L’idea di auctoritas ha attraversato tutta la storia romana e si è legata indistricabilmente al suo nascere e al suo trasformarsi, resistendo ai cambiamenti costituzionali ed insinuandosi nel Medioevo con una potenza semantica, capace di condizionare un’intera epoca storica.
Partendo da questa riflessione lo studio dell’auctoritas mi ha sempre affascinato ed ho voluto affrontarlo in sede scientifica interessandomi del principium o dell’origo della radice del nome, nella quale poteva esser custodito non solo il semantema ma la sua essenza più vera. La genealogia dell’auctoritas vuole essere quindi un tentativo di ripercorrere le fasi salienti della storia del nome per risalire al capostipite, attraverso un discorso logico induttivo, che dall’ambito sacro e dall’atto fondativo ha proiettato il nome auctoritas nella storia di Roma. La ricerca quindi se partita dalla base storica ed archeologica è sin da subito passata all’ausilio filologico, con la scelta e l’uso delle fonti letterarie, la traduzione delle stesse e il loro confronto con le fonti giuridiche di età diverse. Mi sono trovata a confrontarmi con l’età dei patres, coadiuvanti il progetto romuleo, rivivendo il momento in cui da Romolo fu sancito il mitico patto con gli Dei, in cui la stessa persona di Romolo è
stata “aumentata di pienezza sacra” e si è imposta sul resto dei suoi pari, compreso il fratello gemello. Attraverso il mito romano ho riconsiderato il ruolo delle famiglie romane e del pater familias, del Re, del tutore e poi del magistrato della Res publica. A questo punto una delle domande a cui con la mia ricerca ho pensato di dover rispondere è stata:” che legame c’è fra auctoritas e vita pubblica e privata del cittadino”? “Tra auctoritas, religione e legittimazione politica”? Ho fatto parlare gli autori e i diversi generi letterari: dalla commedia di Plauto alla storiografia propagandistica di Cesare, da Terenzio all’oratorio politica di Cicerone, fermandomi ad una delle sue orazioni del 54 a.C.. L’ambizione che ha guidato la ricerca è stata sempre quella di raggiungere una visione collettiva che non solo attraversasse interdisciplinarmente gli stretti ambiti della materia, ma che si forgiasse anche dell’ausilio della comparazione linguistica. Il tutto per rinnovare la chiave di lettura interpretativa dominata da Theodor Mommsen per oltre un secolo su alcuni termini cardine della storia di Roma. Nuovi modelli teorici nel mentre erano sorti e si erano distinti,
soprattutto a partire dallo studio dell’auctoritas patrum, che ha, a differenza degli altri, sempre stuzzicato la curiosità dello studioso di diritto romano, mentre il silenzio è calato gradualmente dagli anni venti ad oggi sul senso antropologico e politico di auctoritas. Il compromesso del suo utilizzo in periodi di regime totalitario nella storia del XIX secolo ha condannato all’oblio qualsiasi ripresa della ricerca in senso più ampio e meno circoscritto, che solo a partire dal 2017 è stata nuovamente stimolata. L’interesse antropologico ha indotto la ripresa di uno studio, che sembrava più che altro relegato alla storia delle religioni e al Medioevo religioso come periodo storico di riferimento.
Partendo invece di nuovo dalla radice –aug del nome e confrontandola con altre lingue, tutte ben connesse all’indoeuropeo, mi sono accorta del forte legame esistente fra l’auctoritas di Roma con il modo di concepire il rapporto con gli Dei e con la famiglia del mondo arcaico di popoli affini. Non solo nel rapporto diretto e manifesto con la lingua greca, ma anche con il sanscrito, lingua sacra in cui la radice in questione riporterebbe al “proferir parola”, a cui si dà di per sé un accrescimento sacrale. Nessun indizio nell’accadico e ittita, qualche sporadica presenza nell’arabo, nel senso di potere sommo, religioso, a cui non si può e deve opporre. È tuttavia il confronto con il greco che ha aperto la strada alla unicità romana pur nelle somiglianze indicate. I Romani hanno avuto sempre a che fare con l’auctoritas nel loro mondo ordinato e divinizzato. Per il cittadino romano in età monarchica il Re veniva creato e a sceglierne il nome era un corpo di consiglieri, i senatori, che da Romolo avevano avuto in eredità la facoltà di custodire gli auspici, fonte autorizzativa, tramite fra uomini e Dei. Questo senato rispondeva all’esigenza del consiglio, propria di tante civiltà arcaiche.
