Riprendiamo il passo a partire dalla nostra ultima sosta meditativa nella pars prima.
C’eravamo fermati a guardare il paesaggio in quel di Ancona, nelle attuali Marche, dove aveva inizio la Regione augustea del Piceno, che iniziava al di là del basso corso del fiume Aesis e così detta perché raggiunta a seguito del rito del Ver Sacrum dal popolo osco dei Piceni[1], ‘’i seguaci del picchio verde’’ discendenti direttamente dai Sabini che abitavano il versante opposto e, come ben noto, diedero anch’essi linfa vitale per la crescita di Roma.
La quinta Regione aveva per confini rispettivamente a Nord ed a Sud gli agri di rinomate città, Ancona e Adria, due città che furono, neanche fatto apposta, fondate dai Siculi, non quelli preistorici, ma da quelli appartenenti ad un contingente militare ivi giunto (e poi rivelerò il perché, a tempo debito) in epoca storica, nella prima metà del IV sec. a.C., alla guida del generale siracusano Filisto, noto storico che ha fornito a Dionisio di Alicarnasso, Diodoro Siculo e Tucidide non pochi spunti per poter procedere a fondate digressioni di carattere storiografico, geografico ed etnografico. Plinio ci fa sapere che i Piceni, ‘’grosso popolo’’, risiedevano nel territorio di Adria, nell’ager Hadrianus, dove scorre il fiume Aternus (che delimitava a Sud la Regio VI Picenum dalla Regio IV Samnium), ma a circa sette miglia dalla costa[2], dunque nell’attuale versante settentrionale della Regione Abruzzo, dove appunto è situata la diretta discendente di Adria, ossia la città di Atri.
Sempre Plinio ci fa sapere che dove scorre il fiume Vomanus, poco più a Nord di Adria, vi erano gli agri Praetutianus et Palmensis, rivolti verso l’entroterra e che assieme all’ager Hadrianus, che invece declinava verso la costa, costituirono la prima sede italica dei Siculi preistorici provenienti insieme con i ‘’cugini’’ Liburni direttamente dalle prospicienti coste balcaniche[3], per essere più precisi, dalle attuale coste settentrionali e centrali della Croazia (anche se per quanto riguarda il Liburni, troveremo loro insediamenti fino alle coste della Slovenia; e per quanto riguarda i Siculi invece una estensione litoranea fino al Montenegro e all’Albania settentrionale, e poi nell’entroterra fino in Romania e Bulgaria, passando attraverso Bosnia-Erzegovina, Serbia, forse anche Kosovo).
L’ager Hadrianus fu in pratica il suolo d’approdo dei Siculi giunti dai Balcani sul finire del IV millennio a.C., prendendo subito dopo possesso di quel prossimo entroterra delimitato a Nord dal fiume Helvinus o ancora poco più a Nord dal fiume Batinus, due fiumi che delimitavo a Nord e a Sud Castrum Novum.
Lungo il medio corso del fiume Helvinus sorgeva il centro di Interamnia (letteralmente ‘’Tra i fiumi’’), il cui nome richiama fortemente quell’Interamna, situata nel meridione della Regio VI Umbria, poco più a Sud di Spoleto, e centro che più di una volta ci è stato menzionato come altro antico centro siculo.
Poco più a Nord sorgeva il centro di Castrum Truentum, che prendeva il nome dall’omonimo fiume e fu l’ultima roccaforte dei Liburni presenti in Italia (gli altri erano stanziati fino ad epoca storica nei Balcani). Siculi e Liburni giunsero insieme dunque, e questo evincesi dalla lettura del testo pliniano (dato presente solo nella Naturalis Historia e corroborato archeologicamente dal fatto che i Siculi mai svilupparono una cultura marinara, neppure dopo esser giunti in Sicilia, ed ivi alla ‘’si salvi chi può’’, come ci lascia intendere Tucidide ed anche Dionisio di Alicarnasso sulla scorta degli storici sicelioti; mentre i Liburni furono ben noti nei tempi antichi come abili navigatori e pirati, così come altre tribù illiriche): i primi si insediarono a partire dal fiume Aternus fino al fiume Batinus, con una certa diffusione nell’immediato entroterra delimitato ad Ovest dai Monti Tetrica e Fiscello; i secondi, ovvero i Liburni, scelsero l’area prossima a Nord, quella compresa tra i fiumi Batinus e Truentus e dunque il prossimo entroterra, ma senza mai raggiungere il confine ‘’siculo’’ dei campi Pretuziani e quindi le pendici meridionali del Monte Tetrica. Plinio, ovviamente, sovrappone senza preavviso la corografia del suo tempo su quella più antica, lasciando emergere alcune apparenti aporie, che un occhio non proprio attento o poco informato potrebbe scambiare per mere contraddizioni.
Ma non vi preoccupate, ci sono io qui per questo.
Infatti, il prezioso Plinio, se prima ci dice che i Piceni giunsero in un primo momento ad occupare il territorio intorno ad Adria, quell’ager Hadrianus precedentemente siculo, ma a sette miglia dalla costa, ci fa subito dopo sapere che ‘’successivamente’’ (omettendo però questo avverbio) il territorio degli oschi Piceni iniziava dal confine settentrionale dei campi Pretuziani, ossia il fiume Helvinus, a Sud di Castrum Novum, contraddistinto da ben noti centri urbani, tra cui Cupra (in onore alla Dea omonima rappresentata con i capelli rossi e venerata dai Sabelli, non proprio una città dunque, ma un forte militare, un oppidum appunto, ciò che per i Greci era un phrourion, indicando in tal senso un vecchio centro indigeno divenuto presidio militare dopo la sua conquista), Castellum Firmanorum, la colonia Asculum (ossia l’odierna Ascoli Piceno) poco più a Nord e la più rinomata tra tutte, e poi Novana[4].
