti” materiali e “aspetti” spirituali, tali sono solo sciocchezze frutto di quella ignoranza che abbiamo lasciato indietro e che “qualificava” l’uomo ancora preda delle fisime antropocentriche in virtù delle quali era stupidamente e pericolosamente convinto di essere il padrone del mondo e del “suo” Pensiero.
Ciò che compete a tale Sapere non può che essere la sublimazione di tutto ciò che è solo “umano troppo umano” onde entrare nella realtà in cui siamo sempre stati in quanto Pensanti, solo che non ne avevamo la consapevolezza, cioè la Scienza; in virtù della stessa, la consapevolezza dello Spirito è il Sapere che il Pensiero di Pensiero, cioè il Pensiero che pensa Se stesso, che è l’Autoconoscenza, è la dimensione più alta del Pensiero ed è la Mente che emerge dalla Natura (cioè dal Corpo…) e vede nella Natura stessa (e nel Corpo medesimo…) il suo “passato” che non è tale ma, nell’Istante-Eterno del Sapere è, infatti, Eterno presente: il Pensiero che pensa e vede se stesso è da sempre, ab aeterno, egli Medesimo, anche se il viaggio compiuto è apparso, nel senso di sembrato, reale; lo stesso, invece, è solo pedagogico, come le stazioni e gli stati dell’essere nei Misteri. Pertanto solo noi, esseri pensanti ed in quanto tali, siamo ciò che non sappiamo di essere e di esserlo da sempre!
E il fatto (che è conseguente alla Caduta) che non lo si sappia è indicativo e probante della essenzialità finalistica della Natura pensante dell’Essere (o, come già affermava Parmenide, che l’Essere e il Pensiero sono il Medesimo!) in quanto l’Intero nostro Destino, come Natura propria da vivere, è il Sapere ciò che siamo (Gnòthi sautòn), ed è l’emersione della Mente dalla Natura, Mente che governa l’Anima del Mondo e che fugge verso il “solo a solo” che è l’Uno.
Essere Uno significa aver realizzato in quanto si è, come vivente, l’Unità di ogni elemento o dimensione dell’Essere, con ogni “altra” dimensione o stato dell’Essere, nel senso che la dimensione della consapevolezza è quella del Sapere che la concezione ingenua e stupida della Trascendenza, tipica di tutti i dualismi, siano essi “spiritualisti” o “materialisti”, è lo stato che appartiene al “passato” come dimensione dello Spirito che, se è necessaria per iniziare a vedere la Realtà, è pur sempre una tappa, una limitante conoscenza che legittima la subalternità dell’uomo, che è il pensante, ad uno stato spirituale che non è precipuo dello stesso ma bensì di “qualcosa” che non ha alcuna relazione con il Pensiero.
Quindi se Trascendenza deve essere, non può che essere Immanente, cioè il Tutto, anzi l’Uno il Tutto. E se non possiamo non giungere all’Uno, atteso che lo siamo da sempre, è anche e soprattutto vero che “essere Uno” non può non accadere che come conquista del Pensiero di Pensiero: essere Uno non può discendere o provenire o, in sostanza, essere Pensiero o Mente Una, se non come semplificazione ed unificazione del Mondo e nel Mondo, come Atto retroattivo, come Spirito o Mente che genera gli stessi presupposti e cioè le condizioni per essere, nella consapevolezza, ciò che è dall’Inizio e cioè dall’Eterno, e lo è da quando esce dall’Uno-Idea ed è alienato nella Natura per poi germogliare come Pensiero (nell’uomo) che pensa tutto questo “viaggio” e vede se stesso in esso come protagonista del medesimo in quanto “passato” che non è mai esistito: è lo stesso stato d’animo che fa dire, con convinzione, a colui che ama, che la persona amata è tale da sempre e che tutto ciò che si è vissuto ed esperito sino al “momento” dell’Amore non è mai stato reale, anzi non ha mai avuto realtà poiché un solo stato dello spirito è sempre presente e vivo ed attento, quello dell’Amore! Che è Conoscenza!
Retroattivamente il conflitto, il percorso, il Mistero, la Dialettica Vita-Morte, non ci sono mai stati: Tutto da sempre è Luce della Mente, Serenità, equilibrio diveniente dell’Essere che è Intelletto, Vita e Movimento (Platone, Sofista, 248e, 249a) ed è l’Intero che è il Vero.
