Verso il Misticismo Neoplatonico. Un percorso filosofico (XV parte)
Nel Quattrocento noi Italiani eravamo divisi in più di una decina di stati, spesso in guerra tra loro, ciascuno con la propria storia e usanze, ma la stessa radice. Forse grazie a questa radice comune lo spirito della nostra antica tradizione classica riemerse, dando inizio ad un movimento culturale che cambiò per sempre lo spirito del mondo occidentale, riscattandolo da un millennio di oscurità. Il Rinascimento modificò per sempre il corso della nostra storia e di quella dell’Europa, che non comprendeva come da una penisola senza un piano politico unitario potesse manifestarsi il genio italico con le innovate forme architettoniche, gli affreschi eleganti, le invenzioni strabilianti e un umanesimo che sfociava nell’utopia. La storia però non piovve dal cielo, ma fu incarnata da personaggi illustri ed incontri forse fortuiti, forse voluti dal Fato. Tra le varie figure di spessore, ce n’è una che spesso manca nei nostri testi scolastici, un filosofo che non solo ha favorito la nascita del movimento neoplatonico italiano, ma che è stato l’autore della prima utopia rinascimentale, anticipando di vari decenni quella più famosa di Tommaso Moro.
Giorgio Gemisto detto Pletone (Γεώργιος Πλήθων Γεμιστός) nacque a Costantinopoli prima del 1360 e visitò l’Italia come consigliere della delegazione bizantina in occasione del Concilio di Ferrara e Firenze, tenutosi negli anni 1438-1439, il cui obiettivo principale era il riavvicinamento della chiesa ortodossa e di quella romana. In quegli anni la filosofia accettata ufficialmente dalla chiesa di Roma seguiva il solco tracciato un secolo e mezzo prima da Tommaso d’Aquino, il quale aveva recuperato Aristotele come supporto per la teologia cristiana. Tommaso non aveva avuto vita facile per avere utilizzato un filosofo pagano nei suoi studi teologici, ma alla fine il suo pensiero era stato accettato dalla chiesa e lo stesso Tommaso era stato canonizzato santo circa un secolo prima della venuta di Gemisto. La filosofia del tempo, detta scolastica, era quindi una reinterpretazione cristiana di Aristotele, mentre Platone restava ai margini o fuori della discussione filosofica.
Gemisto, già autore di varie opere, tra cui un commentario degli Oracoli Caldaici, durante il suo soggiorno a Firenze scrisse un “Trattato sulle differenze tra Aristotele e Platone”, chiaramente a favore di Platone rispetto ad Aristotele, e tenne varie lezioni di filosofia ottenendo un grande consenso da parte del mondo laico. Dopo la sua morte a Mistra in Grecia nel 1452, si pubblicò la sua opera “Le Leggi”, che riprendeva le visioni utopiche de “La Repubblica” di Platone, con la presentazione di una nuova teologia politeista e un progetto di fondazione di una nuova religione pagana, per così dire “riformata”, riprendendo così l’antica idea dell’imperatore Giuliano, il quale si era reso conto della debolezza strutturale e organizzativa dei culti pagani di fronte all’assetto compatto dei galilei. “Le Leggi” di Gemisto furono messe al rogo da un suo opponente cristiano, ma fortunatamente si salvarono alcune copie. L’operato degli anni trascorsi in Italia lasciò un segno indelebile e piantò il seme del neoplatonismo rinascimentale.
Sigismondo Malatesta, signore di Rimini e Fano, fece trasportare le spoglie dei Gemisto, che era morto in Grecia, e lo fece seppellire nel proprio Tempio Malatestiano di Rimini. Marsilio Ficino nel 1490 affermò che le lezioni di filosofia platonica di Gemisto avevano dato l’impulso che avrebbe fatto aprire, vent’anni più tardi, l’Accademia Platonica di Firenze attraverso il sostegno di Cosimo dei Medici.