Lungo la costa vi erano Cluana, Potenzia, quella Numana fondata dai Siculi arruolati nell’esercito di Filisto siracusano nella prima metà del IV sec. a.C., e prossima a quest’ultima, in direzione Nord, la colonia di Ancona, anch’essa fondazione sicula, sorta sul Promontorio Cunero, su cui curva come fosse un gomito, prendendo da ciò tale denominazione[5].
Ma anche nel versante settentrionale del Piceno si trovano centri siculi di antichissima fondazione, risalenti ad ere preistoriche, alla primissima età del Bronzo (se non prima), oltre a quelli appena succitati dal buon Plinio del V-IV sec. a.C., il che lascia molto pensare anche al ché di questa seconda venuta dei Siculi nella regione picena molti secoli dopo, in epoca storica; in poche parole, a questa ‘’rimpatriata’’. Vicino al medio corso del fiume Tinna, proprio nel centro regionale, vi era infatti il centro di Falerio, molto simile nel nome a quella Falerii occupata in epoca storica dai Falisci (parenti stretti, ‘’cugini’’ dei proto-Latini/Romani), e che assieme a tutti quei centri dell’alto Lazio e della bassa Toscana, come Fescennino, Cenina, Antemne, Cerveteri, Saturnia, Alsio, Pisa e Tivoli, così come ci dice Dionisio di Alicarnasso (si veda il mio secondo articolo, Le fonti delle migrazioni nell’Italia centrale: i Siculi e il magma dei popoli, pubblicato ivi l’1 Novembre 2020), erano tutte fondazioni sicule prima di essere conquistate dai proto-Latini (gli Aborigeni) e dai Pelasgi (altri proto-Illiri a torto confusi da alcuni con gli Etruschi)[6].
I Siculi, successivamente al loro arrivo nella costa abruzzese settentrionale, in quel di Adria (al tempo augusteo propaggine meridionale del Piceno), si sono espansi dapprima verso l’immediato entroterra delimitato dai Monti Fiscello e Tetrica, occupando pian piano tutto il resto del Piceno sempre in direzione Nord, gran parte dell’Umbria, il suo versante orientale oltre il Tevere, l’ager Gallicus, dove sorse l’antica Pisaurum (dal nome del fiume Pisaurus), l’attuale Pesaro, fino al territorio di Cesena-Forlì, area in cui sono state rinvenute necropoli sicule costituite da tombe a grotticella artificiale della facies pre-rinaldoniana. Come ben potete osservare, sia nelle Marche sia in Toscana o nell’alto Lazio troviamo infatti toponimi simili di chiara e schietta origine sicula. Lo spostamento in massa dei Siculi nel versante tirrenico, al di qua del Tevere, ebbe inizio quando arrivarono gli Osco-umbri nel centro peninsulare, partendo da Nord, dall’area della Cultura di Remedello (Brescia), stanziatisi durante la loro rotta migratoria dapprima nell’area padana fino in Emilia e Toscana, tra il 2800 ed il 2400 a.C. Fu questo l’inizio della Cultura sicula di Rinaldone nel Lazio. Plinio, con le sue parole[7], ci lascia rivivere quei terribili momenti per i Siculi: … Umbri eos expulere, hos Etruria, hanc Galli. ‘’ … Gli Umbri li espulsero, e così gli Etruschi gli Umbri, ed i Galli quest’ultimi’’.
Mi sembra giusto ora rivelare gli attuali nomi di tutte queste antiche località e fiumi e montagne riportati dal buon Plinio, al fine che Voi, miei cari lettori, possiate riconoscerli durante le vostre tranquille passeggiate domenicali, e soprattutto riconoscervi in esse tanto nell’aspetto culturale quanto in quello spirituale, quale importante ed imprescindibile retaggio degli Avi, dei nostri Avi, siano essi Siculi, Liburni, Umbri, Piceni, Celti od altro ancora, ritrovando profonda gioia nell’essere avvolti genitorialmente da quel sano ed importantissimo atavismo schiettamente indoeuropeo.
Alessandro Daudeferd Bonfanti
Note:
[1] Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro III, 11, 110: … [Piceni] orti sunt a Sabinis voto vere sacro.
[2] Ibidem: [Piceni] … tenuere ab Aterno amne, ubi nunc ager Hadrianus et Hadria colonia a mari VI.
[3] Ibidem: … flumen Vomanum, ager Praetutianus Palmensisque, item Castrum Novum, flumen Batinum, Truentum cum amne, quod solum Liburnorum in Italia relicum est, flumina Albula, Tessuinum, Helvinum, quo finitur Praetutiana regio et Picentium incipit.
[4] Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro III, 11, 111: Cupra oppidum, Castellum Firmanorum et super id colonia Asculum, Piceni nobilissima intus, Novana.
[5] Ibidem: … in ora Cluana, Potentia, Numana a Siculis condita, ab iisdem colonia Ancona, adposita promunturio Cunero in ipso flectentis se orae cubito, a Gargano CLXXXIII. intus Auximates, Beregrani, Cingulani, Cuprenses cognomine Montani, Falerienses, Pausulani, Planinenses, Ricinenses, Septempedani, Tolentinates, Traienses, Urbesalvia Pollentini. Sulla denominazione di Ancona, d’origine sicula e non ellenica come comunemente si pensa, darò a tempo debito accurata spiegazione, avendone Voi già tratto l’eziologia e dunque l’etimologia, ‘’gomito’’ appunto. Perché denominazione sicula e non ellenica? Questo è la reale quaestio, a cui io risponderò.
[6] Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, libro I, 9, 1-2; 16, 4-5; soprattutto, 21, 1-4).
[7] Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro III, 12, 114.