Da Federico Fregni riceviamo e pubblichiamo questa interessante riflessione sul mese di dicembre e sugli aspetti allegorici e mitologici dell’ancestrale passaggio tra l’età ferrea e l’età aurea.
E’ Dicembre che questo scritto vuole indagare, in particolare il suo inizio immediatamente prima delle celebrazioni dei Saturnalia, ad un tempo stesso trionfo dell’Età ferrea e dell’Età aurea.
L’antico calendario di Roma, i Fasti, non era solo uno strumento di misurazione del tempo, ma anche una trasposizione mitica, archetipica ed allegorica del ciclo delle ere nella vita umana; pertanto è facile identificare l’ultimo dei dieci mesi arcaici, appunto decem-ber, come simbolo del periodo di passaggio tra l’Età ferrea e l’Età aurea.
I trionfi del caos e del selvaggio, nella sua forma più anti-civile ed anti-umana furono aspetti certamente non sottovalutati da Numa, che proprio nel periodo che prendiamo in esame, l’inizio del mese decimo, dal giorno 5 al giorno 8, collocò la festa dei Faunalia rustica, celebrazioni in onore di Fauno, protettore delle campagne, delle raccolte e dei pastori.
Fauno si pone come divinità tutelare dei campi e amica degli uomini: non ne va mai dimenticata la comune identità bifronte che, oltre a questi già menzionati aspetti, lo pone anche come entità ostile, pericolosa, nemica dell’ordine umano, ferina nel suo essere sia uomo che capro che nel selv-aticus trova la sua più profonda identificazione. Tali aspetti Fauno li condivide anche con la boschiva divinità etrusca Selvans, il romano Silvanus, il cui nome fu per lungo tempo proprio un epiteto di Fauno. L’aspetto silvano di Fauno, dunque, potrebbe aver influenzato Numa nel suo collocare i Faunalia Rustica invernali in un periodo tanto particolare come il mese di dicembre, mentre l’aspetto più pastorale e positivo, pur in tutta la sua ferinità, connesso alla fertilità del popolo e delle greggi, veniva onorato nei cosiddetti Faunalia primaverili, o più comunemente noti Lupercalia.
E’ certo che presso le porte cittadine, i romani, e molto probabilmente anche altri popoli italici, a cominciare dagli etruschi, esorcizzassero le intrusioni di Fauno/Silvano attraverso specifiche operazioni rituali ed accorgimenti di collaudata architettura sacra (anch’essi probabilmente di derivazione etrusca), così come sappiamo che, con lo scopo di impedire l’intrusione del dio nelle dimore degli abitati si usasse percuotere le porte delle case con asce e pestelli invocando gli arcaicissimi Picumnus e Pilumnus, e successivamente pulire le schegge con una scopa invocando la divinità Deverra. La funzione purificatoria della battitura, lungi dallo squallido ideale di penitenza cristiana, va di pari passo con l’utilizzo della scopa di saggina consacrata a Deverra; si battevano dunque le porte delle case con lo scopo di purificarle e renderle dunque barriera impenetrabile alle potenze boschive di cui Fauno è il re, che, secondo Carandini diventava particolarmente pericoloso nel momento del parto e comunque durante tutta la prima infanzia dei bambini. E sempre a tutela dei bambini, i Luperci battevano simbolicamente le donne, future madri, con fruste al fine di purificarle ed al contempo garantirne una proficua fertilità. La pericolosità dei boschi per i bambini non era senza dubbio ignota agli antichi, che misero in correlazione questo aspetto con una nefasta pericolosità da parte di Fauno-Silvano verso di essi. Argomento che si traspone in maniera evidente nelle fiabe giunteci dalla tradizione, dove la situazione del bambino solo nel bosco è una componente estremamente ricorrente e dove l’incontro col lupo, considerato già in antichità incarnazione del dio, riassume al contempo la tragica pericolosità del contesto boschivo per i bambini, ma al contempo il rito di iniziazione del giovane indo-europeo per entrare a pieno titolo nella cerchia degli uomini adulti, ove per essere considerati tali e per poter portare le armi bisogna essersi confrontati con il buio del bosco ed il suo oscuro e pericoloso re.
