Verso il Misticismo Neoplatonico. Un percorso filosofico (IX parte)
Durante il regno di Marco Aurelio, Giuliano il Teurgo, figlio di Giuliano il Caldaico, incominciò a ricevere una serie di messaggi divini, oracoli, che furono in seguito detti caldaici (χαλδαικὰ λόγια) per il loro stile mesopotamico e che divennero presto una componente essenziale del nascituro neoplatonismo. Scritti in lingua greca, in esametri, espongono poeticamente una dottrina di profonda sapienza dipanando una complessa struttura cosmologica. Purtroppo non ci sono stati tramandati integralmente, ma ne abbiamo una serie di frammenti che sussurrano un’emozionante pagina di mistero e spiritualità.
Il tremolio della fiammella della lampada ad olio proiettava una danza di ombre sul candido tessuto di lino che ricopriva bomos, l’altare, su cui erano posti con meticoloso ordine vari oggetti per la pratica teurgica oltre alle ricche offerte per la dea Ecate. Giuliano, scalzo e ricoperto da un lungo mantello bianco, immerso in una fitta nube d’incenso, alzava le braccia al cielo ripetendo ritmicamente le antiche formule. Ormai la sua anima aveva lasciato il corpo, dimenticandosi così dei sensi che si lamentavano per il freddo pavimento sotto i piedi nudi, così come la fame per il digiuno purificatore, o il bruciore agli occhi per l’acre fumo delle offerte. Egli aveva imparato l’arte dei viaggi astrali domando il suo ochema, il suo veicolo psichico, e si apprestava ad accogliere la luce, la divinità, ad ascoltare le parole eterne. Distaccato dalla prigione corporale, mentre vagava verso un punto indefinito della coscienza, improvvisamente i suoi pensieri si fermarono, forse nell’impercettibile pausa tra due formule del rituale, o in un attimo d’immobilità della fiamma, in un momento in cui non c’era alcuna tensione o tentativo di comprendere qualcosa, Giuliano trascese se stesso accarezzando l’abisso con la sua intuizione, con il Fiore dell’Intelletto, ed acquisì istantaneamente un sapere infinito.
Dopo molte ore, ormai sfinito, riprese contatto con la realtà, riabituandosi all’oscura materialità del mondo che cominciava proprio da quello scantinato che lo accoglieva durante le pratiche teurgiche. Sentì il freddo ai piedi, che ormai erano intirizziti, sentì la fame e anche una gran sete, e strizzava gli occhi cercando di recuperare la vista, che in un primo momento era sfocata, e stiracchiava i dorsali per combattere il mal di schiena incipiente per la postura a lungo mantenuta. Dopo aver riposto gli oggetti sacri, riordinato il bomos, ricollocato la veste nell’armadio, preparando un bicchiere d’acqua, vino e miele, si mise alla scrivania per annotare ciò che aveva appreso durante il suo viaggio psichico, prima che il sole ormai nascente ne confondesse la memoria, scrivendo:
“C’è un intuibile che devi cogliere con il fiore dell’intuire, perché se inclini verso di esso il tuo intuire, e lo concepisci come se intuissi qualcosa di determinato, non lo coglierai. È il potere di una forza irradiante, che abbaglia per fendenti intuitivi. Non si deve coglierlo con veemenza, quell’intuibile, ma con la fiamma sottile di un sottile intuire che tutto sottopone a misura, fuorché quell’intuibile; e non devi intuirlo con intensità, ma – recando il puro sguardo della tua anima distolto – tendere verso l’intuibile, per intenderlo, un vuoto intuire, ché al di fuori dell’intuire esso dimora.”
Nelle notti di noumenia, di luna nuova, quando la distanza tra il mondo materiale e quello oltremondano si affievolisce, quando la mente è più recettiva alle impressioni psichiche, egli tornava ad operare sul bomos, per sondare quelle verità ultramondane e per ascoltare la voce della dea Ecate. Durante quell’estenuanti pratiche teurgiche scopriva che sopra tutta la realtà, fuori dal tempo, c’è un principio unico, il Fuoco Trascendente, il Sovrano, ma anche il Padre, o ancora la Mente Paterna. Questi è essenzialmente inconoscibile, anzi, è chiamato la fine della conoscenza, il Silenzio. Eppure, nonostante la distanza invalicabile, quell’Essere non infonde paura, ma irradia persuasione e fiducia, come il Bene di Platone. L’essere monade non è solo un punto inconoscibile. Infatti, poiché contiene tutto dentro di sé, contiene pure la potenzialità di essere ogni cosa. Il Padre si estende al di là dell’abisso dell’inconoscibilità grazie alla sua possibilità totale, o potenza, di rivelazione intellettuale. Questa possibilità di conoscenza è ciò che viene definito come l’intellegibile. Qui tutto è in potenza, nascosto ai sensi. Questa potenza è la diade, il principio femminile di molteplicità, la Sposa della Mente Paterna. La diade dunque è con Lui. Ma questa potenza ancora non è rivelazione. Ancora non è universo. La diade è il detonatore della sequenza, ma non è la sequenza stessa dell’emanazione. Il primo passo avviene dopo la Potenza, secondo quanto recita l’oracolo: “La Potenza è con Lui, ma la Mente è da Lui”. Infatti, la potenza è l’Intellegibile, che non ha un moto intellettivo in quanto ha già tutto dentro di sé. Tuttavia può essere oggetto di pensiero, dando così inizio alla catena conoscitiva. L’universo e il mondo sensibile si concretizzano attraverso l’azione demiurgica dell’energia della Mente che a questo livello di Architetto della Materia è chiamato Mente della Mente, o Mente figlia della Mente o, più semplicemente, il Figlio. La Mente della Mente dunque procede dalla Mente Paterna attraverso la Potenza. Questa dunque è la trinità descritta da Giuliano. Proclo, alcuni secoli più tardi, fa coincidere il Padre con l’ousía o con la sostanza (hyparxis), la Madre con la vita (Zoē) o con la Potenza (dynamis), e il Figlio con l’operazione o l’attualizzazione (enérgeia). La Monade, principio unitario, contiene in sé la potenza della molteplicità come diade, e mantiene l’unità come triade. Mentre il due è il numero della differenze, il tre rappresenta la prima sintesi di unità e differenza. La Mente Paterna si ricombina con il disegno di Platone. I pensieri della Mente Paterna infatti coincidono con le idee platoniche.
