Ha preso consistenza, in forma di tesi di laurea, un lavoro pluriennale da noi seguito con comprensibile interesse e svolto dell’arch. Patrizia Iacono: “La rappresentazione modulare dell’Italia antica, delineata per punti sul territorio”, Forma Quadrata Italiae (1).
Lo studio comincia dalla “lettura del territorio” nelle sue caratteristiche fondamentali – che sono dinamiche (modificazioni irreversibili ed irrepetibili) e conservative – e dall’incontro dell’uomo con il territorio stesso. L’esposizione della teoria dei “percorsi di crinale” lungo i quali avvennero le migrazioni , della “conquista del fondovalle” (con uno schema di spostamenti ‘a pettine’), fino all’insediamento nelle “aree di rifugio” (colli, promontori, ecc.), ci permette di intendere certi fatti che appaiono nei rilevamenti cartografici di talune regioni della Penisola.
Cosi le migrazioni di popoli indoeuropei danno luogo a successivi insediamenti, da noi caratterizzati nei loro sviluppi, come civiltà italica, civiltà etrusca, civiltà romana.
Frutto di quest’ultima lo strumento territoriale dell’espansione e la relativa rete viaria – ben differente da quella creata dagli etruschi. Le vie etrusche infatti, spesso tagliate nel tufo, hanno la funzione di agevolare gli scambi commerciali, mentre il sistema viario romano ha una direzione peninsulare, che dimostra come i Romani avessero preso coscienza del territorio e avessero attribuito alla rete stradale fini militari e amministrativi.
Con ciò la civiltà romana si differenzia anche dalla civiltà italica, che nasce da popoli ad economia agricolo-pastorale, i cui spostamenti avvengono lungo il crinale appenninico, con diramazioni verso gli odierni Salento e Calabria. La loro principale regione a la Sabina (da “Sabh” nome nazionale più antico, che italianizzato in “Safio” da origine all’etnico “Safini”), ma confinano con altri popoli italici (Osci, Volsci, Latini, Siculi e Liguri, ecc.) nonché con i Greci che, trascurando crinali e fondovalli (provengono dal mare) si insediano in “aree di rifugio” come promontori, isole, baie, foci, golfi.
“Il caso di Roma – afferma correttamente l’Autrice – rappresenta un chiaro esempio di civiltà legata al territorio, come ad un unicum indivisibile” e i tre gruppi etnici che ne sostanziano la fondazione creano “un’organizzazione civile, gerarchizzata in classi i cui interessi sono di tipo economico-militare”. La città stessa diviene espressione di questa organizzazione: la forma urbana dell’età regia, quadrata, e differenziata nel suo tessuto, gerarchizzata.
Durante le guerre d’espansione la rete viaria dei territori conquistati viene incorporata in quella romana, con le opportune modifiche. Per esempio, la rete viaria etrusca che ha un andamento trasversale rispetto al crinale appenninico, viene mantenuta e raccordata a quella ad andamento peninsulare. La costruzione, infine, delle vie consolari servirà a collegare Roma con le sue “colonie” e a determinare, in tal modo, l’assetto territoriale della realtà geopolitica romana. A tal punto a chiaro come a fondamento dell’assetto dei territori sotto il dominio di Roma stiano le colonie, che non sono luoghi di “banchi commerciali” bensì insediamenti di veterani delle legioni (e come tali cittadini romani) di natura agricola (colonia da colere = coltivare) a fini di difesa (2).
Le terre dell’ager publicus vengono distribuite secondo un “piano geometrico” di divisione: il sistema centuriale. In sostanza si stabilisce una maglia ortogonale e ciascun quadrato ottenuto vien detto centuria. In pratica, la sistemazione viene “realizzata mediante la costruzione di vie parallele e perpendicolari, che s’incrociano formando un reticolato”. Ciascun confine coincide con un “decumanus” (secondo l’asse Est/Ovest) (3) e con un “kardo” (= cardine = asse polare Nord/Sud) (4).
Talvolta le vie centuriali si inseriscono nella rete stradale dell’Impero.
11 territorio, inoltre, viene centuriato rispettando talune esigenze: elementi naturali (fiumi, monti, colline) o artificiali (vie consolari, vie militari, città): Quando una città orientata secundum coelum, ossia secondo l’asse principale N-S, allora anche la centuriazione circostante segue lo stesso criterio.
La Parte Seconda della tesi, volendo definire la Forma Quadrata Italiae quale “disegno concepito da un popolo estremamente pragmatico e organizzato” si avvale si avvale di parametri che sono: “orientamento, modulo misuratore, capisaldi geodetici, riferimenti geografici”.
Generalmente parlando per stabilire l’orientamento si segnava l’est, lasciando come alternativa Ia ricerca del sud: i due punti cardinali in questione erano, in effetti di più facile individuazione, dato un giorno sereno o poco nuvoloso.
Individuato un punto, era possibile fissare gli altri tre.
Ipotizzando il tracciamento sul terreno d’una maglia (o reticolo) che includesse tutta la penisola, si capisce come l’impresa investisse problemi astronomici, geometrici e matematici. Sulla scorta di quel che sappiamo, nel passaggio dall’orientamento secondo i punti cardinali (secundum coelum) e quello secondo la configurazione del suolo (secundum naturam), fu possibile agli agrimensori (gromatici) romani, creare un legame fra la posizione degli astri (la Stella Polare) e taluni elementi geografici.
Per quanto riguarda i problemi geometrici i “cardi” e i “decumani” vennero fatti ruotare per adattarli alla morfologia del suolo: “Gli interventi puntuali si mantengono paralleli alla Forma oppure ruotano sulla sua diagonale”. La regola di rotazione basata sul teorema di Pitagora.
