Focus sulle principali ricorrenze che scandivano l’anno dei nostri antenati

Nell’antica Roma venivano celebrate solennemente varie festività chiamate Feriae legate a una certa divinità o ricorrenza religiosa, ma anche congiunte al ciclo delle stagioni dell’anno.

Le feste di primavera comprendevano un certo numero di festività ripartite tra la metà di febbraio e la fine di aprile.

Il mese di febbraio era il regno di Faunus, con la celebrazione dei Lupercales. Georges Dumèzil, nel fondamentale studio La religione romana arcaica1, precisa che «una volta all’anno, per un giorno, si spezzava l’equilibrio tra il mondo regolato, esplorato, suddiviso, e il mondo selvaggio: Fauno occupava tutto. Ciò accadeva il 15 febbraio, nella seconda parte del mese, durante la quale (ai Feralia del 21) si stabiliva anche un vincolo necessario e inquietante fra altri due mondi, quello dei vivi e quello dei morti: fine dell’inverno, approssimarsi della primavera e dell’anno nuovo secondo l’antica ripartizione in dieci mesi: quei giorni rimettevano in questione ritualmente gli schemi stessi dell’organizzazione sociale cosmica». Il 15 febbraio i Luperci prendevano anche possesso dei dintorni del Palatino e celebravano una serie di riti agresti e selvaggi, consistenti in particolare nell’inseguire delle donne.

Questi Luperci, vestiti solamente di pelle di capra sulle anche, simboleggiavano gli spiriti della natura di cui il dio Fauno era il capofila; erano, dice Marco Tullio Cicerone, «la solidità selvaggia, in tutto pastorale e agreste, dei fratelli Luperci, il cui gruppo silvestre fu istituito prima della civiltà umana e delle leggi».

Dal mese di aprile in avanti, si svolgevano i Vinalia, i Robigalia e i Floralia, festività rituali miranti a impedire la fioritura precoce della vegetazione tra la metà di aprile e la metà di maggio, e dunque a preservare i germogli e le giovani messi della ruggine e dal gelo.

Prospero Piatti, Floralia
Prospero Piatti, Floralia

I Floralia, tra il 29 aprile e il 3 maggio, forse hanno subito un’influenza greca. Essi celebravano la dea Flora, patrona dei fiori, degli alberi e delle messi. Il nome di questa divinità era, come quello di Ops Consiua, considerata come un “segreto di Roma” da tenere nascosto per la sicurezza mistica dello Stato. Flora significativamente era anche la patrona dei “verdi” nel quadro delle antiche corse dei carri. Sempre Dumèzil osserva: «Essa documenta a Roma i vincoli naturali della fecondità e del piacere, della fioritura della natura e della voluttà degli uomini, elementi che anche altre società indoeuropee riuniscono nell’ambito della terza funzione».

Il 21 aprile aveva luogo la festa dei Parilia. Si trattava, al tempo stesso, di una festa di fondazione e una festa di purificazione, in occasione della quale si accendevano fuochi. Si onorava la dea Pales – o più precisamente – una delle due dee che avevano questo nome (perché esisteva un’altra festa, detta Palibus II, che cadeva il 7 luglio). Ci si è interrogati sul senso del nome. La derivazione invocata talvolta, a partire dal concetto di partus, “nascita”, è falsa. Parilia proviene dall’antico Palilia, dopo una trasformazione della “l” in “r”. Sin dal 1956, Dumèzil ha accostato il nome Pales a quello della divinità vedica, Vistala, che sembra legata ai gemelli e ai cavalli, come pure a un rituale di mutilazione di una giumenta. E’ da notare che l’annalistica romana ha scelto la data dei Parilia, il 21 aprile, come dies natalis della fondazione di Roma da parte di Romolo – forse per associazione – tra il nome di Pales e quello del Palatino, o per allusione all’attività dei pastori svolta da Romolo e Remo nella loro infanzia. In occasione dei Parilia, si procedeva a una lustratio, ossia a una purificazione degli animali domestici rurali presiedute da Pales. Il rito è stato descritto da autori differenti, tra cui Orazio e Virgilio. Sin dall’alba, si versava dell’acqua sulle pecore sazie, e si innaffiava il suolo dei recinti.

Per la decorazione, erano utilizzati fogliame e ghirlande e in onore di Pales si faceva un’offerta di latte e miglio. Per concludere, si accendevano fuochi di legna e paglia, attraverso i quali si facevano rapidamente passare gli animali. Sui fuochi si gettava la lustratio, che era in effetti una fumigazione fatta con una mistura (suffimen) preparata dalle vestali a partire da tre elementi: sangue di cavallo, Fordicidia, e steli di fave private dei frutti. Come precisa Sesto Properzio nelle Elegie romane2, in seguito la festa fu caratterizzata dal sacrificio di un cavallo, il che ha dato luogo ad erronei accostamenti con la festa dell’Equus october (“cavallo d’ottobre”).

In occasione delle feste primaverili in onore di Cerere, delle matrone vestite di bianco portavano solennemente a spasso delle uova nelle strade della città.

In autunno, la menologia (almanacco agricolo) dal mese di settembre dà numerose prescrizioni concernenti l’agricoltura: dolea picantur, pona leguntur, arborum oblaqueatio.

