Chi percorra il Foro Romano all’altezza della rampa e salga verso la Basilica di Massenzio, dal clivo di Venere Felice, perviene – sulla sinistra – alla spianata sulla quale si trovano i resti del Tempio di Venere e Roma.
Voluto da Adriano, che pare lo abbia progettato, fu inaugurato nel 135 d.C. e completato sotto Antonino Pio. Sotto il profilo architettonico è, crediamo per certo, l’esempio unico di un tempio la cui pianta è stata voluta in modo tale da far pensare ad una intenzionalità, che nella religione romana non è mai formale. Le deduzioni che si possono trarre dall’esame del tempio investono la parte “interiore” del culto sia di Venere che di Roma. Dell’esame e delle deduzioni conseguenti riteniamo non esistano , da parte di studiosi di parte nostra, precedenti.
Il tempio era circondato lungo tutto il perimetro da colonne. La parte interna, delimitata nei lati lunghi da pareti continue, nei lati corti era aperta dal pronao che dava accesso al nao e, quindi, alla cella della divinità, Nel tempio di cui si tratta, quindi, vi erano due celle aventi in comune la parete di fondo. La cella rivolta a nord-nordovest (verso il Foro) era quella della Dea Roma, l’altra (prospiciente il Colosseo) di Venere.
La parete di fondo, comune alle due celle, ha una struttura absidale bifronte e simmetrica, e divide in due parti uguali il tempio. Vi è da chiedersi perché Adriano volle e realizzare il Tempio di Venere e Roma, apparentemente costituito da due templi unificati come “siamesi” da una sola struttura bifronte. L’’insistere di due divinità sullo stesso luogo sacro non poteva che suggerire come Roma – elevata a divinità – e Venere – dea – fossero intimamente legate da un rapporto arcano.
Ci limitiamo qui a porre in evidenza come la valenza venusiana d’Amor abbia una precisa corrispondenza in Roma, quale dea celebrata nel tempio eretto da Adriano: il più grande dell’Urbe (m.100×145). .
Alla divinizzazione s’era giunti inevitabilmente.
Scrive, in tal senso, Georges Dumezil (La Religione romana arcaica, pp. 436 – 438): “Gli avvenimenti del IV e del III secolo trasformarono non soltanto la Roma materiale, ma anche l’idea di Roma nelle menti dei suoi figli e degli altri italici … Grazie alla storia e alla leggenda di Enea Roma acquisì una funzione provvidenziale … Certo, siamo ancora lontani dal momento in cui la dea Roma verrà proposta all’adorazione del mondo; essa tuttavia acquista già una personalità, diviene un’entità, riceve un Genius … Genius Publicus o Genius Populi Romani…”
Ed in età imperiale, sotto Adriano, appunto, si precisa il culto della dea Roma, cui si giunge, come abbiamo detto, inevitabilmente.
Il nome di Roma, quello palese, è stato con nesso con insistenza con quello della potenza venusiana Amor, di cui è l’anagramma. Viene in tal modo posto in luce il rapporto Roma – Venere, rapporto che giustifica ai nostri occhi la particolare conformazione del tempio di Roma e Venere.
Con ciò non ci azzardiamo a sostenere che il nome arcano di Roma – o uno dei suoi nomi arcani – sia Amor: il segreto è stato ben conservato. Intendiamo semplicemente illustrare mediante una serie di relazioni, le plausibili ragioni che stettero alla base del rapporto (fissato con l’inaugurazione del tempio a loro dedicato) Roma – Venere.
Il Genius Publicus o Genius Publicus Populi Romani non fu confuso con la dea Roma: le due entità, aventi comune radice, non avevano, in effetti, la medesima valenza, per cui l’uno e l’altra ebbero propri culti, corrispondenti agli insiemi tutelati: rispettivamente il Popolo Romano e l’Impero.
Salvatore Ruta
(La Cittadella n° 9, luglio-settembre 1986)