Fauno-Silvano è dunque simbolo della primordialità più pura, e con il suo corpo solamente per metà umano, ricorda ad ogni uomo il suo lato più animalesco e selvaggio. Era indubbiamente Fauno il sovrano dei boschi e delle paludi laziali nei tempi più antichi, quando vi giunse infine Saturno che, rappresentante di una regalità aurea, fu dispensatore di doni, frutti e messi, cacciandolo nei lati più nascosti delle paludi e negli oscure boscaglie dei monti dell’Appennino, da dove però egli è sempre pronto a tornare. Saturno però non umilia il dio, e nella sua saggia regalità ne tutela la funzione di protettore dei pascoli e dei campi. Possiamo dunque ipotizzare che in un certo senso Saturno scinda Fauno e mentre ne esilia gli aspetti più silvani ed in-civili, ne irregimenta quelli più collegati all’ambito della purificazione e delle messi, facendolo riempitore del corno da cui egli dispensa i suoi doni alla Saturnia Tellus.
Questo complesso intreccio di mito, religione e tradizione è sopravvissuto in forma più o meno incorrotta, a seconda dei luoghi, in varie parti d’Europa, sotto forma di culti ad alcuni santi, in particolare san Nicola, manifestazioni folkloriche, fiabe e racconti. Ciò di cui vado a occuparmi in questo scritto è forse il più incorrotto esempio di una vera e propria rappresentazione allegorica di quanto scritto sopra, sopravvissuta ad oggi in terra italica ed europea, ovvero la figura folklorica dei Krampus.
Per chi non avesse mai avuto occasione di sentirne parlare o di vederli, i Krampus sono esseri di aspetto sia faunesco che demoniaco, coperti di pelo caprino, dotati di corna e volti minacciosamente terribili, i racconti li definiscono incapaci di parlare e armati di scope di saggina coi quali usano percuotere le donne e minacciare i bambini dei paesi sui quali nefastamente calano. Figura tradizionale eminente nel folklore alpino, sono menzionati nei racconti e nelle leggende della Baviera meridionale, del Tirolo e dell’Austria, così come nel Trentino, nel Cadore e nelle zone friulane del Tarvisiano e della val Fella. Sono inoltre assai popolari nelle zone alpine della Slovenia, nella Slavonia croata ed in Ungheria occidentale. In tutte queste zone, nelle sere tra il 5 ed l’ 8 dicembre, gli abitanti maschi ne impersonano il ruolo vestendosi di pelli di caprone e coprendosi il volto con maschere lignee dai connotati infernali. Si ornano poi con un paio di corna, generalmente di capra, montone o stambecco e onde rendere più manifesta la loro irruzione nei villaggi si legano alla schiena numerosi campanacci da bestiame. Così abbigliati, i giovani, si armano di scope di saggina e, mentre altri agitano torce, si riversano nei villaggi in un lungo corteo, percuotendo le donne e spaventando i bambini con urla e minacce, mentre al centro, in una gabbia costruita appositamente per lui, è rinchiuso il re dei Krampus, che si agita e urla minacciando di uccidere anche gli altri mostri.
A seconda della località, il “sabba” dei Krampus può essere più o meno violento e più o meno lungo, ma è un elemento costante della cerimonia il successivo arrivo del barbuto san Nicola che col suo bastone, con regale ieraticità, prima sottomette e poi asservisce ai suoi voleri i lugubri diavoli, costringendoli a tornare dai bambini, precedentemente spaventati e a donargli piccoli regali assieme a lui, minacciando comunque di “venirli a prendere” se non fossero stati bravi figli e non fossero divenuti bravi uomini, successivamente san Nicola riparte sul suo carro e, attorniato dai Krampus, distribuisce doni a tutta la popolazione dei villaggi.
