Verso il Misticismo Neoplatonico. Un percorso filosofico (XI parte)
“Le fesserie dei vangeli dovrebbero essere insegnate alle vecchiette e non alla gente ragionevole. Chiunque si prenda la briga di esaminare i fatti raccontati dai cristiani con un po’ d’attenzione troverebbe migliaia di racconti simili, ma senza un briciolo di senso.” (Porfirio, “Contro i Cristiani”)
Dialogo immaginario tra Averroè e Porfirio
A Madrid, in una tiepida mattina del 2012, la zelante maestra della scuola materna di mia figlia concludeva l’introduzione dell’anno scolastico spiegando, come se fosse un dettaglio irrilevante, che grazie alla nuova normativa scolastica l’ora di religione cattolica era diventata facoltativa. Alla mia domanda su quali attività avrebbe svolto un alunno che non avesse seguito la lezione, era seguito un breve silenzio imbarazzato e uno sguardo sorpreso: “Se qualche bambino non vorrà seguire l’ora di religione, gli faremo disegnare qualcosa in corridoio. Comunque, alla fine si tratta solo di un’ora di etica, di etica cristiana, ma sappiamo che non c’è nessun’altra etica al di fuori del cristianesimo”.
… e pensai a Socrate, a Platone, ai grandi filosofi del passato che avevano coniato il termine “etica”, e pensai ai giganti della storia romana, uomini e donne che incarnavano la virtus. Pensai anche all’enorme fetta di umanità che non aveva conosciuto il cristianesimo per questioni temporali o geografiche: Buddha, Confucio e miliardi di persone. Tutti etichettati come “senza etica”. Da colei nelle cui mani ponevo l’istruzione di mia figlia.
Senza prendersela con la maestrina e guardando le cose dall’alto della storia, ci si rende conto che questo è il risultato di secoli di un martellamento instancabile, che a volte nelle epoche è sembrato mollare la presa per poi ritornare con rinnovato vigore, trasformandosi pur di restare in piedi. Il cristianesimo nella storia si è avvinghiato al potere e ha distrutto prima le sacre immagini degli Dei e i testi delle antiche religioni, poi ha eliminato i politeisti dalle città, distruggendone i templi, con le cui pietre ha costruito le sue chiese. Poi ha chiamato i superstiti che portavano avanti l’antica religione, sopravvissuti nelle campagne, “pagani”, contadini. Infine, ci ha rubato la memoria, trasformando le nostre divinità benevole in diavoli e demoni, gli Dei onnipotenti e protettori in falsi e bugiardi, e subdolamente giustificando la possibilità di un’epoca pagana anteriore al cristianesimo come una primitiva stagione di preparazione spirituale al monoteismo.
E noi siamo figli di questa menzogna, vittime di questo perpetuo lavaggio del cervello, dalla culla in poi. Io stesso, molti anni fa, ho frequentato il liceo classico, senza capire la vera anima che alimentava quella fiamma eterna che stava ancora parlando attraverso una spessa teca di incomprensione culturale. Il monoteismo era l’unica voce da prendere sul serio per gli affari dell’anima. Una voce che ho continuato ad ascoltare per molti, troppi anni. Anch’io a caccia di streghe.
Ma a volte il caso, il fato, gli Dei, la filosofia o, secondo alcuni cattolici, la sfortuna di non aver parlato con il fraticello di turno, ci fa tornare indietro, alle nostre radici, al nostro orgoglio di essere lupi e non ebeti agnelli impauriti nella notte in attesa di un fantomatico pastore. Una riscoperta dei valori tradizionali della nostra Terra non può esimersi dal passare attraverso una rivisitazione della polemica tra politeismo nazionale e tradizionale contro un monoteismo internazionalizzante e terzomondista, irrispettoso delle antiche usanze e pronto ad accusare l’occidente di tutte le colpe. Diabolicamente, è il caso di dirlo, molte di queste colpe hanno a che fare con le pulizie etniche e culturali avvenute proprio a causa del cristianesimo, come le conversioni coatte di interi popoli nelle Americhe.
