Alessandro Daudeferd Bonfanti, archeologo e antropologo, siciliano di Noto, da qualche mese per Saturnia Tellus cura la voce sulla “Preistoria italica”. Oggi lo abbiano intervistato per presentarlo compiutamente ai nostri lettori.
Chi è Bonfanti e perché Daudeferd?
Alessandro Bonfanti è nato a Noto, nell’Agosto del 1977, una piccola città della Sicilia Sud-orientale, abbastanza rinomata, nota alla cronache mondane anche nella forma antonomastica ”Giardino di pietra”. Alessandro Bonfanti è un erede, guardiano e milite dell’Antica Tradizione indoeuropea, alla quale ha dedicato tutta la propria vita (sin dalla più tenera fanciullezza) con una devozione ed una passione senza eguali, incommensurabili e pertanto, in certi casi, ineffabili. Divenne ”Daudeferd” per iniziazione nel grande e desolato freddo Nord: una ”morte” iniziatica dunque, ed un ”viaggio” nel sovrasensibile, necessari entrambi alla totale rivelazione ed intima comprensione dei Mysteria (Visioni di Luce) che sottendono la Weltanschauung indoeuropea. Un superamento della morte stessa attraverso la Tradizione, ossia la continuità rituale/cultuale ed anche pragmatica che impone ferrea disciplina su qualsiasi incipiente processo degenerativo (decadimento psicofisico), con il fine precipuo di garantire all’individuo e/o al popolo d’appartenenza (Natio) la linfa vitale, dunque la possibilità di prosperare nell’incedere temporale ed in qualsiasi ubicazione spaziale sempre in totale armonia e sintesi con le leggi della Natura e del Kòsmos (Ordine universale).
Da cosa nasce questa tua attrazione verso l’Heritage europea?
E’ un sentire ed un volere arcani. Essa è congenita, mi scorre nelle vene da sempre e per essa e grazie ad essa vivo. Con essa sono felice anche dinanzi alla peggiore catastrofe, proprio perché grazie ad essa riesco sempre a trovare la Luce. Non è solo un fortissimo ed inestinguibile sentimento, o qualcosa da relegare semplicemente alla sfera dell’emotività. Le sensazioni (fase d’analisi) e le emozioni (fase di sintesi) che invadono perennemente il mio corpo fisico nell’attività continua e certe volte sfiancante della ricerca non sono altro che il bipolare sistema motorio che mi permette fisicamente di svolgere questo immane lavoro, fornendomi le energie necessarie all’azione. Ma è la mia volontà ad imporre tutto questo, una volontà illuminata direttamente dall’Alto, un Lògos che pervade la mia mente e mi fa sentire forte, speciale e con una missione da portare a compimento.
Parlaci della tua formazione e produzione accademica …
Io sono un archeologo ed un antropologo, con varie inclinazioni per la Filologia, la Linguistica, la Glottologia (diversa dalla Linguistica, sebbene molto spesso complementare), la Storiografia, ed in primis ma dulcis in fundo l’Archeometria, ma questo riguarda quanto è possibile leggere nel mio curriculum vitae, il ché è molto limitativo. Chi studia, infatti, frequentando un qualsiasi corso universitario ed applicandosi con una certa costanza e diligenza, riesce ad ottenere un titolo accademico, anche con voti ammirevoli, inaugurandosi addirittura una carriera nell’ambito di studio, anche se poi la vera vocazione e soprattutto il fine ultimo si rivela essere ben altro. Io ho ottenuto i miei titoli accademici non certo per ”sistemarmi”, ma per essere ”in regola” nello svolgimento della mia missione, che poi è quella che molti definiscono, sebbene in modo molto superficiale ‘’professione’’ o ‘’lavoro’’. In pratica, a modo mio ho unito perfettamente missione, passione e lavoro, ovvero mente, cuore e mani, secondo il principio che regola