Acquisita tale consapevolezza, ricca di Piacere e Gioia, che sono dell’Essere tutto nella sua esistenziale interezza, acquisita una inesprimibile Forza che è invincibile e serena Certezza che niente e nessuno potrà più nuocere e che anche ciò che procurerà dolore, non lo priverà mai di questo potentissimo “ Essere” nuovo ed antico, di questo autentico punto di svolta, di questo mutamento di “ punto di vista”, di modo di pensare, di essere e di vedere se stesso e il Mondo e se stesso nel Mondo, essendo tutto ciò un autentico “mutamento di stato”; conoscendosi pertanto tale, colui il quale abbia vissuto un’esperienza simile a quanto abbiamo sin qui tentato, per sommi capi, di esporre (anche se il “tema” è ontologicamente indicibile ed allo stesso si può solo fare cenno e indicarlo con immagini – Mito – o con “discorsi” che sono tutti inefficaci a presentarne il contenuto, atteso che quest’ultimo è Vita, esperienza, Intuizione e Visione non del singolo nella sua egoicità ma dello Spirito nella sua universalità, una volta che il primo si sia “svegliato” nella dimensione del secondo, uscendo dalla irrealtà del primo…!); cosa risponderebbe costui alla domanda: “che ne è della religione della mente?”, da cui e pur iniziato il Logos? La risposta è semplice e risiede, come un punto che chiude il periodo ed a ritroso dà il senso allo stesso sin dal suo nascere, nell’intero processo e nella natura intima della stessa parola-concetto di religio da religare. La “religione della mente”, quindi, quale collegamento, relazione tra due realtà, è il negativo, il limite, l’errore, la frattura, la scissione: è il dualismo che è il “male” della rappresentazione, è la cecità dello Spirito che non vede nella stessa rappresentazione se stesso; epperò è la Caduta dell’uomo nella situazione di spettatore passivo di uno spettacolo che da sempre si “rappresenta” dinanzi ai suoi occhi, ma la cui vera natura egli non sa vedere: tutto ciò è la Religione in quanto mediazione tra l’Io e il Divino, in quanto posizionamento dello spettatore dinanzi allo Spettacolo, ed è situazione pur necessaria, inevitabile esperienza che può e deve (in colui che vuole e cerca…) condurre lo spettatore a mutare la sua situazione, il suo stato, passando dalla platea al palcoscenico in quanto questi giunga allo stato d’animo della presentazione dell’intero Spettacolo a se stesso, unitamente a coloro i quali erano gli spettatori, ed è l’Unità del riconoscimento dell’Io nell’Altro, dove non vi sono più, poiché non vi sono mai stati, nè il primo nè il secondo, ma solo il Se che si specchia e si vede in ciò che prima, mitologicamente, era lo Spettacolo religioso, costituito dalla Teoria delle vicende e delle esperienze del Divino, che eventuano al di là del tempo e dello spazio, nell’Animo medesimo.
La Religione della Mente è, allora, l’unica esperienza dello Spirito, esaurita la quale, si perviene al Sapere che è la Sapienza; è il viatico, la dia-logica, nel senso proprio di “mediazione” dia-lettica tra due dimensioni del Logos onde giungere alla Intuizione-Visione che non è dis-correre, cioè passare da un pensiero all’altro e quindi vagare tra i Molti, ma è Nòesis , dicono i Greci, cioè ingresso immediato, repentino, istantaneo in uno stato dell’Essere che è tanto unitario, tanto luminosamente distinto da tutte le esperienze e dai discorsi pregressi che non è presentabile mediante gli stessi, per la semplice ragione (forse è questa la vera e profonda radice della indicibilità del Sapere o della Visione e cioè dei Veda…) che fa riferimento, ha per contenuto, è nella sua intrinseca natura, nien’altro che lo stato della Mente radiosa, lo stato di Apollo Febo che vede se stesso nel Tutto, essendo intima Gioia e Gloria; stato “naturale” e non eccezionale e, secondo Aristotele, il solo vero stato precipuo dell’uomo: la Religione della Mente è, pertanto, Rito interiore di purificazione (etimo = fare fuoco), considerazione esoterica del Divino (Hegel) e quindi iniziazione alla Tradizione Platonico-ermetica che è servizio divino, celebrazione dell’Anima e nell’Anima.
Giandomenico Casalino