L’omaggio al Divo Giulio. A quando una targa nel luogo del suo assassinio?

CesareCome accade già da molti anni, il Movimento Tradizionale Romano ha reso onore alla memoria del Divo Giulio nel giorno del suo assassinio, deponendo una corona d’alloro ai piedi della sua statua in via del Fori Imperiali, a Roma.

Come noto, questo colosso bronzeo fu apposto negli anni Trenta del secolo scorso per segnare la corrispondenza, sul viale, dell’antico Foro di Cesare, mentre il luogo dove il dictator perpetuo fu pugnalato il 15 marzo del 44 avanti l’era comune è in largo Argentina in posizione tutt’ora anonima: lì, più di duemila anni fa, si trovava la Curia di Pompeo, che svolgeva la funzione di sede provvisoria del Senato.

In quel giorno maledetto, il dictator si lasciò convincere da Decimo Bruto a presentarsi ai senatori, nonostante i presagi avversi e i tentativi di uno schiavo, del maestro Artemidoro di Cnido e dell’aruspice Spurinna di metterlo in guardia. Stando alle fonti (posteriori), circa alle 11.00 Cesare uscì di casa senza scorta dalla Suburra (attuale via Madonna dei Monti) e percorse la via Sacra tra due ali di folla acclamante. Arrivato nella Curia di Pompeo, mentre Trebonio, un congiurato, tratteneva il generale Marco Antonio con una scusa, Cesare venne circondato dai congiurati. Tullio Cimbro si gettò ai suoi piedi, come per implorarlo, tirandogli la toga: era il segnale convenuto. Publio Casca colpì Cesare con il pugnale, ferendolo: «Scellerato Casca, che fai?», reagì lui, colpendolo a sua volta. Poi gli altri congiurati gli furono addosso. Prima di morire ebbe il tempo di vedersi colpito dal “suo” Marco Giunio Bruto. Alla fine cadde in un lago di sangue ai piedi della statua di Pompeo, il suo più acerrimo nemico nella guerra civile. I congiurati fuggirono come conigli e nessuno si avvicinò al cadavere, per ore.

Svetonio scrive che morendo Cesare disse in greco Kai su teknòn (anche tu, figlio), perché quella era la lingua dell’élite romana, ma questa versione è poi contraddetta dallo stesso scrittore, secondo il quale Cesare emise solo un gemito. La frase ebbe però fortuna perché esprime il dramma universale del tradimento.

Tutta questa storia è ben nota. Quello che invece è sconosciuto è il motivo per cui a Roma nessuno abbia ancora pensato di apporre almeno un cippo o una targa a testimonianza dell’evento in largo Argentina.

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Qualche giorno fa la sindaca di Roma ha annunciato che – finalmente è il caso di dire – l’Area Sacra di largo Argentina verrà risistemata e restituita ai cittadini. I lavori dovrebbero finire nella seconda metà del 2021. Il progetto, finanziato anche con 500 milioni di euro da Bulgari,  prevede la spesa complessiva di un milione di euro per restaurare lo spazio archeologico, che diventerà un museo a cielo aperto: saranno installate passerelle per percorrere l’area in sicurezza e predisposti servizi al pubblico per consentirne la fruizione. L’area, infatti, è il più esteso complesso romano di epoca repubblicana esistente, ospita quattro templi che vanno dal IV al II secolo a.e.c. e custodisce appunto il basamento di tufo della Curia di Pompeo presso la quale avvenne l’assassinio di Cesare.

Vogliamo sperare che nel progetto sia prevista, almeno, una segnalazione a ricordo.

P.C