Tradizione Romana, iniziazione e Misteri. Un po’ di chiarezza dopo tanto vociare

URiportiamo qui di seguito il saggio – pubblicato sul n. 3 (gen./mar. 1985) de La Cittadella, rivista ufficiale del Movimento Tradizionale Romano – “Su alcune prescrizioni di ‘Ius Sacrum’ nelle XII Tavole” a firma di Renato del Ponte. Lo scritto è molto utile per fissare il punto su interpretazioni e poco rigorose prese di posizione che nelle ultime settimane sono circolate su internet e su alcuni social network relativamente alla Romanità, ai culti, ai misteri e all’esoterismo.

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La X delle XII Tavole, com’è noto, concerne lo IUS SACRUM, vale a dire il “diritto divino” le cui norme sono regolate dai collegi sacerdotali e fatte osservare dai magistrati civili. Ma in origine tutto era ius sacrum: tanto è vero che molte delle stesse XII Tavole derivavano da quelle primitive leges regiae attribuite a Romolo, Servio Tullio e soprattutto a Numa Pompilio (cui spetta, ad es., la minuziosa e significativa tripartizione dell’offerta delle ‘spoglie opime’ catturate ai nemici) e di cui restano solo minutissime reliquie trasmesseci da Caio Papirio.

Si può quindi dire che le stesse XII Tavole, una in particolare la X (ed ultima, dal momento che la XI e XII contengono norme aggiunte), derivino in buona parte dalle tradizioni giuridiche sacrali dell’epoca regia che, risalendo fino a Romolo, con cui si chiude quella che in altra sede abbiamo definito “epoca mitico-primordiale” inaugurata dal rex Saturnus, iniziatore dell’aurea aetas, sorta a sua volta sotto gli auspici dell’archetipo divino, di Ianus pater, affondino la loro santità nella tradizione primordiale che volle scegliere come una delle sue precipue sedi di manifestazione la Saturnia tellus, vale a dire l’Italia ed il Lazio, in particolare, ove Saturnus latuit.

Analizziamo dunque alcune norme, tra i pochi frammenti rimastici ,dello ius sacrum contente nella X Tavola: considerandole allora come “promananti dalla fonte della pura verità”(1) e pertanto degne ancor oggi di esser considerate di perenne validità normativa.

“AD DIVOS ADEUNTO CASTE, PIETATEM ADHIBENTO, OPES AMOVENTO.  QUI SECUS FAXIT, DEUS IPSE VINDEX ERIT” (2)

E’ inutile accostarsi agli altari degli dèi se l’animo non è puro al pari di quello di un fanciullo e senza la fiduciosa attesa che solo la pietas divina può dare: necessaria e spontanea deve essere la generosità nelle offerte, secondo certe regole e certe modalità prescritte dai collegi sacerdotali. La parità di cuore ed il cosciente adeguamento alla volontà divina (fatum) – di cui è esempio preclaro il pius Aeneas – sono quindi considerati la condizione preliminare di ogni rito. In caso contrario inevitabile sarà la punizione divina, poiché sono gli dèi stessi i muti testimoni dell’azione sacrificale e solo loro (non i magistrati, che sono solo uomini e, al più, strumenti degli dèi) sono in grado di leggere nel cuore di chi a loro si accosta.

“SEPARATIM NEMO HABESSIT DEOS NEVE NOVOS: SED NE ADVENAS, NISI PUBLICE ADSCITOS, PRIVATIM COLUNTO”

Questa norma parrebbe andare contro la proverbiale tolleranza dei culti, che la tradizione attribuisce ai Romani. Ma si ricordi che la tolleranza concerneva i culti degli “altri” popoli con cui Roma entrava in contatto e che gradatamente includeva nelle proprie forme di dominio: era quindi logico e conseguente che invece i propri culti andassero tutelati e protetti. Tale norma delle XII Tavole, come del resto tutte le altre del codice, concerne quindi i soli cittadini, che pertanto debbono ritenersi vincolati ad un patto (ius) antico e originario che sta alla base della fondazione stessa dell’Urbe. Questa, nata secondo certi auspìci (i 12 avvoltoi del rex-augur Romolo) consacrata secondo certe regole ben precise (Sulcus Primigenius), è legata a determinate divinità nazionali: Romolo è figlio di Mars pater e sacra il primo tempio a Jupiter Feretrius,  egli è l’ultimo dei re divini che traggono origine, passando attraverso la dinastia albana, dal rex Saturnus, che Ianus pater accolse nel Lazio. E’ pertanto naturale che i cittadini romani – parte inscindibile di un tutto unico – discendenti dai compagni di Romolo, patres delle future gentes, ribadiscano il patto originario escludendo dalla propria sede dèi estranei alla collettività. Ciò recherebbe turbamento (cosa che infatti si verificò più tardi) non solo alla tradizionale pietas verso gli dèi indigeni, ma alla stessa convivenza sociale, che si regge appunto sul consensus deorum. Un culto diverso da quello praticato da tutti (salvo le rarissime eccezioni riconosciute) non è neppure ammesso a titolo privato: proprio perché le singole famiglie ed i culti che si svolgono presso i loro focolari sono alla base del culto nazionale, che tutti li riassume nei templi in cui i riti comuni sono officiati dai sacerdotes publici populi Romani Quiritium.

