Uno, nessuno e centomila. Il titolo del celebre capolavoro di Pirandello sembra fatto apposta per introdurre il tema di oggi: quanti Dei ci sono?
Questa domanda, per quanto neutra ed oggettiva, tocca la sfera dell’ineffabile e delle convinzioni di ognuno di noi, e si traduce immediatamente in una questione personale: quali sono le tue convinzioni o le tue intuizioni sul numero di divinità? Credi che ci sia un solo Dio, o due princìpi opposti, oppure che ci sia una pluralità di Dei? Un numero limitato o un numero infinito? Credi che le divinità siano su un unico livello trascendentale o che ci sia una struttura su vari livelli? Oppure credi che tutta la natura sia divina, fin dentro l’intimità dei costituenti elementari della materia, come i quark e le forze fondamentali che la regolano e costituiscono? O che non ci sia nulla di divino in un universo materiale e caotico?
Intervistando amici e conoscenti, la risposta predominante è quella monoteista, ossia relativa a un solo Dio, (monos vuol dire “singolo”, in greco, e teismo indica “divinità”), come sarebbe da aspettarsi in un paese con una lunga tradizione cattolica.
Scrivendo in una testata che promuove il politeismo romano, la religione originaria delle nostre genti, ritengo interessante offrire una riflessione sul numero delle divinità nelle varie tradizioni, definendo ciò che significhi “politeismo” e quale sia la sua relazione con il “monoteismo”.
Questo articolo non propone una soluzione invece di un’altra, ma vuole essere divulgativo. Dopo tutto nessuno di noi sa in maniera scientifica ed oggettiva quale sia la risposta, ma più o meno la serba in sé nel proprio paradigma religioso.
Per fare un confronto serio, occorre addentrarci nella notte dei tempi, durante la redazione della Torah ebraica (ossia dell’Antico Testamento) e scomodare nientedimeno che i dieci comandamenti così come riportati nel libro dell’Esodo, secoli prima dell’inizio del cristianesimo. Secondo l’ipotesi documentaria[i], i cinque libri dell’Antico Testamento sarebbero stati redatti nell’arco di qualche secolo e la stesura finale del libro dell’Esodo sarebbe avvenuta nel VI-V secolo aev. Il primo comandamento è quello che ci serve per la nostra discussione. Secondo la versione della “Nuova Diodati”, che riporta una traduzione molto fedele rispetto all’originale, esso recita: “Non avrai altri Dei di fronte a me” [Esodo 20, 3]. Il testo non prescrive il monoteismo, bensì la monolatria. Detto in altre parole, non è negata l’esistenza di altre divinità, oltre al Jahve biblico, ma semplicemente si dice che bisogna adorare il Dio ebraico e non gli altri Dei. L’autore del testo biblico dunque non si trovava in un contesto puramente monoteista, altrimenti il suo comandamento non avrebbe avuto alcun senso. In realtà, Jahve era il Dio etnico e nazionale degli Ebrei, e la sua supremazia rappresentava la supremazia di un popolo. Da cui tutto il testo biblico è centrato sul binomio popolo – Dio, in quanto le sorti della nazione sono legate al rapporto con la divinità, a tal punto da riferirsi a un “patto”.
Il monoteismo ebraico, in origine quindi, proponeva una monolatria ma non era monoteista salvo poi sviluppare nei secoli una teologia in tal senso.
Saltando diversi secoli, si giunge agli arbori del cristianesimo, che nasce come corrente dell’ebraismo, allora ormai totalmente monoteista. Il cristianesimo si forma all’inizio seguendo il monoteismo ebraico e chiamando Gesù con il titolo di “Figlio dell’Uomo”, per identificarlo con una profezia del libro di Daniele dell’Antico Testamento. Questo titolo compare nel vangelo più antico, quello di Marco, redatto attorno al 70 ev. Nei vangeli successivi la figura di Gesù è progressivamente divinizzata sino a diventare il Figlio di Dio, preesistente (Vangelo di Giovanni) ed introducendo la figura dello Spirito, che in realtà già appariva nelle scritture ebraiche. Il monoteismo quindi si arricchisce di elementi ma scricchiola, e per ritrovare l’unità della divinità si vede costretto a introdurre l’idea di Trinità, sconosciuta dagli ebrei, ispirandosi al lavoro del pagano Porfirio, che ne sviluppava il concetto in linea con la corrente di pensiero neoplatonica. I Padri della chiesa quindi adattano il trinitarismo neoplatonico applicandolo a Padre-Figlio-Spirito Santo, ma in maniera incompleta, secondo i filosofi neoplatonici, suscitando varie critiche da intellettuali politeisti come Celso. Se in qualche maniera il monoteismo veniva salvato con l’introduzione della Trinità, alla fine dovette cedere terreno attraverso l’introduzione del culto di Maria e dei Santi da parte del Cattolicesimo e della chiesa Ortodossa. La chiesa oggi si giustifica secondo una dottrina per la quale il culto a Dio è “latria” (ossia adorazione), ai santi è “dulia” (servitù) e a Maria è “iperdulia”, cercando di salvare, formalmente, ma non sostanzialmente, la monolatria del primo comandamento. Si tratta di una posizione molto debole, che in realtà di monoteismo e monolatria ha ben poco. Durante la Riforma, i protestanti cercarono di tornare idealmente al cristianesimo delle origini, rifiutando il culto di Maria e dei santi, ma furono costretti a mantenere la Trinità per salvare la figura di Cristo senza infrangere il monoteismo.