il sistema dumeziliano della tripartizione indoeuropea. Neanche a farlo apposta, vedi? La mia produzione accademica, o meglio dire la stesura meticolosa del mio diario di viaggio nell’ancestralità indoeuropea al fine di salvaguardare essa stessa garantendone la sua integrità nel più fosco ed incerto futuro, non è altro che un’attività perenne che io svolgo da sempre, da molto prima che io entrassi nel mondo accademico come semplice studente. Raccolgo dati e scrivo da tutta la vita, accumulando pile e pile ed ancora pile di quaderni di varia dimensione, le cui pagine sono campite d’informazioni in modo impressionante. Nei miei viaggi, nelle mie soste, ovunque, non ho fatto altro che annotare, sistemare dati, per poi rielaborarli ancora ed ancora, man mano se ne aggiungevano sempre altri. Ho letto sempre, ho studiato sempre, ho analizzato sempre e dunque ho scritto sempre. Per questo mi era necessaria ‘’la patente’’ accademica, altrimenti non sarei stato mai preso in considerazione come un ‘’professionista’’ ed ancor peggio sarei stato di certo snobbato da chi poi ha solo titoli accademici ma il nulla pneumatico nella testa. Con quanto ho accumulato negli anni, potrei scrivere libri-mattone per il resto della mia vita, lasciando ai posteri altro massacrante lavoro. Da qualche anno, piano piano, sto cercando di rendere fruibile il mio operato. Finora, questi tre libri editi autonomamente sotto l’egida della Ruota del Sole ad onore dell’Antica Europa, e con titoli altisonanti come ‘’Siculi. Popolo Ario venuto dal Nord’’ e ‘’Siculi Indoeuropei. Le origini nordiche dell’Ethnos’’ Tomi I-II, penso diano una soddisfacente dimostrazione di quanto è stato spiegato poco sopra: non vanno infatti intesi come monografie paleoetnologiche, ma come un vero e proprio viaggio nella più remota preistoria dell’Europa (giungendo fino in Asia in termini spaziali e fino al tardo Paleolitico in termini cronologici) avendo come punto di riferimento in questo specifico caso l’ethnos siculo. È facile per me ‘’sorvolare’’ diacronicamente Scandinavia, costa mediterranea e giungere ovunque io voglia, partendo da un determinato punto di un campo assiale delimitato dai fattori tempo e spazio, e fungente poi da coordinata nel tracciamento della linea argomentativa: dai Siculi dell’età del Bronzo finale presenti in Sicilia (facies di Pantalica I Nord), è molto facile per me descrivere il loro Pantheon mettendolo a confronto con i corrispettivi Panthea di altre gentes indoeuropee anteriori, coeve e/o seriori anche se stanziati nei territori più lontani. Al momento sto lavorando su un progetto davvero interessante, volendo rendere omaggio al grande Plutarco di Cheronea, aggiungendo alle sue ‘’Vite parallele’’, una nuova e che io gli cedo affettuosamente in dono. Trattasi delle ‘’vite parallele’’ di Vercingetorige, il ‘’grande Re’’ degli Arverni, e di Ducezio, l’indiscusso Dux dei Siculi. L’uno era un celta, l’altro un siculo, nessuno dei due era dunque romano o greco, secondo lo schema inaugurato da Plutarco nelle ‘’Vite’’; ma il primo combattè i Romani per la libertà della sua Natio, l’altro fece la stessa identica cosa per la sua stirpe, combattendo i Greci di Sicilia. Entrambi offrirono se stessi, la propria vita, per il proprio popolo. Quale gesto più bello e alto! Quanta nobiltà! Poi avrei molte cose da pubblicare: dall’Islanda alla Norvegia, alle isole britanniche e fino in Sicilia, saghe, popoli, eventi prodigiosi, oltre ogni possibile immaginazione.
Come, dunque, ti collochi nel variegato panorama degli studiosi di preistoria siciliana, italiana ed europea?