“CONSTRUCTA A PARIBUS DELUBRA HABENTO, LUCOS IN AGRIS HABENTO ET LARUM SEDES, RITUM FAMILIAE PATRUMQUE SERVANTO”

Gli dèi della Città, dei campi e della casa debbono avere adeguati luoghi di culto: le tradizioni religiose della famiglia e degli antenati dovranno esser mantenute. Cicerone commenta dicendo che il “conservare i riti familiari e degli antenati equivale a custodire una religio trasmessa, quasi, dagli dèi stessi, dal momento che i tempi più antichi di più sono prossimi agli dèi”.

In questa considerazione è racchiuso il senso e la giustificazione della tradizione religiosa romana: può essere integrata dalla seguente sentenza di Ennio, così riassumente l’essenza della Romana fortuna:” Antichi costumi e uomini antichi della romana grandezza sono la base”.

“NEVE INITIANTO NISI UT ASSOLET CERERI GRAECO SACRO”

Ecco una prescrizione di eccezionale rilevanza e mai studiata adeguatamente in quanto tale. Al cittadino romano non sono permesse iniziazioni a qualsivoglia dei Misteri dell’antica area mediterranea, con l’unica eccezione dei Misteri di Eleusi (3).

Ciò implica che le XII Tavole – in armonia con la prescrizione sopra esaminata del divieto di culti diversi da quelli riconosciuti del lo Stato – non riconoscono la validità giuridica (nel senso dello ius sacrum) delle inizia zioni misteriche per il cittadino romano, il quale non necessita di eventuali realizzazioni interiori diverse da quelle che gli sono assicurate dalle ordinarie pratiche di pietas  religiosa che egli stesso celebra, in quanto sacerdote della sua famiglia, ed i sacerdotes  publici populi Romani Quiritium – primi fra essi i pontefici – assicurano nell’ambito del sacro pomerium non solo per la sicurezza, ma per l’avanzamento”(4) religioso della Città.

I Misteri, dunque, almeno nel senso che vi si attribuiva nell’antichità e da certi autori moderni come il Guénon, non erano riconosciuti o, meglio, erano rifiutati dai Romani. Ma è bene intendersi: ciò non implica che in Roma stessa o prima che essa fosse non siano esistite, a diverso livello e qualificazione, delle società iniziatiche (mi limiterò qui a citare, nell’ambito dei giovani guerrieri, la selvaggia Sodalitas dei Luperci). Del resto, si rifletta: è significativo che il termine stesso “iniziazione” derivi proprio dal lat. in-ire ( dalla base ind.*v-a), da cui il dio dei “passaggi”, Ianus, il dio iniziatore per eccellenza, scritto da Cicerone come Eanus (da ire, appunto) (5) e, con ciò, è noto che Macrobio ha suggerito come il massimo mistero iniziatico della tradizione romana vada ricercato nel mito di Saturno (si ricorderà che si attribuisce proprio a Giano l’istituzione dei Saturnali), alla base di quell'”età mitico-primordiale” di cui si diceva all’inizio: mistero che “non é fas venga conosciuto” se non dalle più alte gerarchie sacerdotali.

Tutto ciò porta a considerare come presso i Romani (e in genere in Occidente) le forme di trasmissione del sacro fossero di un genere diverso da quello generalmente considerato dagli studiosi moderni (tra cui il Guénon) che hanno di mira soprattutto determinate categorie proprie della mentalità orientale, a torto considerate come “universali”.

Non avendo tuttavia tempo di soffermarci adeguatamente, in questa sede, su una questione così importante, noteremo poi che col passare del tempo il rigore di questa disposizione della X Tavola fu sempre meno osservata e che in tarda epoca imperiale coloro che erano ritenuti í più pii rappresentanti del pensiero pagano (ormai sulle difese nei confronti del trionfante cristianesimo) non disdegnarono, anzi ambirono addirittura cumulare il maggior numero di iniziazioni misteriche. E’ il caso di Vettio Agorio Pretestato (morto nel dicembre 384) che, oltre ad aver rivestito infinite altre cariche inerenti culti misterici greci ed orientali, raggiunse il massimo grado dei Misteri di Mithra: pater patrum (6). Che ciò si verificasse in quel periodo non è privo di giustificazioni, ma è per noi di estremo interesse osservare come anche in quell’epoca di grandi turbamenti e mutamenti, anche interiori, vi fosse chi, ad alto livello, mantenesse fede alle anti che prescrizioni delle XII Tavole e considerasse quindi Numa come suo auctor (7). E’ il caso di Quinto Aurelio Simmaco, capo riconosciuto – all’interno della fazione senatoriale di fede pagana, alla fine del IV secolo – della corrente “conservatrice-tradizionalista” (probabilmente allora in minoranza), che (a partir proprio da Numa e dalla stesura delle XII Tavole, eredi delle leges regie),percorrendo tutte le fasi della storia romana, è sicuramente attestata sino alle estreme manifestazioni ufficiali dell’antica religione. La fedeltà di Simmaco (morto nel 402) all’antica tradizione sacerdotale è ribadita con insistenza singolare in numerosissime sue lettere (8) ed è sintomatico come, nelle manifestazioni epigrafiche di sua competenza, l’unico sacerdozio indicato sia proprio il pontificato (pontifex maior) (9): pontefici – e null’altro – furono anche suo padre e, pare, anche suo figlio Memmio (10). Alla stessa corrente dovrebbe d’altronde appartenere anche il cugino Virio Nicomaco Flaviano, pontefice ed augure, che, come noto , cadde al Frigido nel 394 dopo il       vano tentativo di restaurazione e di opposizione armata che l’usurpatore Eugenio aveva opposto al cristiano Teodosio.

