Giove, Res publica, Flamen dialis: perché nella Romanità il popolo è il sacro

IMG_6816.jpgColui che ha la Visione, è la Visione ed è visionario; la Visione è la potenza dello Spirito che apre le cateratte del Cielo e consente l’Irruzione dello stesso sulla Terra, consente la creazione della Civiltà che, nella spiritualità indoeuropea, è il Tempio della Luce e della chiarezza del Cielo diurno.

E’ la Res Publica che è Juppiter Optimus Maximus in Idea manifesta.

Secondo la natura naturans dell’uomo indoeuropeo, il Politico come categoria dello spirito, è, pertanto, la luminosità ed il chiarore festivo del giorno, è la festività perenne del Flamen Dialis, che non viene chiamato Jovialis ma Dialis, cioè il Sacro Giorno (“id est Dies Pater, precisa Varrone!).

Lo Stato, cioè la Cosa di tutti, la Res Publica Romanorum è, quindi, il chiarore e la luminosità del Giorno e del Cielo diurno, per la ragione che i Riti giuridico-religiosi e la vita stessa del Popolo Romano, che è il Popolo degli Dei, i suoi Comizi, le sue convocazioni del Senato, i suoi Concilia Plebis, si celebrano, rite et auspicato, solo sotto il Cielo luminoso del Giorno che è Juppiter Optimus Maximus!

Il Politico, la Res Publica, cioè quello che noi impropriamente chiamiamo Stato, è quindi il festivo nella perennità poiché è il più-che-vita, è l’oltrevita, nel senso dell’andare al di là della generazione e della riproduzione, quindi della dimensione strettamente biologica del Jus Gentium e quindi della familia, per entrare nella dimensione del Jus Civile che è quella superiore dello Spirito, dell’Ordine, della Gerarchia, dell’Autorità, della virilità sapienziale e della Comunità quale mannerbund, Bersekir, Compagnia di uomini armati scelti: Legione. Dove l’etimo di “Comunità” è “cum munus” cioè “unione in forza dell’obbligo”: ed è l’origine guerriera dello Stato.

La festività del Politico, della Res Publica, non può che essere pertanto la conseguenza della sacralità medesima del Pubblico che è come dire del Popolo (Populus e Publicus derivano ambedue dall’arcaico pòplikos; vedi G. Casalino, Sigillum Scientiae. L’essenza vivente ed ermetica della Romanità e il Platonismo, Taranto 2017, pp. 38 e ss.).

Nel Digesto si afferma: “sono sacre quelle cose che sono state consacrate pubblicamente: non le private” (1,8,6); “è ritenuto sacro solo ciò che è stato consacrato per iniziativa del Popolo Romano, sia mediante legislazione che Senatoconsulto” (Gaio, 2,5).

Se nella Romanità il Pubblico si identifica ab origine con il Sacro ed il privato con il profano, allora, poiché il Pubblico si identifica con il Popolo medesimo, quest’ultimo è Sacro: in questa immensa verità rivoluzionaria, per il mondo antico e per tutta la vicenda umana nella intera storia delle Civiltà, risiede in Roma la festività del Politico, cioè la sua appartenenza alla dimensione sacra che, interrompendo, fermando la serialità profana cioè privata degli eventi umani, eleva la Comunità verso la dimensione dell’Alto nella quale si decide, nel Popolo e per il Popolo, su ciò che si confà alla Legge dello Spirito e non a quella del Sangue.

Se ciò è vero, l’intera linea di pensiero della nostra Tradizione dello Stato, quale Idea dell’Ordine, è quella che risiede nella Visione dello Juppiter Optimus Maximus quale Cielo luminoso del Giorno, come in tutti gli Dei sovrani del mondo indoeuropeo dalla Scandinavia all’India e che, secondo Altheim, equivale al Principio Luce che è Apollo (ed è ciò che intuì Augusto…!) che è tutt’uno sia con la stessa natura cosmica della Res Publica, che è Res Populi e quindi Res Sacra, che con l’esoterica e potentissima, poiché magica, natura del Flamen Dialis quale sacro, vivente e visibile legame mistico, continuo e perenne, tra il Popolo Romano e la dimensione più Alta dell’Invisibile, garanzia suprema della Salus Rei Publicae (tanto che nel periodo più buio delle guerre civili della tarda età repubblicana, per quasi ottant’anni, l’Officium del Flamen Dialis restò vacante…!).