La trattazione perviene al punto cruciale quando viene rilevato che l’orientamento “secundum naturam” della penisola italiana non segue l’asse nord-sud, ma un asse che gira di circa 30° verso ovest. Quindi “la maglia della Forma Quadrata ltaliae si pone parallelamente ai crinali principali.
Il modulo di misurazione viene fissato nel saltus per maglia (1 saltus = 5 centurie per lato = Km. 3,55×3,55), ma su scala peninsulare si calcoleranno 5 fondi (saltus) per lato (pari a km. 17,7×17,7). A livello urbano si aura la centuria avente km. 0,710 di lato.
Come capisaldi geodetici per il tracciamento dell’ipotetica direttrice si assumeranno Monte Amiata e il Circeo. L’A. dice the una variazione (NE-SO) viene effettuata nel tratto Ansedonia-Campiglia Marina per far si che un tratto di territorio non cada fuori della griglia e che un asse passi sul mare.
“Resta da risolvere il grande quesito concernente la citta di Roma: nucleo originario del progetto convalidato a livello peninsulare? Città pilota della pianificazione romana o confine territoriale da cui irradiare un principio valido per territori al di la di esso?”.
“11 nucleo originario quadrato” sarebbe localizzato al centro del Palatino; in questo punto viene individuato l’incrocio degli assi cardo-decumanici principali sulle cui direttrici si struttura la città quadrata” scrive l’A. e poi si chiede che cosa significhi realmente la parola quadratus per il Romano. Varrone, per esempio, la fa derivare dalla costituzione gromatica (5) della città, che, quindi, in origine doveva essere centuriata. Ma oggi si crede che voglia dire “quadripartito”, sempre in senso gromatico: Roma divisa in quattro “parti” dal cardo incrociante il decumano (6). In realtà non sappiamo quale fosse la forma della pianta di Roma, sembra che ad un certo momento della sua storia non fosse ne quadrata, ne quadripartita. Ciò – secondo Livio – era dovuto alla ricostruzione affrettata e non pianificata della citta dopo l’invasione gallica (390 a. C., circa). Dopo l’incendio del 64, attribuito con scarso fondamento a Nerone, Roma viene ricostruita secondo un piano più regolare, attestato dalla Forma Urbis Romae, mappa della Roma imperiale (7). Questa mappa marmorea, avente il sud-est in alto, al contrario di come noi orienteremmo una rappresentazione cartografica, iene verificata dall’A. sulla Forma Quadrata Italiae, nel quadrante di Roma. La prima annotazione consiste nel fatto che manca un riferimento tra la direzione assiale della Forma Urbis e della Forma Quadrata. Seconda annotazione: mentre in età imperiale, e segnatamente nel III sec., il mondo romano opera sulla geometria del quadrato, la Forma Urbis è rettangolare. E però la Forma di Ostia Antica è verificata sulla Forma Quadrata.
La tesi non è esaustiva della materia e l’A. elenca i numerosi quesiti che attendono risposte: il quesito astronomico (con quali modi pratici i Romani si orientavano?); il quesito geometrico (il sistema di creazione dei triangoli non è perfetto); il quesito matematico (approfondimento dello studio delle “terne pitagoriche”); quello topografico (stabilire i punti di origine delle maglie centuriali); fonti storiche (traduzione e lettura mirata dei testi latini di agrimensura); archeologico (studio dei reperti delle aree centuriate); cronologico (datazione dell’origine del metodo); culturale (le sovrapposizioni delle acquisizioni culturali dei vari popoli antichi).
L’A. ha riconosciuto con nota che sarebbe stato estremamente interessante verificare l’espansione della Forma Urbis quadrata nella Forma Quadrata Italiae, mentre ignora l’ipotesi d’una Forma circolare di Roma e ogni trattazione metafisica del simbolismo del quadrato e del cerchio in riferimento al sulcus primigenius: Roma quadrata o Roma circolare? (8).
Sembrerebbe, quindi, che la tesi proponga più problemi di quanti non ne risolva. Malgrado ciò dobbiamo riconoscimento di aver fornito a quanti, come noi, studiano il mondo e l’uomo di Roma nuovi e stimolanti spunti di riflessione.
Salvatore C. Ruta
(da La Cittadella n° 21, luglio – settembre 1989)
Note
1) Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Architettura, Dipartimento di Progettazione dell’Architettura. FORMA QUADRATA ITALIAE, rel. Dott. . G.Cataldi, A.Acc. 1987-88.
2) vedi il nostro L’ESERCITO ROMANO, Arx-Dispense, 1986, sulle le multiformi attività dei legionari, tra le quali quella di gromari e elementi del corpo del Genio (fabri).
3) Il decumano massimo è largo 40 piedi (1 piede = cm. 29,60).
4) Il cardo massimo è largo 20 piedi.
5) La groma era un semplice quanto geniale strumento formato da una croce imperniata e rotante su un cavalletto; da ciascun braccio della croce pendeva un filo a piombo e ad ogni estremità dei bracci stava un bicchiere contenente acqua; i quattro bicchieri costituivano un sistema di livelle. Con la groma si guidavano gli allineamenti con picchetti.
6) L’augure che stabiliva un templum, divideva la spazio celeste e quello terrestre sottostante in quattro “parti”, mediante il tracciamento d’un cardo e d’un decumano.
7) La mappa marmorea fu incisa tra il 203 e il 211 d.C. (la scala è 1:250.
8) vedi M. Baistrocchi, ARCANA URBIS, Genova 1987, Parte Terza, pp.107-123.