“SACRA PRIVATA PERPETUO MANENTO”

I riti religiosi legati a determinate famiglie e gentes non sono estinguibili. Si comprende da ciò come le religiones dei patres, che sono alla base e all’origine dello Stato romano, permangano anche alla fine dello stesso Stato (fine religiosa nel 394, dopo la definitiva soppressione di tutti i culti non cristiani; fine politica nel 476, dopo la crisi dell’Impero d’Occidente), come fondamento della continuità stessa del mos maiorum e quindi di ogni resurrezione futura dell’idea di Roma, la quale, senza quella base religiosa, può solo dare immagi ni riflesse e decadute di sè: come appunto la cosiddetta Roma dei papi dell’era cristiana, vampiro suggente e anodino di una linfa che non è sua.

I-Lari-ebbero-anche-un-culto-pubblicoAggiungiamo qui la chiosa di Salvatore Ruta sui Misteri: “Non sono note le ragioni che hanno indotto i legislatori romani a privilegiare i Misteri di Eleusi rispetto a tutti gli altri. Si può ragionevolmente opinare che Cerere non era una dea forestiera a Roma e che, soprattutto, essendo i Misteri in questione sotto il controllo dello Stato ateniese, davano garanzia di conformità all’ordine religioso – civile. I riti eleusini, infine, non erano tali da sminuire la dignità del cittadino romano”.

Concludendo, ribadiamo le parole del nostro sodale Basile nel suo articolo su Giamblìco “per quanto la Romana Religio possa essere interpretata filosoficamente, esotericamente, giuridicamente, non è filosofia, non è esoterismo, non è legge, ma una religione, una collezione di pratiche e rituali nel contesto del politeismo italico e romano” .

 Carmentalia ante diem tertium Idus Ianuarias MMDCCLXXI

La Redazione

 

NOTE

1)         MACROBIO, Sat., I, 7, 18.

2)         Questa, come le altre formule seguenti, sono state tratte dalla versione datane da Cicerone nel II del suo De legibus.

3)         Del perchè di questa notevole eccezione, non abbiamo qui il tempo di dare debito conto. Ricorderemo che, nell’epoca repubblicana, si iniziarono ad Eleusi personaggi come Silla, Cicerone, Antonio ed Attico. Augusto fu iniziato ed è sintomatico che Claudio abbia tentato di trasportarne i riti in Roma. A1tri imperatori iniziati ai sacra Eleusinia furono Marco Aurelio e Lucio Vero, Commodo e Settimio Severo.

4)         Uso questo termine in relazione alle valenze religiose di augeo (da cui augur, augurium, augustus, ecc.), di cui è ben nota la pregnanza religiosa: cfr. E.BENVENISTE, I1 vocabolario delle istituzioni indoeuropee, II pp. 396-398; P.CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, I, Torino 1960 passim.

5)         CIC., De natura deorum, II, 67 .(e MACR., Sat., 1,9,11).

6)         Su Pretestato, cfr. R.DEL PONTE, Sulla  continuità della tradizione sacrale romana, II , in “Arthos”, XI, 25 (gen.-giu.1982), pp. 278-281. Naturalmente Pretestato, e sua moglie Aconia Paolina, era iniziato ai Misteri di Eleusi, che anzi difese con successo di fronte all’imperatore Valentiniano I.

7)         SIMMACO, Epist., II, 36 (lettere a Flaviano, del 385).

8)         Vedi ad es. SIMMACO, Epist., I, 49; VIII, 6.

9)         C.I.L., V1, 1699 = I.L.S., 2946.

10)       Otto Seeck, nel volume dedicato alla raccolta dell’opera simmachiana nei Monumenta Germaniae Historica, Berlino 1883 (rist. anast. 1.961), p. XLVI, suppone che Memmio sia stato cooptato nel collegio dopo la morte          del padre, il che, considerata la data (402), sarebbe di grande interesse e suggestione.. Sul padre di Simmaco, Lucio Aurelio Aviano Simmaco Fosforio (morto nel 376), cfr. R.DEL PONTE, Sulla continuità della tradizione sacrale romana, I, in “Arthos” IX, 21 (genn.- giu. 1980), pp.6-13.