Anche Marco Terenzio Varrone segnala l’intensità dell’attività dei contadini in questo periodo dell’anno. I calendari rustici mettono settembre sotto la protezione di Vulcano. In realtà, presso i latini settembre è il mese di Giove. Il 1° del mese (calende) hanno luogo in Campidoglio dei sacrifici in onore di Giove tonante (Iovi tonanti), e sull’Aventino in onore di Giunone. Il 5 si onora Jupiter Stator al quale un primo tempo fu dedicato nel 294 a.C., poi un secondo nel 146 (su iniziativa di Q. Caecilius Mettelus Macedonicus). Dal 5 al 19 si svolgono i giochi romani (Ludi romani, chiamati anche Ludi Magni), in onore di Jupiter Optimus Maximus. Un tempio fu consacrato a quest’ultimo sul Campidoglio il 13 settembre 509. Partendo da questa data, si instaurò progressivamente un grande periodo di festeggiamenti della durata di tre settimane. Poco dopo della morte di Cesare, fu anche aggiunto un quindicesimo giorno, poi un sedicesimo, il 4 settembre, in onore di quest’ultimo. Originariamente i Ludi Romani erano giochi votivi, caratterizzati in particolare da processioni trionfali, che sembravano essersi trasformati in una festa annuale nel corso del IV secolo a.C., se non anche prima. Il loro apogeo aveva luogo il 13, con l’Epulum Iovis, in occasione del quale si rendeva omaggio a Minerva.

Segnando la fine dei lavori rurali stagionali, il mese di ottobre era caratterizzato a Roma da due grandi cerimonie in onore di Marte: il celebre sacrificio del “Cavallo d’ottobre” (di cui Georges Dumèzil ha percepito il mistero), e dall’altra parte l’Armilustrium, cerimonia di tipo militare. Da parte loro i Medritinalia riferiscono anche a Liber e Libera. I calendari rustici recano la menzione: Tutela Martis. Vendemiae. Sacrum Libero.

Il 1° ottobre, giorno delle calende, si svolgeva una cerimonia in onore di Fides, la (Buona) Fede. Secondo Tito Livio, questo culto sarebbe stato instaurato dal re Numa, il quale avrebbe ordinato che i flamini si recassero all’altare della dea su un tiro a due cavalli, avendo le mani coperte fino alle dita, per simboleggiare la maniera in cui la buona fede deve essere conservata. In realtà, Fides come Dius Fidius (col quale lo si è talvolta confuso), non ha mai avuto flamini; la frase di Tito Livio allude più probabilmente a dei sacerdoti. Peraltro, l’antichità di questo culto è stata contestata. Esso è ben attestato solo nel III secolo a.C., quando il console A. Attilius Catalinus fece costruire il tempio alla Fides Publica. Consacrato un 1°ottobre, questo tempio si ergeva probabilmente nell’area capitolina. All’occorrenza, vi si riuniva il Senato, e i suoi muri era fissato il testo degli accordi conclusi con popoli stranieri. Un passo di Orazio fa pensare che anche la statua della dea aveva la mano destra coperta (alba Fides velata panno). In origine, la Buona Fede regolava i rapporti degli uomini tra di loro: Fides simboleggiava la fiducia che gli uomini possono riporre negli dèi quando mantengono la pax deorum. Il 4 ottobre aveva luogo ugualmente una festa in onore di Cerere (Ieiunium Ceresis), dea della vegetazione. Essa fu instaurata nel 191 a.C. su iniziativa del Senato, forse su influenza greca, e si svolgeva normalmente ogni cinque anni.

Nel periodo dei Saturnalia a dicembre e delle calende di gennaio, le dimore erano comunemente ornate di fogliame e di vegetazione. Successivamente, questo costume fu bandito dalla Chiesa: Tertulliano nel suo De idolatria scriverà: «se avete rinunciato ai templi, non costruite templi a casa vostra». Negli antichi santuari, si onoravano gli alberi come creature viventi, dotate di un’anima, come nel caso della quercia di Diana, vicino al lago di Nemea. Anche i greci andavano a pregare presso le querce di Zeus, a Dodona. Durante una guerra gallica a Marsiglia, Cesare ordinò ai suoi soldati di abbattere gli alberi venerati di un boschetto sacro curato dai druidi locali.

La quercia a Roma è l’albero di Giove: quercus Iovi, si dice comunemente. Claudiano impiega la formula quercus amica Iovi, la quercia amica di Giove. Nelle Georgiche, Virgilio scrive: Sicubi magna Iovis antiquo robore quercus Ingentis tendant ramos. La quercia è considerata come un portafortuna: felices arbores puntatur esse quercus, aesculus, ilex. Presso gli umbri e gli etruschi, le driadi e le amadriadi (nella mitologia classica, ninfe abitatrici dei boschi) traggono il loro nome da quello della quercia in greco (druds) e si nascondevano alla sua ombra. Esistevano divinità della quercia: la Deonia quercus, la ninfa Ceneri gratissima. La corona di quercia, inoltre, è un segno distintivo e di primaria importanza. La corona civica, in particolare, ricompensa i più alti valori militari: Plinio la descrive come militum virtutis insigne clarissimum, Quintiliano come gloriossissima omnium. Essa è attribuita ai capi dell’esercito che hanno compiuto gli atti più eroici: Marcius Coriolanus (Coriolano), L. Siccius Dentatus, che riportò la vittoria in circa centoventi combattimenti, M. Manlius Capitolanus, morto nel 384, P. Cornelius Scipio (Scipione).

Le festività romane vennero abolite con l’editto di Tessalonica del 27 febbraio 380 emesso dall’imperatore Teodosio I quando il cristianesimo divenne religione di stato.

Franco Brogioli

 

 

 

Note

  1. Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2001.
  2. Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1987.