In realtà, l’acceso confronto tra monoteismo cristiano e politeismo è iniziato già duemila anni fa. Non con l’ebraismo, che celebra le proprie tradizioni sotto il proprio dio etnico, ma con il cristianesimo che vuole imporsi come cattolico (καϑολικός = universale) e prendere spiritualmente il posto del politeismo tradizionale e politicamente impadronirsi dell’impero. Porfirio, discepolo di Plotino, oltre ad essere un fine filosofo neoplatonico, fu un paladino del politeismo contro il cristianesimo, di cui conosceva molto bene le scritture, ossia l’Antico e il Nuovo Testamento. Compose molti lavori eccellenti, tra cui un’opera in 15 libri “Contro i Cristiani”, bruciata ovviamente dai destinatari, non molto avvezzi alle critiche. Tuttavia, anche se ormai le ceneri dell’opera sono state disperse nei quattro punti cardinali del mondo, lo zelo gesuitico con cui i cosiddetti padri della chiesa si premurarono a controbattere l’intera opera, punto per punto, ci permette di ricostruire buona parte degli argomenti originali e riprendere la diatriba da dove era stata lasciata.
Per quale ragione Porfirio polemizza contro i cristiani? Ai suoi tempi il cristianesimo stava rapidamente guadagnando potere e forza. I cristiani definivano la propria religione come l’unica vera e squalificavano ogni altra, introducendo un fattore d’intolleranza religiosa che ha caratterizzato la nostra storia da Costantino in poi. Come se non bastasse, alcuni filosofi neoplatonici si erano convertiti al cristianesimo e forzavano la filosofia per asservirla ai loro fini, incuranti degli strafalcioni logici che stavano vendendo come verità rivelata. Se il politeismo aveva armonicamente accettato che Giove potesse essere il Demiurgo del Cosmo, i cristiani ponevano il loro Dio direttamente come l’Essere. Un Essere che interveniva nella storia, che passeggiava nel Giardino dell’Eden con gli uomini, ma che poi puniva la sua stessa creazione, un Dio che si schierava capricciosamente nei campi di battaglia, che si infuriava se non erano stati sterminati tutti i nemici di Israele, donne e bambini compresi (1). Un Dio che rappresentava l’opposto di un’idea incontaminata di Bene e trascendenza. La sua progenie inoltre, nella figura di Gesù, veniva identificata con il Logos stesso, con la pretesa di far ricoprire da un umano il ruolo che la sofia aveva nel processo salvifico filosofico.
Varrebbe la pena rivedere tutti gli argomenti di Porfirio contro la superstizione cristiana, argomenti puntuali ed indirizzati a definite sezioni del canone cristiano, spaziando da riflessioni metafisiche ad esempi concreti sull’inadeguatezza di Pietro e Paolo a ricoprire qualunque ruolo religioso o filosofico sensato. Varrebbe la pena, perché sono certo che le occasioni di ricordare questi argomenti non mancherebbero, considerate tutte le maestre zelanti, gli amici bigotti, i pontefici bacchettoni o i frati bonari che ti vogliono benedire la casa, invadendo la tua sfera privata.
Andiamo al sodo della polemica con qualche esempio. Genesi 2.17 recita: “ma del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché, nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai.” (Versione Luzzi-Riveduta). Uno dei capisaldi del pensiero neoplatonico è l’identificazione dell’Uno, sommità gerarchica di ogni cosa, con il Bene di Platone. La conoscenza intesa come Sofia aiuta a discernere e riconoscere il vero bene in una continua tensione verso l’Uno, mentre la non conoscenza, o ignoranza, è la causa del male etico (ricordiamo la caverna di Platone), ossia dei comportamenti che vanno nella direzione opposta al bene, verso la molteplicità e la caoticità del divenire (male metafisico). Se in parte si potrebbe comprendere che un Dio vieti la conoscenza del male, come si può affermare che Egli vieti la conoscenza del Bene agli esseri umani? Un’umanità immersa nella totale ignoranza del bene e del male non potrebbe compiere alcuna scelta etica corretta e sarebbe condannata alla deriva dall’Uno. È da notare che quest’argomento venne riproposto in maniera simile anche da Celso e dall’imperatore Giuliano. Un Dio che vieti la conoscenza del Bene è semplicemente malvagio. Come può essere che i padri della chiesa, che erano neoplatonici, non si siano resi conto di questo controsenso? Generalmente queste difficoltà sono superate dal mondo cristiano con la stampella della fede. O, se si preferisce, la morte della filosofia.
