Prima lo spopolamento, ai tempi ultimi del basso impero, poi i saccheggi da parte di ciurmaglie piratesche libere di spolpare le coste ormai incontrollate, poi l’utilizzo come cava di pietra e marmi per costruire chiese e dimore, poi l’oblio millenario sotto i campi coltivati dove vomeri trascinati da antichi bovi incontravano pietre che spezzavano il ferro, facendo maledire il contadino.
Infine, nuovi scempi recenti con la costruzione della ferrovia lungomare, della strada statale e dell’acquedotto.
Un massacro, che non poteva essere più crudele.
Eppure, la grandezza spirituale che promana la Romanità, che si era fatta pietra per sfidare il tempo, l’ha avuta vinta e sta facendo riemergere dalle zolle un gigante gentile addormentato che giorno dopo giorno si scrolla scorie millenarie, riprendendo forma e colore.
Stiamo parlando della Villa di Palazzi di Casignana, avamposto romano della Calabria ionica a 15 km a sud di Locri, tra Bovalino e Bianco, in provincia di Reggio Calabria: un raro e gigantesco complesso residenziale/istituzionale/termale/produttivo/portuale di quindici ettari, di rango sicuramente imperiale, che ebbe il suo massimo splendore nel terzo secolo dell’era comune.
Già il nome Palazzi, che si tramanda da secoli per la località, sta a indicare la presenza di un complesso fortificato a ridosso del mare con funzioni non solo residenziali private, ma certamente sociali, produttive e anche pubbliche, se pure non ancora identificate con certezza.
Un passo indietro.
LE INDAGINI ARCHEOLOGICHE
Porzioni sparse di ruderi della località Palazzi già nell’800 erano visibili in mezzo ai campi e attiravano l’attenzione di eruditi locali, i quali tentarono di interpretarne la funzione e identificarne il nome in antico: Butronto, Urìa, Scyle, Altanum sono le ipotesi, mai confermate, tratte dalle indicazioni riportate su antiche mappe romane, come la Tabula Peutingeriana o l’Itinerarium Antonini.
Nessuno scavo però, nel frattempo, veniva intrapreso.
Nel 1873 le planimetrie della ferrovia ionica riportavano, per la prima volta con rigore sistematico, le indicazioni di numerose rovine: lo fecero con dovizia e copiosità tali da lasciar intendere che, prima della costruzione della ferrovia avvenuta di lì a poco, i resti affioranti dovessero essere molto più numerosi di oggi.
Successivamente, gli appunti del grande archeologo Paolo Orsi datati 1909 accennavano alla presenza di muri del “porto di Locri in contrada Palazzi”, senza aggiungere altro (Orsi non si occupò mai direttamente del sito, registrò informazioni).
Non c’è traccia scritta invece degli sbancamenti che avvennero tra le due guerre con la costruzione della strada statale ionica 106: nessuno registrò le distruzioni dei resti archeologici travolti dall’attraversamento longitudinale del complesso – disegnato per far largo alla striscia d’asfalto che corre su tutta quella che fu la Magna Grecia, lambendo lo Ionio da Reggio Calabria, già colonia dei Calcidesi di Eubea, a Taranto, unica fondazione spartana dell’area.
Oggi è una arteria di collegamento fondamentale in direzione sud/nord, la statale (E90) e ridà dignità a luoghi che per secoli sono stati faro del mondo, tuttavia ostacola grandemente la lettura e il recupero complessivo della Villa.
I tronconi delle mura antiche non vennero conosciuti come tali dai costruttori della statale e l’area circostante rimase priva di tutela.
Della Villa, nessuno aveva ancora capito l’esistenza.
Non vi furono quindi ostacoli negli anni ’50 alla costruzione di una casa nell’area dell’edifico antico (oggi abbattuta) e neppure alla realizzazione, nel 1963, dell’acquedotto del Novito (Cassa per i Mezzogiorno) che di nuovo attraversa l’area da nord a sud.
La distruzione di muri, mosaici e pavimenti marmorei stavolta però furono segnalate.
Intervenne così finalmente la Soprintendenza che acquisì una prima particella, dove i ruderi erano più densi, e li riconobbe come facenti parte di una “villa romana extraurbana”, imponendone così la tutela.
Erano gli anni 1964/66.
