Finalmente!
Il gigantesco negozio di abbigliamento sportivo è stato spostato e la Stazione Termini di Roma è tornata a godere della vista della quinta teatrale più suggestiva del mondo: le millenarie mura della Capitale.
Già anni fa segnalammo lo sconcio commerciale che ne copriva completamente la veduta, chiedendo l’intervento della Soprintendenza.
Sicuramente quella nostra denuncia non ha avuto seguito, ma oggi possiamo gioire dell’evento.
Come si vede dalle foto, è stata liberata tutta l’ala destra dell’atrio – a destra cioè di chi arriva a Roma, proveniente dai binari – ripristinandola come era ab origine, quando cioè la Stazione Termini venne inaugurata, nel 1950, significativo esempio dell’architettura italiana del Dopoguerra (la sua costruzione era però iniziata nel 1939, tanto che il complesso conserva e amalgama l’impronta razionalista).
L’atrio che si affaccia su piazza dei Cinquecento, coperto dalla sinuosa pensilina detta “il dinosauro”, incornicia così su un lato, dietro gigantesche vetrate di sottili finestre continue, le testimonianze monumentali di 2500 anni fa offrendosi in piena luce come primo cadeau d’ingresso ai viaggiatori in arrivo nella Città Eterna.
Si tratta dei resti delle grandi fortificazioni in blocchi di tufo giallo, testimonianze della cinta muraria nota come Mura Serviane, databile al VI secolo a.e.c. e attribuita all’iniziativa del re Servio Tullio.
In verità, la cinta muraria di Servio Tullio – composta di blocchi di tufo granulare friabile grigio detto “del Palatino” – è oggi quasi completamente assorbita nella costruzione successiva. Si snodava almeno per 7 km. e alternava blocchi squadrati di tufo a terrapieni (l’agger), alti 5 metri; sul serpentone si apriva una porta a ogni altura: la Mugonia, la Saturnia, la Viminalis, l’Oppia, la Cespia, la Querquetulana e la Collina.
La gran parte delle mura attualmente visibili è invece dovuta alla ricostruzione del IV secolo a.e.c., avvenuta dopo il saccheggio di Roma ad opera dei Galli, nel 390.
La datazione, oltre che dalle fonti letterarie, è confermata proprio dall’utilizzo di un particolare tipo di tufo, il “tufo giallo di Grotta Oscura”, le cui cave si trovavano a Veio, città che prima del 396 era etrusca e quindi inaccessibile ai carpentieri romani.
Secondo Tito Livio la ricostruzione è databile 378 e fu opera dei censori Spurio Servilio Prisco e Quinto Clelio Siculo.
Questa nuova cinta, che costituì il principale baluardo difensivo per sette secoli, si estendeva per circa 11 km, includendo circa 425 ettari. Era alta 10 metri e spessa circa 4 e, secondo alcune testimonianze, aveva 12 porte.
La struttura fu restaurata nel 353, 217, 212 e infine nell’87 a.e.c.
Col passare del tempo Roma si ingrandì oltre la cinta muraria e il ruolo delle Mura Serviane progressivamente si esaurì: già dall’Età di Augusto non ebbero più funzione difensiva e vennero progressivamente occupate e riutilizzate. Le porte vennero monumentalizzate o ridotte ad accessi stradali (Porta Celimontana e Porta Esquilina).
Solo III secolo, quando la città visse il rischio di attacchi di barbari, l’imperatore Aureliano costruì una nuova cinta muraria a cui ha dato il nome e della quale vi sono vestigia imponenti in tutta la città.
Pur avendo perduto la loro funzione primaria, le Mura Serviane tuttavia rappresentarono per secoli il reale confine della città: nonostante nel Foro esistesse il Miliarum Aureum, la colonna di bronzo da cui avevano convenzionalmente inizio le strade Consolari, in realtà la misurazione delle distanze è stata sempre calcolata dalle porte che si aprivano nella cinta muraria repubblicana del IV secolo.
I resti più monumentali sono oggi quelli conservati sull’Aventino, in piazza Albania, in via S. Anselmo e proprio quelli a fianco della Stazione Termini dove si trovava anche la Porta Viminalis.
Paolo Casolari