Il decoro e la tutela degli edifici “storici” era già pratica nell’impero romano

Gugliemo Giovannelli Marconi, storico sodale e vicepresidente del Movimento Tradizionale Romano, in veste di presidente della sezione Lazio dell’Istituto Italiano dei Castelli ha organizzato il 26 febbraio scorso l’evento di esordio della sua gestione: un singolarissimo convegno sul tema della tutela e del decoro pubblico degli edifici nell’antica Roma.

L’incontro, svoltosi nella capitale presso il Museo Storico dei Granatieri a piazza S. Croce in Gerusalemme, ha visto come relatore l’avvocato Lorenzo Franchini, docente di diritto romano presso l’Università Europea di Roma, il quale ha sapientemente argomentanto la sorprendente vicenda della normativa urbanistica di tutela dei palazzi privati al tempo dei Cesari, che ci racconta che già i nostri antenati avevano il concetto di “storicità” degli edifici.

Una storia dimenticata, se si considera che siamo noi moderni a considerare storici gli edifici romani, ma soprattutto un unicuum nel mondo.

Iniziarono al tempo della Repubblica alcuni municipi italiani, come ad esempio Taranto, che stabilì norme cittadine di tutela del decoro, varando prescrizioni volte ad impedire la demolizione dei più importanti palazzi appartenenti a facoltosi privati e la loro ricostruzione presso altri luoghi, con gli stessi marmi; si trattava, infatti, di una pratica diffusa e motivata dal risparmio che ne conseguiva sul costo dei materiali. E qui è evendente che lo scopo della norma era quello di conservare il valore simbolico degli edifici privati “più eloquenti” della città ospitante.

Le prescrizioni normative si ampliarono e si codificarono in epoca imperiale con Augusto, Nerone, Adriano, Diocleziano e fianche Flavio Giuliano. Le leggi urbanistiche, se così possiamo chiamarle, erano tutte tese a irrobustire un complesso prescrittivo che mirava a preservare e conservare gli edifici cittadini più importanti appartenenti a magistrati, senatori e cavalieri, obbligandone il decoro, impedendone la spoliazione e destrutturazione ed assicurandone la tutela esterna – delle facciate, degli ornati e delle colonne di pregio.

Questa ottima pratica iniziò, tuttavia, a vedere il tramonto con Costantino – che nel trasferire la capitale da Roma a Bisanzio (poi denominata Costantinopoli) saccheggiò di marmi e colonne l’Urbe – per poi perdersi del tutto nel basso impero e soprattutto nel medioevo, dove si scarnificarono per secoli case e templi romani per costruirvi, sopra, nuovi edifici e chiese. Solo con l’unità d’Italia il decoro e la tutela degli edifici storici tornanono “di moda”, per poi codificarsi nella legge Bottai del 1939, architrave dell’attuale sistema.

All’incontro dell’Istituto hanno preso parte anche Daniele Liotta, presidente del Mtr e il portavoce del Movimento Paolo Casolari.

Qui di seguito una recensione “di colore” dell’evento pubblicata nelle pagine di costume del Messaggero, Cronaca di Roma

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