Tuttavia il ruolo dei “consiglieri”, tra le cui fila vantano l’appartenenza le migliori ed illustri famiglie di Roma, gradualmente perse il suo primato a scapito della forza numerica della plebe, “parte” della nuova costituzione unitaria di popolo a Roma.
Prima con i Tarquini poi con la nascita della Res Publica, colpi sempre più duri venivano inflitti nel tempo al prestigio dell’ordo senatorio. Eppure esso ha resistito grazie al ruolo riconosciuto al senato di ispiratore oltre che custode del mos maiorum, quella summa di norme e di memoria tradizionale che ha piegato alla sua forza re, cittadini, principi e imperatori e che aveva virtutes indiscutibili al suo interno, modificabili nei secoli, ma con delle presenze fisse: fides, honos, dignitas, libertas, maiestas, auctoritas ed anche iustitia.
Ad esse l’uomo romano doveva conformarsi in senso heideggeriano; questi erano i principi basilari della educazione del cittadino.
Tali virtù trovavano felice posizionamento quando riferiti ad uomini di spicco della vita politica di Roma, senatori, grandi personalità, exempla e nelle opere letterarie soprattutto ciceroniane, spesso guidavano l’azione del senato, che per l’arpinate doveva mantenere un ruolo principale nella vita politica di Roma. L’auctoritas patrum tuttavia non è stata solo una operazione persuasiva, ma anche giuridica, nel momento in cui la discussione e la ratifica di un organo potevano influenzare la legge e le proposte stesse dei magistrati.
L’azione preventiva di intervento su una legge è l’indizio finale della importanza raggiunta dal senato nel ruolo di consigliare. Il magistrato romano doveva infatti, in età repubblicana, rivolgersi al senato prima di presentare la proposta e talvolta era indotto dal senato a proporre ai comitia una rogatio. Lavorava tecnicamente con i senatori e poi presentava al popolo in discussione assembleare il frutto di questo lavoro complesso. Il popolo quindi avrebbe votato quanto dal senato già pattuito oppure avrebbe votato per poi attendere ratifica finale dell’ordo. Le fonti di Livio e Cicerone tuttavia non sempre collimano su questo con le fonti di Dionigi e Plutarco, perché se da un lato si parla di auctoritas preventiva e autorizzativa dalla parte delle fonti latine si preferisce una ratifica conclusiva.
Vista la generosa bibliografia sull’argomento anche recente ho pensato di affrontare il tema indicando le posizioni più prestigiose e i loro punti di forza e debolezza, senza prendere una posizione netta, ma fermandomi a ragionare sulle fonti e sulle eccezioni alla norma che esse presentavano. In tal modo l’auctoritas patrum o auctoritas senatus che ho associato ad un certo punto della ricerca sono divenute maggiormente comprensibili, avendole liberate da una propaganda politica che spesso gli autori storici a Roma hanno operato.
Dall’autorità come valore cardinale sono quindi passata a riflettere sull’autorità nella gerarchia imperiale di Augusto, il princeps senatus, il rianimatore dei valori della Res Publica e del mos maiorum che per anni l’ha guidata.
Con Augusto il ruolo del senato torna a crescere sia giuridicamente che socialmente, perché è l’organo in cui il princeps si specchia, che il princeps presiede e con il quale indirizza la vita politica. Le attestazioni maggiori numericamente di auctoritas patrum e senatus le abbiamo non a caso tra la fine dell’età repubblicana e il principato augusteo.
Dopo Augusto l’endiadi auctoritas senatus non scompare ma si attenua molto nei riferimenti letterari e diviene acquisizione giuridica, legata al potere pubblico. L’impero diventa il regno dell’auctoritas, la fonte della legge, l’autorizzazione ad agire, anche la legittimazione a governare. Il nuovo cosmo riordinato da imperatori divinizzati, ha spinto il termine a vincere quell’area mediana a cui ancora rimandava il nome Augustus e si è imposto come cardine autorizzativo del poter governare. Nelle opere giuridiche tarde dal Digesto alle Novelle o Istituzioni numerosi sono i riferimenti di auctoritas con cui se da una parte è insito il legame con la tradizione dell’età monarchica e delle XII Tavole, dall’altra c’è la volontà di rinnovamento, che si esplica nella ricerca di un nuovo patto con il Dio unico, che sarà poi nuova fonte di legittimazione e di trasmissione del potere.
Marina Simeone
(Marina Simeone, Genealogia dell’auctoritas, Mimesis, 2024)