Io sono un eretico, lo ammetto. Ho studiato tanto i principi ed i metodi d’indagine dei miei predecessori, dei miei maestri, così come di molti miei contemporanei, dei quali alcuni interessanti, altri meno. Devo però dire che tendo sempre a discostarmi da ognuno, seguendo sempre criteri strettamente personali che maturo giorno dopo giorno in base ad esperienza diretta, rifacendomi anche alle esperienze indirette ricavate dall’ampia letteratura scientifica pronta sempre alla consultazione oppure ad approcci diagnostici e/o prognostici suggeritimi da altri studiosi operanti nel campo. Un esempio? Io considero in campo glotto-linguistico mio maestro Giacomo Devoto. Adoro i suoi saggi, avendoli letti fino a consumare sic et simpliciter le pagine (e stessa cosa è accaduta con i saggi di Francisco Villar et alii). Ma se io avessi seguito sempre le sue orme, a quest’ora direi che i Siculi sarebbero stati un ramo del gruppo ‘’latino-falisco’’, e che gli Osco-umbri sarebbero stati i portatori della Cultura incineratoria proto-villanoviana. Niente di più sbagliato, poiché i Siculi, secondo le mie indagini, sono stati il frutto della suddivisione del macro-gruppo proto-illirico; mentre gli Osco-umbri sono stati i portatori della Cultura inumatoria delle tombe a fossa, giunti molto prima dei proto-villanoviani (eredi della Cultua dei campi d’urne) e da cui discende invece il primo nucleo del popolo etrusco, sviluppatosi esso poi per sinecismo. Così come è sbagliato credere che la rotazione consonantica sia stata una caratteristica del solo gruppo germanico, o che il Sanscrito sia la lingua indoeuropea con i tratti più arcaici. In realtà, il fonetismo siculo è ben diverso da quello ‘’latino-falisco’’, e tutte le lingue indoeuropee antiche mostrano una rotazione consonantica (a volte parziale, frutto delle catene di spinta o trazione fonetiche) che ha creato un determinato spettro fonetico, riconoscibile tra tutti gli altri, anche nel caso del Sanscrito. Ma grazie agli studi ed anche agli sbagli di Giacomo Devoto, io ho raggiunto queste mete. Per cui, grazie sempre, Maestro! A te sempre la mia ammirazione!
Spesso parli di nuovi metodi di indagine nell’approccio alla scienza indoeuropeista. Di che si tratta?
‘’Semplice!’’, dico io, ma so che probabilmente per altri potrebbe essere ‘’aiuto!’’. Comunque ci provo. La mia formazione di indoeuropeista non è settoriale, come i molti al giorno d’oggi la intendono, ma globale, a 360°, ossia non semplicemente linguistica, abbracciando i più svariati campi scientifici, formulando in siffatto modo e in progressione continua nuovi metodi di indagine e di analisi, unendo Antropologia fisica e culturale con la Glottologia e la Linguistica generale, per poi passare alla cultura materiale, ossia all’Archeologia; ma partendo sempre dalla lettura accurata delle fonti in lingua originale (o meglio dire quella di più antica attestazione: la trascrizione greca rinascimentale non è la stessa cosa del Greco parlato nel V sec. a.C.). Trattasi dunque di un uso complanare di varie discipline, ognuna con la sua specifica valenza, e tutte applicate con preciso ‘’dosaggio’’. Esse sono tutte ‘’forze’’ agenti sul medesimo oggetto, ognuna delle quali mi fornisce un dato unico, prezioso e differente, che va ad implementare il mio quadro diagnostico e dunque di sintesi. Per fare un esempio, se prendo la Glottologia, io opero in questo modo, tracciando schemi che poi vanno a sovrapporsi per una lettura sistematica, partendo dai seguenti dati ricavati dalle analisi dei foni che compongono le radici semantiche: metodo delle aree laterali; glottocronologia attraverso analisi componenziale; rilevazione delle isoglosse primitive ed individuazione dei foni originari; trattamento delle sonanti; catene di spinta e trazione fonetiche, dunque rotazioni consonantiche; rilevamento delle laringali originarie; ricostruzioni vocaliche primitive etc. Quello mio è un procedere sinottico in una ricerca sempre in fieri, attraverso l’uso complanare di molteplici discipline scientifiche, quali Filologia (la lettura delle fonti con i relativi confronti testuali), Antropologia, Glottologia, Archeologia etc., tutte combinate tra loro. Bello, vero?