Dalla prima lettera ai Corinzi, 7.31 leggiamo: “e quelli che usano di questo mondo, come se non ne usassero, perché la figura di questo mondo passa.” Che cosa vuol dire Paolo affermando che la forma di questo mondo deve passare? Precisamente, che cosa deve passare e perché? Se il creatore è la causa di questo “passare”, allora sarebbe colpevole di causare il cambiamento di qualcosa di solidamente stabilito. E nel caso volesse compiere un miglioramento del mondo, allora sarebbe comunque colpevole dell’ignoranza di aver generato nella sua creazione un mondo imperfetto destinato a scomparire. Insomma, sarebbe come ammettere che il creatore abbia fatto un pasticcio. E se occorre aspettare la fine dei tempi per avere un mondo perfetto, bisogna obiettare che il creatore stesso sia la fonte di ogni sofferenza e miseria di questo mondo. Il creatore avrebbe violato il principio razionale della natura generando un fiasco di creazione. Un tale pasticcio filosofico non può essere accettato da chiunque voglia seriamente fare filosofia e teologia.
Un altro grande scontro avviene sull’etica. Ancora oggi. I cristiani infatti per secoli ci hanno spiegato che il paganesimo non solo non aveva alcuna spiritualità, ma che era privo di qualunque etica, da cui una maestrina bigotta può sognarsi di esternare pensieri degni di Torquemada. In realtà i cristiani sono stati accusati di empietà ed ateismo con argomenti profondi dai politeisti. Consideriamo come nel mondo neoplatonico la via verso il Bene sia caratterizzata da un costante esercizio quotidiano delle virtù, della religiosità, della contemplazione meditativa. Porfirio invitava anche all’astinenza dalle carni per mantenere il corpo e lo spirito incontaminato da ogni animale e elevava Pitagora come esempio da seguire per chi volesse intraprendere la lunga via verso il Bene. Solo pochi instancabili santi possono realmente avvicinarsi alla visione contemplativa dell’Uno, dopo un duro esercizio quotidiano e una lunga pratica religiosa, virtuosa e teurgica. I cristiani invece non prendono a modello da imitare un santo come Pitagora. Essi hanno una scorciatoia. Infatti la prima lettera ai Corinzi recita (1 Corinzi 11): “E tali eravate alcuni; ma siete stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor Gesù Cristo, e mediante lo Spirito dell’Iddio nostro.” Quando Paolo dice “tali”, si riferisce alla feccia umana, ai peccatori per antonomasia, briganti, banditi, ignoranti, sfruttatori, ladri, assassini, perversi, e chi più ne ha, più ne metta. Costoro, che non hanno mai meditato, che non si curano degli Dei, che non rispettano le leggi né tanto meno esercitano alcuna virtù, quando si sottopongono al cosiddetto battesimo, diventano improvvisamente puri e liberi dal peccato. Porfirio giustamente si chiede chi non preferirebbe una vita di corruzione basata semplicemente su questa promessa, chi non si dedicherebbe ai vizi più scellerati, certo di farla franca all’ultimo momento grazie al perdono del giudice dei morti e dei vivi. Questo tipo di promessa incoraggia chi vive nel peccato e nell’ignoranza. Questo tipo di dottrina produce un atteggiamento di ribellione verso i buoni costumi e le virtù. Conclude Porfirio: “I cristiani ci porterebbero a una società senza legge. Ci insegnerebbero a non temere gli Dei. Quest’insegnamento arrogante delle loro scritture la dice lunga quando afferma che ogni colpa e vizio possono essere lavati via semplicemente con il battesimo”.
Questo è il vero argomento che ancor oggi turba noi politeisti. Noi ricerchiamo il divino in tutta la verticalità del cosmo, guardando nelle profondità di un pozzo d’acqua, osservando i pianeti e il fumo dell’incenso sul larario, ammirando i raggi del sole all’alba come Giano, ragionando sull’immortalità dell’anima, sugli Dei celesti e sull’Entità Impronunciabile, l’ineffabile Silenzio dei Silenzi. Ci avviciniamo consapevoli che la via della virtù è lunga ed impervia. Ricerchiamo il bello nelle statue delle divinità, ammettiamo Eros e Amor come forza dell’Universo e restiamo estasiati ogni qualvolta il mondo riesca a far emergere, anche solo per un attimo, il riflesso di una forma perfetta, una scintilla di Nous. Hanno cercato di ridurre in cenere questa spiritualità. Ma il fatto che ne parliamo ancora, dimostra che non ce l’hanno fatta perchè, come ci insegna Platone, le Idee sono immortali. Grazie Porfirio, raccogliamo la tua eredità. La Tradizione Romana risorge rinnovata anche grazie a te.
Scritto a Forum Hadriani, a.d.V Id Nov MMDCCLXX
Mario Basile
- Un esempio tra tanti: 1 Samuele, 15:7-8 – Dio ordina a Saul: “Va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini.“