Flora “gradiva” accompagna sui verdi sentieri della crescita spirituale


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Il 28 aprile abbiamo effettuato una diretta, visibile tutt’ora sulla nostra pagina Facebook, sulle feste di Flora con l’archeologa Sandra Mazza. 

 

 

Flora è flos declinato come femminile della 1a, indice del fatto che si tratta d’una divinità indubbiamente femminile.  Fu venerata tra i Sabini ed i Sanniti ed a Roma fu portata, afferma Varrone (1) che l’apprese dagli Annali (nam ut annales  dicunt…), da Tito Tazio. Il Dumezil (2) annota che in terra osca esiste anche un Florus.

Qualche autore fa risalire Flora ad una Afrodite Antheìa, però si tratta di un’interpretazione solo relativamente valida.

Il nome di Flora ha, tuttavia, un valore del massimo rilievo in quanto era considerato “il” nome segreto di Roma (3) e a tal proposito il Del Ponte (4) afferma: “Dalle caratteristiche misteriose e arcane, l’antica Flora sarà venerata sino oltre il trionfo del Cristianesimo (ad esempio dalla gente dei Simmachi) ed in essa alcuni hanno voluto vedere l’espressione del nome arcano dell’Urbe, in quanto impersonificante la forza insopprimibile della Tradizione che, sempre nei tempi rinascendo si rinnova”.  Cosa alquanto notevole sia in rapporto al nome segreto di Roma sia a una “via romana al sacro”, la dea pare fosse la patrona dei virides nella corsa dei carri nel circo (5). “Il color verde è simbolo dell’anima vegetativa (aristotelica, ndr) e dell’universal Natura insieme” (6).

Flora ha la funzione di proteggere -al momento in cui fioriscono-  le piante ornamentali, i cereali (Aug. Civ. D.,4,8) ed altre piante utili compresi gli alberi (7). I Fratelli Arvali le offrivano sacrifici.

La vetustà della dea, a Roma, è attestata dal fatto che addetto al suo culto è un Flamen Floralis, la cui istituzione-è fatta risalire a Numa. Com’è noto i Flamini erano i massimi sacerdoti delle più antiche religioni romane, nei fatti strettamente cultuali, precedevano lo stesso Pontefice Massimo. Oltre che nel culto pubblico Flora era venerata anche in quello privato. A tal proposito è rilevante lo studio di Del Ponte sui Simmachi, che esercitarono il culto domestico di Flora fino al V sec. d.C. (8).

La tradizione afferma che Tazio innalzò are a Flora, Ope e Saturno (9); secondo Vitruvio un tempio di Flora esisteva già sul Quirinale, a poca distanza dal tempio di Quirino (10); si sa che a Q. A. Simmaco venne lasciato per testamento il compito di edificare (o riedificare) un tempio alla dea (11).

A Flora erano dedicati i Ludi Florales, che divennero annuali nel 173 a.C. essendo consoli L. Popilio Lena e L. Postumio Albino, dopo la consultazione dei Libri Sibillini, per impetrare la fine della cattiva stagione (12). Della celebrazione dei ludi erano incaricati gli edili.

I Floralia erano la festa della fioritura della natura e del fiorir della giovinezza, nonché  della voluttà degli uomini. Non è fuor di luogo pensare che Flora fosse venerata anche dalla Juventas (13).

Le feste avevano inizio il 28 aprile e si protraevano fino al 1° maggio (14). Ci si vestiva con tuniche di varii colori; le porte delle case venivano ornate di corone floreali e di simili corone ci si cingeva il capo.

Poiché protagoniste più evidenti delle feste erano le meretrici, dei Floralia si mette di frequente in evidenza la licenziosità alla quale si abbandonavano sia gli uomini che le donne. E, infatti, nel Circo Massimo si svolgevano giochi in cui meretrici “iscritte all’albo” (15) parodiavano i gladiatori, ma invece di combattere contro bestie feroci, inseguivano caprioli, lepri, cerbiatti e simili: in premio ricevevano le bestie che riuscivano a catturare. Tali giochi, non è  arduo pensarlo, davano occasione a scenette licenziose, nelle quali il sesso aveva parte evidente: così un Agostino (Civ. Dei, 2, 27) li definì “ludi tanto più devoti quanto più turpi”. Non mancavano, inoltre, spettacoli teatrali che fecero dire ad Arnobio che “il bordello si trasferiva nel teatro” (Adv. Nat.,7, 33).  Se pensiamo alla morale cristiana secondo la quale il sesso è legato “alla carne e al peccato” a meno che non lo si strumentalizzi a fini procreativi, nei Floralia la “licenziosità” ed anche l'”oscenità” c’erano. Si tratta di vedere quale sia il punto di vista tradizionale che valga, non a giustificare, bensì a chiarire il valore di quelle manifestazioni essenzialmente gioiose, nelle quali era posta in atto la “voluttà”, ossia un’esperienza che non ha niente di edonistico e di finalismo biologico. Anzi una tale esperienza era fatta rientrare in quello che per approssimazione si può chiamare “amore sacro”, in cui è assente ogni empietà. Al contrario è empietà “la causa prima della separazione esistenziale dell’uomo dal divino” (16):

Questo per ciò che riguarda i Floralia.

Flora è rappresentata, nella più bella statua che di lei conosciamo (17),come una giovanedalle belle forme messe in evidenza dalla tunica ampia e riccamente drappeggiata, il capo coronato di fiori, frutta e fiori retti da entrambe le mani, incedente con passo insieme lieve e deciso.

E’ gradiens  qualificativo che merita qualche annotazione.

