Da Sallustio a Machiavelli un monito al Principe: non c’è fortuna senza virtù

Virtù e fortuna strette in un rapporto dialettico hanno costellato le opere classiche sia storiche che filosofiche, imponendo la verità che vuole il politico, virtuoso prima che fortunato, perché come scriveva Vitruvio nel suo De Architectura nessun mutamento della fortuna può strappare quel bene interiore che è la doctrina. Essa, la virtù, è nell’immaginario del quotidiano paragonata da Giamblico ad una moglie fedele, vanto di un marito, mentre la fortuna rimane un’etera volubile. Così Sallustio nel suo percorso storiografico neanche per un momento ha pensato che il valore di un cittadino romano chiamato a presiedere magistrature e eserciti possa in alcun modo cedere il posto alla fugacità della fortuna.

Il Trionfo della Virtù di Andrea Mantegna, 1502, Museo del Louvre
Il Trionfo della Virtù, Andrea Mantegna, 1502, Museo del Louvre

Da storico ha sentito soltanto il bisogno di delimitare i confini etici degni di una Res Publica, da politico ha travalicato spesse volte quelle stesse colonne d’Ercole che non possono imprigionare l’impulso vitale, l’energia indomita delle grandi personalità. Certo la concretezza di Machiavelli a prima vista potrebbe risultare figlia irriconoscente del filone classico dominante eppure così non è nella sostanza. Lo Stato nuovo da acquisire per un Principe deve contare sicuramente sulla occasione ed anche sulla fortuna, ma non con esse può essere mantenuto se non con il sostegno della virtù. Gli esempi antichi lo dimostrano, uomini dotati della connessione di tre elementi inscindibili: virtù, fortuna, occasione. La rassegnazione fatalistica di chi fa dipendere dal destino le proprie scelte e la propria fama nulla hanno a che vedere con una visione della esistenza confortata dal divino, non meno che dalla volontà di agire. E se una condizione storica nella ciclicità del mondo si offre al popolo e al politico che lo guida, così essa può essere neutralizzata dalla inconsistenza di chi è deputato a fondare ordinamenti nuovi e invece si appoggia ai vecchi, quelli che difendono il sistema che li ha privilegiati e si lasciano frenare e temperare dai nuovi, quelli che vogliono a loro volta essere personalmente protagonisti e non partecipare rimanendo a lato. Del resto non esiste un nesso tra morale e politica avrebbe detto Machiavelli, in cui invece ha sempre creduto tanto e ostinatamente la classicità, si da portare il primo e più grande filosofo della storia, Platone, a scrivere un intramontabile architettura dello Stato ideale. Eppure lo stesso cittadino Ateniese comprese, invecchiando, quanto potesse essere effimero questo legame, perché sì l’uomo rimane “meraviglia di tutte le cose”, ma la sua natura per quanto prodigiosa non cambia e nella sua natura c’è l’utile prima della morale, l’opportunità prima della virtù. Infelici quei principi che dopo cotanti insegnamenti ed esempi si lasciano guidare dalla sola fortuna e si circondino di consiglieri avventati, a cui la stessa dea prima o poi volterà le spalle.

Marina Simeone