Dopo un periodo di sospensione gli scavi ricominciarono nel 1980 e nel giro di dieci anni di lavori venne delimitata ed esplorata l’area termale del tratto a monte dell’acquedotto.
Successivamente si ebbero interventi limitati, sino quando nel 1999 il comune di Casignana – raro esempio di lungimiranza – iniziò ad acquistare progressivamente i terreni dell’area vincolata per consentire gli scavi in maniera sistematica e professionale.
Le indagini così si estesero anche nell’area compresa tra la statale ionica 106 e la ferrovia a mare.
Si attivò, a partire dal 2000, una vera svolta nelle iniziative di tutela, con il concorso virtuoso di azioni convergenti di vari enti guidati dal Comune e di intesa con la Soprintendenza.
Questi interventi consentirono, oltre all’acquisizione delle proprietà delle aree dell’insediamento antico, di estendere l’esplorazione per individuale altri edifici oltre a quello termale centrale, di avviare lo studio e il consolidamento dei mosaici, di realizzare coperture dell’area scavata, di mettere in luce gli edifici oltre la statale 106, di demolire edifici abusivi sorti nel corso degli anni e anche di pubblicare una guida archeologica dell’area, sempre rendendo partecipe la comunità residente delle azioni intraprese e degli interventi di recupero attuati.
Un’opera di sensibilizzazione e un prezioso lavoro di squadra che continua tutt’ora.
LA STRUTTURA DELLA VILLA DI PALAZZI
Tutte queste iniziative sono comunque da inquadrare in una cornice di rinnovato interesse e ricoperta della Locride romana, che ha preso avvio da alcuni anni e interessa, oltre alla villa di Palazzi, la villa di Gioiosa Jonica con la sua cisterna (Naniglio) e le strutture romane di Locri Epizefiri con le terme (Casino Macrì) ed edifici privati.
L’epoca d’oro della Locride romana è da datare dal primo secolo dell’era comune e corre sino a tutto il quarto, per poi subire un brusco arresto a partire dal quinto secolo (il 476 è, come noto, l’anno che i libri di storia indicano come l’ultimo dell’impero romano d’Occidente),.
E’ il primo secolo dunque il periodo in cui nasce e si sviluppa la Villa di Palazzi di Casignana.
Posto strategicamente tra le fiumare Bonamico e La Verde, corsi d’acqua strategici che consentivano i approdi a mare e finanche commerci con l’altra sponda della Calabria attraverso l’Appenino, spalle al monte e faccia al mare, l’insediamento romano prende forma e sostanza grazie alla volontà di una famiglia di rango imperiale (attualmente ignota) che decide di fare, di questo grande quadrato di terra protetto e strategico, un centro di potere, delizie e commerci.
Forse questo esteso insediamento, che comprendeva villa e annessi, era una vera e propria Statio lungo la via costiera che univa Reggio a Locri, sorta sfruttando la possibilità di approdo alla foce della citata fiumara Buonamico.
La Villa ebbe dunque vita per quasi quattrocento anni e venne abbandonata a metà del quinto secolo.
Tuttavia, lo studio dei ruderi e di una necropoli ivi rinvenuta mostrano come l’abitato dovette esistere sino al settimo secolo, quando poi venne del tutto abbandonato per posizioni più difendibili a monte, su una piazzaforte bizantina, a Pietra Castello.
E gli edifici divennero così depositi gratuiti di marmi, calce e mattoni per chiese e case – vedi il colonnato della cattedrale di Gerace – sino a quando non sparirono sotto i campi, ormai spolpati di tutto quanto fosse riciclabile.
Il nucleo centrale del complesso, che costituisce la parte più indagata e meglio conservata, è il grande impianto termale che occupava l’angolo sud occidentale della Villa, esposto cioè al meriggio secondo i principi vitruviani.
Si affacciava a ovest e a nord con un portico colonnato e comunicava col resto della villa con un porticato interno. Si divideva in tre parti: ambienti settentrionali, terme occidentali e terme orientali.
Questi ultimi mostrano una serie di vasche mosaicate a tessere policrome, pavimenti marmorei, frigidarium, calidarium riscaldato a pavimento (già allora!), sale di rappresentanza, absidi, ambienti di passaggio e tutto quanto necessario a una grande spa. Le fasi costruttive catalogate sono nove.
