In largo Argentina, a Roma, a ridosso della corsia degli autobus, di fronte al teatro e all’altezza approssimativa di un pino forse appositamente piantato nell’area sacra, il 15 marzo del 44 a.C. si consumò l’assassinio di Caio Giulio Cesare.
Qui, duemila e 62 anni fa, si trovava la Curia di Pompeo che era la sede provvisoria del Senato, distrutto da un incendio.
Il Grande Romano si lasciò convincere da Decimo Bruto a presentarsi ai senatori, nonostante i presagi avversi e i tentativi di uno schiavo, del maestro Artemidoro di Cnido e dell’aruspice Spurinna di metterlo in guardia.
Stando alle fonti (assai posteriori), alle 11 Cesare uscì di casa dall’Argiletum (oggi Via della Madonna dei Monti) senza scorta e percorse la Via Sacra nel Foro tra due ali di folla acclamante. Arrivato nella Curia, mentre Trebonio, un congiurato, tratteneva il generale Marco Antonio con una scusa, il dictator venne circondato dai congiurati, i cesaricidi.
Tullio Cimbro si gettò ai suoi piedi, come per implorarlo, tirandogli la toga: era il segnale convenuto. Publio Casca colpì Cesare con il pugnale, ferendolo: «Scelleratissimo Casca, che fai?», reagì lui, colpendolo a sua volta. Poi gli altri congiurati gli furono addosso. Quando vide brillare la lama del “suo” Marco Bruto, Cesare cadde ai piedi della statua di Pompeo, suo nemico nella guerra civile del 49 a.C..
Cesare morì colpito da 23 coltellate ma non pronunciò la famosa frase Tu quoque, Brute, fili mi. Svetonio (70-126) riferisce che morendo Cesare disse in greco Kai su teknòn (anche tu, figlio), perché quella era la lingua dell’élite romana, ma questa versione è poi messa in dubbio dallo stesso autore, secondo il quale Cesare, in quel fatidico giorno delle idi di marzo, emise solo un gemito.
I senatori fuggirono in preda al panico; i congiurati si sparpagliarono per informare il popolo; il corpo restò nell’atrio dell’edificio per ore, prima che tre schiavi lo caricassero su una lettiga per riportarlo a casa.
Oggi noi non possiamo omaggiare il Divo Cesare come si dovrebbe, nel luogo esatto del suo truce assassinio, perché nessuna autorità si è mai posta il problema di valorizzarlo.
Abbiamo così onorato il ricordo, come facciamo ogni anno, deponendo una corona di alloro a piedi della Sua statua bronzea eretta sui Fori imperiali.
Ave Cesar