Fin dai primi scritti a carattere politico, Gemisto affermava che la prosperità di uno stato è la conseguenza della virtù delle sue leggi. A loro volta le leggi hanno un carattere ordinativo divino e quindi vanno intese in un quadro metafisico, similmente a quanto spiegava Platone nella Repubblica. Per quanto riguarda la politica greca, era opinione di Gemisto che Bisanzio poteva sopravvivere solo riscoprendo le proprie radici elleniche, riconnettendosi con la propria storia e cultura. Gemisto invitava Bisanzio a riscoprire le radici nazionali elleniche, ormai annacquate o dimenticante nei fatiscenti resti dell’impero. Se da una parte si può affermare che Gemisto sia stato il primo nazionalista greco, dall’altra egli nutriva forte rispetto anche per la cultura romana, considerata affine a quella ellenica, e elencava il re Numa tra i grandi saggi dell’antichità, proponendo un fronte ellenico-romano contro le barbarie.
Le opere a carattere politico ed etico di Gemisto sono fondate sulla sua visione d’insieme della realtà, ossia sulla sua metafisica che è strutturata secondo lo schema neoplatonico, ma senza la parte magico-teurgica sviluppata da Porfirio, Giamblico e Proclo. Per la sua semplicità si può accostarla a Plotino, con uno sviluppo inconsueto della parte teologica riguardante l’identificazione delle divinità con i vari enti metafisici. D’altra parte, in piena sintonia con il pensiero di Platone, Gemisto denunciava la fallacia del linguaggio mitologico e poetico della tradizione e preferiva introdurre nuovi schemi a servizio della filosofia, anche se ciò significava un allontanamento dalla mitologia tradizionale.
Secondo Gemisto, la realtà si dipana gerarchicamente su tre livelli. Come da aspettarsi, al livello superiore si trova il Principio Primo, l’Uno Sovra-essenziale. Questi è identificato con Zeus, il Padre-Re, il Demiurgo completamente trascendente. Egli può essere intuito con il Fiore dell’Intelletto, la parte più sottile della nostra essenza. Zeus è il Creatore delle forme platoniche, che a loro volta sono divinità “super-celesti”. Le forme si dividono in due categorie. Alla prima appartengono gli Dei e le Dee, che sono i creatori degli enti eterni, mentre alla seconda appartengono i Titani, che generano enti temporanei e che sono inferiori alla prima categoria.
Il secondo ordine della realtà, equivalente al Nous di Plotino è costituito quindi dagli Dei super-celesti, che sono le forme pure. Essi sono i creatori delle entità del cosmo sensibile e come appena detto si dividono in Dei e Titani. In tutte le divinità si identifica sia un principio maschile di forma e attività, sia uno femminile di materia e passività. Sopra tutti gli Dei regnano Poseidone, il secondo demiurgo, e la sua consorte Era. Sotto la coppia divina si trovano Apollo, principio di armonia e unità, e Artemide, la divisione e la differenza nell’unità. Segue una terna legata ai concetti di identità, progressione e ritorno (monè, proodos, epistrophè) identificati rispettivamente con Efesto, Dionisio e Atena. Poi ci sono gli Dei super-celesti che generano gli Dei celesti che dimorano nel cosmo: Atlante che governa le stelle in generale, Titono che è il dio dei pianeti, Dione la dea delle stelle, Ermes che governa i demoni terrestri e Plutone che non solo cura il luogo dove dimorano le anime dopo la morte, ma è anche il loro patrono, con una funzione positiva. Sotto di questi, c’è un gruppo di Dee preposte preposti alla creazione degli elementi: Latona crea l’etere, il caldo e la separazione, Ecate genera il freddo e la connessione, Tetide l’acqua e la dissoluzione, Estia il secco e la condensazione. Queste divinità sono la progenie legittima di Zeus, subito sotto la quale c’è il gruppo dei suoi figli illegittimi: i Titani.
A capo dei Titani, con una funzione analoga a quella di Poseidone, si trova Crono, il quale però non agisce sulla materia prima, rappresentata da Era, ma su quella instabile sotto la signoria di Afrodite che assicura la successione delle forme tra le generazioni. Pan è il responsabile delle forme irrazionali date agli animali, Demetra analogamente per le forme date alle piante. Core o Persefone è la patrona della nostra parte mortale. Ella è rapita da Plutone sotto l’ordine di Zeus, offrendo una singolare connessione tra Tartaro e Olimpo, cosicché si stabilisce una connessione tra anima (olimpica e immortale) e corpo (titanico e mortale).