Al di là dei concetti ripetuti durante le ore di catechismo, appare chiaro che il monoteismo cattolico non sia così monolitico come si voglia far credere. Ovviamente, da parte di chi scrive, questa non è una critica, in quanto i contenuti di una religione vanno molto al di là di una semplice etichetta: stiamo solo ragionando se sia corretto identificare una polarizzazione della religione cattolica verso quella tradizionale romana nei termini di monoteismo in opposizione a politeismo.
Occorre inoltre notare come in certi momenti storici il cristianesimo sia stato pesantemente influenzato dal manicheismo mediorientale e dalla contrapposizione apocalittica tra una forza oscura e una forza positiva: il concetto lo si vede nel libro dell’Apocalisse (in realtà ne circolavano molti prima della definizione del canone delle scritture cristiane), dove Roma veniva identificata come la nuova Babilonia, la grande meretrice, riflettendosi anche in sant’Agostino nei suo De Civitate Dei. Il principio negativo era così forte da scuotere le fondamenta dell’universo. Ciò avrebbe dato origine ad un movimento alternativo dove Satana sarebbe stato il grande antagonista di Dio: è chiaro che questo concetto è in piena rottura con l’idea di un monoteista puro. In un contesto puramente monoteista, un film come l’Esorcista non avrebbe senso.
Consideriamo invece la forma religiosa nel mondo politeista. A prima vista, il problema si risolve con la parola stessa “politeismo”. In realtà anche in questo caso ci troviamo davanti una semplificazione, in quanto l’assenza di dogmatismo ha favorito nei secoli moltissime soluzioni.
Se da una parte constatiamo la presenza di elementi animisti, dall’altra ovviamente possiamo affermare che la religione romana è essenzialmente politeista, ossia si basa su un paradigma che considera l’essenza di esseri soprannaturali onnipotenti, con caratteristiche diverse. Oltre agli Dei e alle Dee, ci sono molte creature a livello gerarchico inferiore, come ninfe, geni, eccetera, probabilmente sviluppatisi dell’antico animismo e da vari sostrati. Da questa base di politeismo puro, ossia di divinità separate con una loro personalità, arricchito da un sottobosco di divinità minori, si sviluppano molte possibilità. L’ateismo non era contemplato. Al massimo gli Stoici, con il loro materialismo spirituale, affermavano che gli Dei erano enti appartenenti a questo mondo materiale e che un giorno sarebbero scomparsi pure loro nella conflagrazione, ma si trattava di una minoranza. Con Plotino, che insegnò a Roma, prese piede l’idea di un’unica origine, l’Uno, completamente trascendente, al di là di ogni idea religiosa e di ogni culto, da cui si dipanava per emanazione l’intera realtà dell’universo. Porfirio interpretò religiosamente l’Uno di Plotino come ente puramente trascendentale, ma considerò gli Dei della tradizione greco-romana come gli enti emanati dall’Uno, attraverso un processo trinitario, ispirato dalle opere di Numenio di Apamea. In questa maniera il politeismo si dotava di una robusta struttura teologica che fu ripresa da Giamblico prima e da Proclo poi, sviluppando in una struttura verticale vari livelli di divinità e aprendo le porte alla comprensione reciproca di vari sistemi politeisti, offrendo così una chiave di lettura universale dei diversi politeismo nel mondo conosciuto. Questa visione, dove si riconducono divinità diverse ad un unico principio completamente trascendente, è definita “enoteismo”. L’enoteismo viene erroneamente visto come una via di mezzo tra il politeismo puro ed il monoteismo. Si tratta in realtà di un paradigma differente, in contrapposizione con il monoteismo ma accettabile dal punto di vista politeista. Effettivamente le grandi dispute teologiche nei primi secoli dell’era volgare avvenivano tra i filosofi enoteisti del mondo greco-romano e cristiani che si definivano monoteisti.
È interessante notare come l’enoteismo sia apparso anche in Egitto, specialmente con la teologia di Amun, sviluppata ulteriormente nel Corpus Hermeticum. Amun-Rah, creando il mondo, si trasforma nella totalità di Dei e Dee che operano la creazione e perpetuano l’esistenza del mondo. Amun Rah è Unico però ha milioni di corpi.
Monoteismo e politeismo, comunque sia, sono etichette che non riescono ad esprimere la complessa ricerca del divino da parte dell’uomo. Ridurre il confronto tra il cristianesimo e la religio romana ad un’opposizione tra monoteismo e politesimo è fuorviante e riduttivo, per entrambe le parti in gioco, in quanto da una parte non c’è un puro monoteismo mentre dall’altra il politeismo può assumere varie forme, tutte accettabili per il carattere adogmatico della Religio. Le differenze tra cattolicesimo e politesimo tradizionale romano hanno in realtà radici più profonde di un mero calcolo algebrico.
Mario Basile
[i]Approfondimento in https://it.wikipedia.org/wiki/Ipotesi_documentale#:~:text=L’ipotesi%20documentale%20o%20documentaria,Pentateuco%20(Torah%20in%20ebraico)