Nella sua rappresentazione alpina odierna i Krampus rappresentano l’ignoto, il buio, l’oscurità dove si annidano presenze inquietanti ed ostili. Essi sono emblema del bosco alpino in inverno, pericoloso, non soleggiato, sempre pronto a tendere inganni ed insidie, con i suoi lastroni di ghiaccio che fanno da lasciapassare per strapiombi e scarpate, così come essi sono manifestazione chiara del lupo, nel suo connotato ostile tipico dell’iconografia medievale. Ma come potrebbe, il pagano romano-italico di oggi, non notare come quest’antica usanza alpina altro non sia che la forse più incorrotta riproposizione di un antico mito e forse di un’antica rappresentazione rituale? Il parallelismo tra la figura del Krampus e Fauno-Silvano è immediato, dotato com’è di connotati caprini come il pelo e le corna, con il suo provenire dai boschi rumoreggiando e mettendo in pericolo l’ordine civile dei villaggi, il Krampus è la chiara rappresentazione di Silvano che, privo di controllo tenta di nuovo di ristabilire la sua primordiale sovranità pre-saturnia. Tutto sembra perdersi e consumarsi in un sabba infernale di zoccoli e bastoni, quand’ecco che, l’aureo re, sotto le spoglie di san Nicola, che tutti credevano dipartito e dimenticato ritorna, con la sua lunga barba ed i suoi doni, asservendo Fauno col suo bastone regale – che in epoca cristiana, da lituo, è diventato un pastorale vescovile – e lo costringe ad accompagnarlo nella sua distribuzione di doni ai cittadini. E’ tornato dunque il re del grano! I giorni si fanno più lunghi e il bambino che nasce il giorno di Sol altro non è che l’Età aurea che si rinnova sotto il segno di Saturno, peraltro sovrano del mese anche astrologicamente, essendo strettamente collegato alla costellazione zodiacale del Capricorno, nella quale il sole entra proprio nel catartico periodo di passaggio dalla luce al buio.
La stessa rappresentazione iconografica del Capricorno, ci ricollega all’archetipo caprino di cui il Krampus è chiaramente parte, ed allo stesso tempo le corna rimandano alla simbologia Saturnia, ovvero alla sua cornucopia da cui egli distribuisce doni, nonché simbolo stesso di abbondanza. E’ un corno lo strumento che Heimdall suona nel momento del Ragnarok, prima della consunzione finale che porterà ad una età di pace sotto il segno di Balder, così come nell’India vedica, il dio bifronte Agni, dio dei fuochi sacrificali, ma anche del fuoco come elemento purificatore che distrugge per poi ricreare, cavalca un possente e fiammeggiante ariete.
Peculiare aspetto del Krampus, come anche di Silvano, è appunto il rapporto con i bambini. Come Fauno-Silvano nei suoi aspetti più crudeli e selvaggi, il Krampus li spaventa, minaccia di portarli negli inferi e di percuoterli, ed allo stesso tempo si avventa sulle ragazze più avvenenti lasciando intendere turpi bravate contro di esse.
Il Krampus è Fauno in persona, e così come il giovane solo nel bosco deve diventare tutt’uno con esso per poterlo dominare e vincere, così il ruolo del Krampus è, in quasi tutte le zone in cui la tradizione è rimasta, riservato ai coscritti, ovvero ai giovani che accedono alla maggiore età, lasciando così intendere un rito di comunione quasi sciamanico con le potenze selvatiche ed infere che dimorano nei boschi, poi domate da Saturno, rappresentante anche della saggezza degli anziani, andando a costituire così un istruttivo significato sociale. Come gli antichi che brandivano scope di saggina in nome di Deverra, il Krampus brandisce scope di saggina col quale batte le porte dei villaggi e, quando vi riesce, qualunque uomo o donna gli capiti a tiro. Nonostante il tentativo cristiano di cooptazione del rito come “purificazione dai peccati”, il connotato pagano di “purificazione dalle impurità” di un intero anno ormai quasi interamente alle spalle è ben evidente e si presenta qui con una strana ambivalenza punitiva e purificatoria al contempo.
La presenza evangelizzante di san Nicola, barbuto, protettore dei bambini e distributore di doni, pur dando un connotato decisamente più cristiano alla festività, rimane comunque una ben poco velata allusione a Saturno, fatto che ha portato la chiesa cattolica ad osteggiare fortemente, anche in tempi recenti, i cortei dei Krampus, e il fatto che questi cortei avvengano tutt’ora nelle date in cui Numa collocò le feste di Fauno, ben fa capire le origini di questa antica tradizione.
Sopravvissuta alle dure campagne scatenate dall’Inquisizione nelle vallate delle Alpi orientali, la tradizione dei Krampus andò comunque incontro a numerose resistenze da parte delle autorità ecclesiastiche, specie nei territori sotto dominazione austriaca.