Al terzo livello della realtà si trova il cosmo percettibile, plasmato da Poseidone a immagine del mondo intellegibile delle forme (Nous). I corpi del cosmo percettibile sono quindi detti “figli dei figli di Zeus” riecheggiando la teologia degli Oracoli Caldaici. Gli Dei del terzo ordine sono detti mondani e creano gli oggetti e gli esseri mortali. Questi dei sono esseri razionali ed immortali, hanno anime infallibili e corpi incorruttibili. Sostanzialmente sono le stelle ed i pianeti. La materia dei corpi è fornita agli enti eterni da Era, mentre a quelli temporanei da Afrodite.
Il politeismo riformato di Gemisto si basa su una sobria recitazione di inni e formule. Secondo il filosofo, l’eccesso di religiosità è da condannarsi come un empio tentativo umano di piegare la volontà divina alle richieste terrene. Si prevedono cinque brevi preghiere giornaliere, una al mattino, tre al pomeriggio e una serale. Lo stile delle formule è simile agli inni di Proclo o all’Orazione al Sole dell’imperatore Giuliano. Il calendario proposto è ispirato a quelli lunari in uso nella Grecia classica. L’anno comincia con la prima luna nuova dopo il solstizio invernale e il primo di ogni mese coincide con il novilunio, identificando così mesi di 30 o di 29 giorni. Si identificano così dodici o tredici mesi tra due solstizi invernali.
I mesi, che non portano nomi greci ma sono numerati sequenzialmente, sono divisi in quattro settimane più un giorno extra per i mesi di 29 e due giorni per i mesi di 30, così il primo giorno del nuovo mese coincide sempre con il primo giorno della prima settimana. La prima settimana è dedicata a Zeus, la seconda a Poseidone, la terza agli Dei del secondo ordine, la quarta ai Titani, al Sole e agli altri Dei mondani e a Crono.
Le feste si ripetono mensilmente: il primo del mese è dedicato a Zeus, il 2 a Era, il 3 a Poseidone, il 15 agli Dei del secondo ordine, il 29 a Plutone, agli eroi e ai defunti, il 30 all’introspezione e alla correzione degli errori. Viene riportata anche una celebrazione annuale il terzo giorno prima della fine dell’anno, dedicata a Plutone e ai defunti.
Nel Quattrocento italiano c’era chi discuteva di politeismo, di utopie, di radici nazionali e gettava le basi per una reintroduzione del politeismo. Possiamo immaginare che in circoli ristretti si professarono forme di paganesimo filosofico, per difendersi dal braccio mortale della chiesa. Questo almeno è attestato non solo per la già citata Accademia Platonica di Firenze ma anche per l’Accademia Romana di Pomponio Leto, famosa tra l’altro per la celebrazione del Natale di Roma il 21 aprile. Nonostante la spietata repressione clericale, che puniva con la morte ogni persona sospettata di politeismo, la fiamma della tradizione continuò a brillare senza mai estinguersi fino ai nostri giorni.
Leggere Gemisto oggi, fa riflettere. Davanti alla decadente Bisanzio, prima della caduta della città per opera dei Turchi, chiedeva ai reggenti di ritornare alle radici nazionali, di riscoprie la propria identità e riformare lo stato introducendo leggi giuste, alla ricerca di un’etica in armonia con il divino. Quanto è attuale quest’appello per il nostro paese! L’idea di un politeismo nazionale alla base di un nuovo Rinascimento è sicuramente utopica, ma le idee, quando sono pure, non sono frutto di un calcolo freddo sul loro buon esito, ma sono il punto d’attrazione di aspirazioni eterne di uomini e donne che hanno il coraggio di sognare. In grande.
Fori Hadriani scripsit, ad IX Kal. Apr MMDCCLXXI
Mario Basile