La tua ricerca tradisce una spiritualità, per così dire, ariosofica dove l’etnocentrismo e l’ancestralità sono le coordinate. Come tradurre questa spiritualità nel quotidiano?
Oggi come oggi a maggior ragione, visto il deserto di immoralità che avanza inesorabilmente, colpendo sempre più persone. Non si crede più nella famiglia, nella Nazione, nel legame che si instaura tra simili (il Cameratismo, il legame clanico, il Blutesbund). Non si crede anche in se stessi. È mostruoso tutto questo, e nessuno più essere veramente felice e soddisfatto della propria vita. Questo è un mondo, quello moderno, basato sul vilipendio bestiale della spiritualità e dei valori tradizionali, dunque anche dell’intelligenza, della sensibilità e del buon senso. Si fingono essere autoindulgenti egocentrici, quando poi agiscono sempre per soddisfare gli istinti sempre più biechi ed innaturali, quindi sempre contro se stessi, obbedendo ciecamente a logiche di potere che anelano alla totale manipolazione e massificazione degli individui, portando allo scoperto ed incentivando ogni genere di malattia mentale. Altro che libertà! Semmai la peggiore schiavitù! Il risultato non può essere che l’uomo-bestia freudiano che vive esclusivamente per soddisfare istinti che non sono più naturali, ma imposti. È naturale nell’uomo voler amare la propria donna e la propria prole, e questo sentimento è istintivo se si è secondo Natura (‘’Natura duce’’ dicevano gli Antichi); ma non è naturale, ossia contra Naturam, vivere di sfrenatezze sconce e mostruose che conducono solo alla totale consumazione del proprio raziocinio e soprattutto della propria Dignità (Fuoco degli Dei), perdendosi nei bui e squallidi labirinti della depravazione, dove l’Io è totalmente distrutto. Ecco, la spiritualità indoeuropea è questo: la fierezza dell’Io, il sentire e volere essere se stessi fino in fondo, il totale controllo della propria personalità, la cura totale della propria personalità, la gestione totale della propria vita con la responsabilità di essere i custodi e gli adempienti le leggi divine, le leggi del Kòsmos, i princìpi che regolano la Natura così tanto meravigliosa.
Qual è il valore aggiunto che i tuoi vasti studi offrono al lettore di una testata che tratta segnatamente di religione romana?
Io sono ‘’ariosofista’’ ed ‘’etnocentrico’’ perché i Romani lo erano prima di me, a sua volta anche i progenitori dei Romani lo erano, e così i progenitori dei Norreni, dei Galli, dei Persiani, degli Ari, degli Elleni, dei Traci, dei Daci, degli Slavi, dei Balti etc. Tutti questi erano tali perché a sua volta i loro più remoti avi, gli Indoeuropei, lo erano. A partire da questi ultimi, nella più oscura e quasi insondabile preistoria, e dalla loro sede nel profondo Nord, una torcia bruciante d’un fuoco sacro è giunta fino a me e a voi, e questo grazie a tutti i nostri predecessori che hanno sagacemente svolto il compito di intermediari, così come noi ora abbiamo il sacro dovere ed il sacro diritto di continuare in questo nobile prosieguo verso il futuro, fin quando ci saremo. Questa è la Tradizione, a cui tutti i Romani, tutti i Norreni, i Galli, i Siculi, gli Elleni, e tutti gli eredi degli Indoeuropei, fraternamente uniti sono chiamati alla nobile causa: continuare ad esistere e poter chiamare ancora l’Europa ‘’casa nostra’’.
Grazie di tutto, vi auguro calorosamente góða Jól, buon Solstizio, buoni Saturnalia. Il vostro Daudeferd.
Paolo Casolari