La festa tuttavia pare fosse talmente radicata in tutte le popolazioni che la celebravano e tutt’ora la celebrano, che nessun decreto ecclesiastico riuscì mai ad estirparla o a limitarne l’areale. Con la caduta del multiconfessionale impero austro-ungarico la morsa cattolica e gesuita si strinse ulteriormente sul debole e turbolento paese alpino fino a quando, nel 1932, con l’ascesa al potere dell’autoritario Vaterlandfront, il cancelliere Engelbert Dolfuss, un cattolico radicale, bandì totalmente l’usanza pagana dei Krampus dalla repubblica d’Austria.
Continuò comunque a celebrarsi in tutti i luoghi fuori dall’Austria, compresa la Baviera, nonché anche nella stessa Austria, per vie clandestine. Tornata legale nel 1938 con l’annessione al Terzo Reich, l’usanza non aveva perso mordente e continuò a perdurarsi fin dopo alla fine del conflitto, anno in cui venne ripristinata la sovranità austriaca. Pur non potendo vietare la festività, ancora negli anni cinquanta il governo austriaco recapitava opuscoli nelle case, nei quali i Krampus venivano definite “entità maligne” e pericolose, suggerendo ai genitori di tenerne lontani i figli; tali politiche non riuscirono comunque a cancellare l’affetto della gente verso questa antica tradizione che ancora oggi risulta fortemente praticata in tutte le zone precedentemente elencate. Ancora oggi molte parrocchie austriache mettono in guardia i fedeli dai Krampus e alcuni comuni hanno deliberato ordinanze per evitare che i Krampus “picchino” le persone, facendoli semplicemente sfilare per le vie. Tuttavia chi scrive ha la certezza che ciò che non ha bruciato l’inquisizione non potrà essere fermato dalle carte bollate di un municipio e anzi, abbiamo motivo di gioire, osservando come il demoniaco corteo stia acquisendo di nuovo grande popolarità, espandendosi in aree che aveva da tempo perduto, come le pianure friulane e quelle croate e bavaresi.
Simbolo dell’eterna lotta tra l’ordine ed il caos, questa antica tradizione alpina ha resistito forse proprio perché simbolo dell’ora che viene, e che forse è già. Vediamo bene il caos dilagare nelle nostre vie e le oscure boscaglie che dimorano nelle anime delle persone riversare nelle nostre strade le peggiori attitudini, violenze e malattie. Rechiamoci dunque, nelle fredde giornate di inizio dicembre, nelle belle vallate tirolesi o friulane e, guardando questi antichi, ed al contempo giovani demoni, riflettiamo sul Krampus che dimora in noi, e che dobbiamo irregimentare, ammansire, porre ai nostri ordini poiché, altrimenti, ci trascinerebbe con sé negli oscuri dirupi della pazzia.
Nella semplicità primordiale tutelata dalla regalità di Saturno cerchiamo di trovare la fermezza per governare il Krampus, ma non per ucciderlo, poiché esso e parte di noi, e come ogni parte di noi, oscura o solare che sia, è della medesima sostanza e dunque, potenzialmente alleata. Fauno Silvano vive in noi, e come Saturno lo ammansì, così noi dobbiamo fare in modo che egli obbedisca alla nostra volontà, divenendo il tutore dei campi della nostra anima. Come già abbiamo metaforicamente espresso in altri scritti, l’anima di un gentile è un giardino, affidiamo dunque a Fauno la sua tutela ed i frutti della conoscenza che deve portarci oltre il velo non tarderanno a giungere, ma sventurato è colui a cui cade lo scettro, il Krampus dunque si libererà, farà scempio dei nostri giardini e ci porterà nella pazzia. Nel momento più buio del ciclo delle ere, che noi viviamo, facile è arrendersi e spaventarsi dinnanzi alla sua demoniaca forza e capacità di impressionarci, ma colui che davvero celebra il rito sa bene, così come Fauno vive in noi, anche Saturno, suo sovrano, vive dentro la nostra Anima.
Attiviamo dunque Saturno, chiamiamolo, alleiamoci a lui e confidiamo nella sua antica pazienza ed esperienza, per disfare i venti che in tante persone potenzialmente valenti creano distruzione e scompiglio.
Tratto da Arya, Rivista degli Esploratori Hesperiani, nº7