A nord ovest del complesso termale si estendeva un’area occupata da costruzioni, al cui limite occidentale si trovava una imponente fontana monumentale absidata, circondata da un giardino e alimentata da cinque grandi cisterne rettangolari per l’acqua.
Sul lato sud del grande cortile centrale è stata rinvenuta l’ala meridionale composta da ambienti di servizio con funzioni diverse, non ancora del tutto identificate, con una grande latrina.
Tutti questi ambienti erano collegati a possenti canalizzazioni che convogliavano vero il mare le acque termali e dell’intero complesso a monte della villa. Così come per gli altri nuclei di edifici, anche qui si sono identificate nove fasi edilizie.
La parte residenziale della Villa occupava la zona orientale dell’insediamento, tra la statale 106 e la ferrovia, vista mare.
Qui l’aspetto dei ruderi è quello risalente al terzo secolo: gli ambienti scavati sono sontuosi e di notevoli dimensioni e con pavimenti a mosaico che non avevano funzioni termali ma residenziali e di rappresentanza. Il nucleo centrale è rappresentato da una grande sala cruciforme absidata e mosaicata con pavimento riscaldato.
L’ambiente sovrasta in altezza gli edifici circostanti ed era probabilmente illuminato da grandi finestrature e ricoperto da una cupola.
Di rilevo anche l’attigua sala delle quattro stagioni, con mosaici policromi. Anche qui le fasi costruttive sono nove.
Gli scavi hanno messo in luce due necropoli: una a nord est della Villa, a ridosso della spiaggia, l’altra a sud, tra la statale e la ferrovia, con un centinaio di tombe individuate.
Infine l’ingresso. Nella prima fase di vita del complesso è stato ipotizzato che l’affaccio fosse a nord-ovest, visto che sono state trovate tracce di monumentalizzazione sino al secondo secolo.
Nel terzo secolo invece la monumentalizzazione interessò la parte a mare della Villa, dove sono stati rinvenuti due avancorpi quadrangolari uniti da un portico colonnato che doveva presentarsi come un unico loggiato continuo, unito da murature imponenti.
La scoperta di un grande frammento di colonna marmorea rinvenuto in quest’ala consente di ipotizzare l’esistenza di un loggiato ad arcate su colonne al piano superiore, mentre al piano terreno l’ingresso era probabilmente in corrispondenza dell’aula cruciforme.
Questo tipo struttura è comune alle ville tardoantiche, tutte con facciata a due torri e galleria.
Numerosi sono gli esempi nel mediterraneo romano. L’iconografia del mosaico del Dominus Julius al museo del Bardo di Tunisi bene aiuta a comprendere come doveva presentarsi il complesso Villa di Palazzi visto dal mare.
PROSPETTIVE DI VALORIZZAZIONE
Posto che la parte scavata rappresenta neppure il 10% dell’area edificata da riscoprire, solo una grande campagna di scavo che riporti alla luce almeno il 30% del sito potrà dirci che cos’era veramente la Villa di Palazzi di Casignana. E qui le prospettive di valorizzazione sono davvero immense.
Il primo obiettivo del Comune di Casignana ora, oltre alla continuità degli scavi e alla fruibilità turistica, è l’istituzione del Parco archeologico, per avviare un processo di sviluppo culturale ed economico della comunità nel contesto più generale della importante riscoperta della Calabria romana.
Il valore estetico, storico, scientifico e sociale del complesso archeologico non è, infatti, in discussione.
E neppure la passione e la competenza del personale che segue e cura il sito – come abbiamo avuto modo di constatare con la guida che lo scorso agosto ci ha accompagnato e svelato nei dettagli quello che si propone come uno degli esempi più interessanti d’insediamento romano a sud dell’area vesuviana: l’appassionato e preparato Giuseppe Romeo, curatore, custode e colonna dell’organizzazione che sovrintende localmente la pubblica gestione della Villa.
Infine, un ringraziamento particolare all’amico dottor Domenico Zerbi di Reggio Calabria, Vice Presidente dell’Istituto Italiano Castelli, per le preziose indicazioni.
Paolo Casolari
FONTI: La Villa Romana di Palazzi di Casignana – Guida archeologica, a cura di Claudio Sabbione, Edizioni CORAB, Gioiosa Ionica, 2007