Identificare, coniugando, il Pubblico, il Popolo con il Sacro, coniugando cioè l’inconiugabile secondo la cultura politico-religiosa di tutti i tempi, e fondando su tale identificazione, i tre pilastri della Norma, quale Rtà cosmico, Ordine divino del Mondo che è la Res Publica stessa, pilastri che sono: Religione, Politica e Diritto, fonte, gli stessi, della Majestas Populi Romani, seconda solo a quella di Juppiter, e della Auctoritas del Senato, significa, sostanzialmente, superare e vincere il relativismo agnostico ed ateo della oclocrazia greca, la perfidia della plutocrazia mercantile e talassocratica cartaginese nonché la stessa tirannide plebiscitaria sia etrusca che dei regni orientali ellenistici,  ed instaurare la Virtus indiscutibile, immodificabile e quindi oggettivamente valida, efficace e potente, cioè assoluta, della Legge che, provenendo dal Popolo e quindi dal Sacro, è tanto carica di tale energia da garantire e conservare la Aeternitas medesima della Res Publica.

Nella miktè politèia romana cioè nella sua Costituzione mista, nella Libertas dei Cives nei loro Ordini, nel bilanciamento reciproco dei poteri istituzionali che, provenendo dal Mos Majorum e quindi dagli Avi e cioè dal Tempo degli Dei, sono Sacri e pertanto immodificabili, consiste ciò che stupidamente noi definiamo “conservatorismo giuridico e politico” dei Romani, quando, invece, è solo, per quel santo Popolo, venerazione religiosa e pietas reverenziale nei confronti delle sacre Origini che sono la base del Cosmo romano.

Ciò ha consentito alla Romanità ed alla sua Idea di Res Publica di creare, nel tempo, la Comunità mondiale delle diverse Genti che sono un unico Popolo che è quello Romano (Constitutio antoniniana del 212 d.C.) e che, quindi, sono il Sacro.

Prende forma e vita, pertanto, il miracolo, unico nella storia dell’umanità, della Sovranità del Popolo universale fondata e legittimata dal Sacro e che si identifica con lo stesso e tale Sovranità universale della Sacertà dei popoli che sono il Popolo Romano, dialoga e riconosce, come suo Ponte (Pontefice Massimo) con il Divino, che ha tanti volti, nature e tradizioni quante ne conservano dignitosamente e liberamente le varie e diversificate culture dell’immenso Ecumene romano, il Principe  ed essenzialmente il suo Genio, alla cui Salute e Vittoria tutti i cittadini dell’Urbe universale bruciano grani di incenso sull’Ara, in segno di religiosa gratitudine e pia devozione.

Poteva tale potenza spirituale cadere e scomparire tra i flutti della vicenda umana dopo la tragedia di Canne? Certamente no!

Polibio, infatti, profetizzò che Roma, poiché aveva superato Canne, era destinata al governo del Mondo!

Con giustizia, saggezza e lungimiranza nella venerazione religiosa e nel rispetto secolare delle sacre istituzioni dei Padri, tanto che ancora in piena età bizantina i vescovi dalmati invocavano la restaurazione della Sancta Res Publica!

Ciò manifesta la natura guerriera e magico-attiva della Via al Sacro di Roma; il lessicografo Festo, infatti, rivela, nel suo Ordo Sacerdotum, che la gerarchia, nei banchetti sacri, è la seguente: primo è il Rex Sacrorum, subito dopo vi sono i Flamines della Triade Arcaica, che non sono Sacerdoti Pubblici ma, bensì, sono il Sacro, cioè “statue viventi degli Dei” (Plutarco) e pertanto Vita quale esercizio attivo della Via dell’Azione Sacra; dopo è situato il Collegio dei Pontefici che sono degli autentici sacerdoti e sono, come si è detto, la Conoscenza del Sacro in quanto Via contemplativa allo stesso: tale è l’essenza della Tradizione Romana che evidenzia, come non mai, la differenza gerarchica sussistente tra chi è il Sacro in quanto vivente e manifesta identità con lo stesso, virilmente possedendolo ed agendolo e sono i Flamines ed i Pontefici, i quali sono solo la Conoscenza dei Riti e delle segrete formule atte a consentire a chi, agendo e vivendo da principio maschio vittorioso, in senso magico (precisa Evola!), di esercitare il potere inerente il jus agendi cum Diis che è il Rito in quanto Azione suprema e continua di ridivinificazione del Divino il che è come dire creazione perenne della stessa Res Publica.

Con la sciagurata legislazione di Teodosio, la quale recise il coniugio tra Stato e Sacro, tra Impero e Religione – riducendo lo Stato ad amministrazione agnostica ed arida (dalla stupidità contemporanea definita “laica”) priva di qualsiasi legittimazione da parte di principi oggettivi assoluti, metafisici e quindi riconosciuti e osservati da tutti, come sola può essere la potenza intoccabile del Sacro, degradando il Pubblico a privato e quindi a profano che è il campo individualistico del relativismo etico e la religione a vicenda intima, psichica e personale e non più comunitaria, oggettiva, rituale e tradizionale in quanto intellettiva (credenza venuta ad avere la prevalenza in Occidente) – si inaugurò il lungo dominio dell’impotente giaculatorio sacerdotale in uno con i primi vagiti di quel mostro che sarà poi l’astrazione moderna del cosiddetto “Stato di diritto”.

Giandomenico Casalino