Gradiens da gradior (camminare, procedere, avanzarsi): sta quindi per procedente, camminante, avanzantesi. L’aggettivo corrispondente è gradivus/gradiva  colui o colei che procede, cammina, si avanza; anche Marte è gradivus: infatti non solo accompagna la legione in marcia, ma accompagna altresì il legionario quando questi esprime il suo furor nell’esaltazione del combattimento. Flora come gradiva accompagna chi la venera per i verdi (18) sentieri della crescita spirituale: attraverso l’experientia guidata dalla tradizione. Per inciso, val la pena notare che gradus non è solo il passo, ma è anche il gradino, mediante il quale si ascende.

Non possiamo chiudere questo scritto senza far cenno di ciò che il Sabatucci (19) dice della dea Roma e di Cibele, che per una concezione globale – tutte le dee in una sola dea – sarebbero rappresentate entrambe con il capo cinto della corona turrita, come si fa oggi dell’Italia. Verrebbe stabilita una connessione tra Flora – nome sacrale dell’Urbe – e Roma, “quindi tra Roma e Cibele, che alla dea Roma aveva dato il modello iconografico; risponde in sostanza all’esigenza di giustificare la collocazione della nascita di Roma nel mese di aprile” (20).

La tesi psico-socio-antropologica dello studioso tende a dimostrare che i Floralia documenterebbero l’invenzione” (sic) d’una “nuova Flora” che agisce sì nel campo dei venena di Venere, ma non per favorire l’accoppiamento, bensì per evitarlo  (mito di Chlóre in Ovidio). La dea castigherebbe, le prostitute che praticano il sesso, ma sono private della maternità (21). L’azzardata costruzione Flora-Roma-Cibele è fondata esclusivamente sulla documentazione iconografica, che il Sabatucci avrà visto, ma non guardato, altrimenti non avrebbe commesso un errore dalle molte conseguenze: la Dea Roma non è mai stata raffigurata con la corona turrita in testa, l’Italia e Cibele sì.  A suffragio di quanto affermiamo bastano i documenti iconografici. Quanto alle prostitute che venerano la dea che le castiga, su ciò ascolteremo il Nostro un’altra volta.

A edificazione della Natio Italica che va prendendo consistenza nel tempo, ricordiamo Flora come “simbolo della stagione che torna, ma anche della Tradizione che, continuamente rinascendo, risorge nella terra degli antichi padri, l’Italia o Vitalia, la ‘terra della vita’ ” (22).

 Claudio Rutilio

(da  LA CITTADELLA n° 21, luglio-settembre 1989)

 

Note

1)  LL, 5, 74

2)  “La Religione di Roma Arcaica”, p. 54, n° 10

3)  Id., p. 243

4)  In “Kalendarium 1982”, Aprilis. Vedi l’importante studio di G.D. Casalino  “Il Nome Segreto di Roma”, Ge 1987 ed anche M. Baistrocchi,”Arcana Urbis”, che concorda nella dimostrazione

5)  G. Dumezil, op. cit, p.244

6)  C.  Della Riviera, “Il Mondo Magico degli Heroi”,  Bari 1932, p. 87

7)  G. Dumezil,  op. cit, p. 243

8)  R. DEL PONTE, “Sulla continuità della tradizione sacrale romana” in “ARTHOS” nn-21,25,29

9)  G. VACCAI, “Le Feste di Roma Antica”, Roma  1986, repr. ediz 1927

10) VITRUVIO, VII, 9

11) R. DEL PONTE, op. cit., n° 21, p. 8

12) D . SABBATUCCI, “La Religione di Roma Antica, dal calendario festivo all’ordine cosmico”, Milano 1988, p. 151

13) R. DEL PONTE, “Dei e Miti Italici”, Genova

1985, 1a, p.147, afferma che Flora era venerata anche dalla Juventus di Pompei:  Le “gioventù” erano associazioni di giovani in forma di “corporazione” o di “ordine”, diffusi specialmente nella parte occidentale dell’Impero Romano.

14) Il VACCAI, op. cit. p. 82, dice che i Floralia, secondo taluni calendari si concludevano il 3 maggio

15) Ovidio le chiama “professae” perchè avevano confessato il loro mestiere dinnanzi agli edili che avevano il compito di registrarle

16) J. EVOLA, “Metafisica del Sesso”, Roma 1969, p.71

17) Si trova nella Galleria degli Uffizi di Firenze. Altra statua della dea si trova al Museo Nazionale di Napoli, collocata in origine nelle romane Terme di Caracalla.

18) Cfr. R.DEL PONTE, “Sulla continuità, ecc.”cit., n. 21, p.12, n. 32 precisa: “Non è possibile rendere in italiano moderno tali espressioni latine, cui è connessa una valenza iniziatica: e del resto gradi (inf. di gradior, ndr) corrisponde più o meno a inire “.  A proposito del color verde riferito a Flora, è Ovidio nel V dei “Fasti” a collegare la dea alla Chlore (“la verde”) della mitologia greca. Il verde è il colore della Venere di Fidia! Verde è il colore del femminile, del regno vegetale che si rigenera, delle acque lustrali, del risveglio delle acque primordiali. E’ il colore della Verde Erin, celtica, ed anche della Grunland, la verde terra iperborea. Ermeticamente parlando, la virtù del verde sta nel fatto che contiene il rosso. Afrodite, nata dalla spuma del mare è sposa di Efesto (il fuoco ctonio) ma è “amante” di Marte (il fuoco uranio). Flora, quindi ha profonde connessioni con Venere e con Roma. l Romani che non dovevano esser poi così rozzi, specie in materia religiosa, edificarono un grandioso tempio a Venere e Roma, le cui celle erano spalla a spalla al centro (“La Cittadella”,n.9,inserto, p.VI)

19) D. SABBATUCCI, op. cit., p.151

20) Id. p.154.

21) Ivi

22) R. DEL PONTE, op. cit., n°21, p.12