La potenza presente nella triade è sorgente di emanazione e fa sì che ogni termine dia origine a una sua propria triade, generando una struttura cosmica multidimensionale, cristallina, quasi matriciale. Sicché ci sono tre triadi, rispettivamente legate al Padre, alla Potenza e all’intelletto paterno. L’intelletto paterno si autogenera nella sua conoscenza di se stesso. Allo stesso modo vive vivendosi ed esiste esistendosi, in maniera distinta dal Padre, anche se per la sua perfezione non presenta un limite invalicabile con il Padre, ma si trova a riflettere la sua struttura con una trinità. Questo viene denominato Secondo Intelletto ed ha seguenti funzioni: la potenza generatrice che organizza e controlla la molteplicità, presente nelle divinità dette synokhēis (συνοχή, controllo), la funzione di identità con il Padre attraverso le divinità dette iynges (ἴυγγες), la funzione intellettuale degli iniziatori o teletarchi (τελετάρχαι) che rivolti verso le idee sostengono gli agenti creatori rendendo manifesta la mente nell’universo.
L’intelletto paterno, rivolto verso il cosmo, si rivela come la triade delle guide cosmiche. La guida cosmica più in là unitariamente riflette nella propria trinità intellettiva l’unitarietà dell’intelletto paterno come contemplazione. Il secondo termine della trinità delle guide cosmiche è Ecate, l’Anima Cosmica, colei che riflette l’intelletto agente, la sua mente, la sua volontà creatrice e l’esecuzione del suo disegno. Nel seno materno di Ecate si trova il più in là dualmente che genera ciò che il più in là unitariamente contempla. Le guide cosmiche sono le “fonti” dell’universo, e si trovano nel mondo supermondano o ipercosmico. Sotto di loro si trova il confine con l’universo, diviso anch’esso in forma ternaria. Il potere che mantiene unito il cosmo prevenendo la sua disintegrazione procede dalle synokheis attraverso il potere delle iynges. I teletarchi accompagnano le anime all’oltremondo, al seno di Ecate, l’Anima universale. Le anime possono giungere ad Ecate se nella loro parte attiva si trovano le tre componenti della fede, verità e amore. Le funzioni dell’anima possono quindi trovarsi in equilibrio con la fonte originaria dell’essere, del vivere (potenza) e del conoscere (intelletto).
Le anime, quando viaggiano verso terra per l’incarnazione, attraversano i cieli e si ricoprono di sottili strati che costituiscono un involucro dell’anima, chiamato veicolo (ochema). Questo veicolo è completamente formato ancora prima dell’incontro dell’anima con il corpo. Nel politeismo dei primi secoli si accettava l’esistenza dell’ochema, che era alla base di molte pratiche teurgiche importanti. Chi voleva apprendere a viaggiare fuori dal proprio corpo doveva padroneggiare l’arte del viaggio astrale sul proprio veicolo psichico. Questa pratica teurgica viene utilizzata ancora oggi.
L’aiuto del teurgo procede, secondo gli Oracoli Caldaici, dalla dea Ecate, che ricopre un ruolo centrale negli oracoli scritti da Giuliano, grazie ai quali Ecate venne nei secoli avvenire considerata anche la dea della magia e della stregoneria. In realtà, la figlia di Giove e Demetra è molto più di questo. Ecate è la personificazione dell’Anima Mundi, l’anima cosmica che tutto avvolge e che tutto alimenta con la preziosa vita. Lei è l’intermediaria tra il Silenzio, il Dio totalmente trascendente, che dimora nella regione ipercosmica oltre il mondo, e il cosmo stesso.
Ecate, la grande madre, è vergine e feconda. La sua testa si trova nel più in là unitariamente, dove contiene tutta la verità archetipica, tutte le idee o le forme che procedono dall’intelletto paterno come frutto dell’autocontemplazione. Ma le sue mani si trovano nel più in là dualmente, dove agisce l’intelletto agente e demiurgico, vitalizzato dalla Dea. Da qui appare chiaro che Ecate è la dea della vita, fonte della vita cosmica e ipercosmica.
Il messaggio degli Oracoli Caldaici è tanto potente quanto universale. Ancora oggi è sconcertante come la divinità della diade si sia manifestata in luoghi differenti del mondo. Ecate, la dea che fa procedere la vita dall’Uno al cosmo e che innalza il teurgo attraverso la magia, si è rivelata in India come Śakti, l’Energia divina personificata, colei che vivifica continuamente l’intero universo e che apre le porte del misticismo a chi pratica il tantra e la via della mano sinistra.
Chiudiamo quest’omaggio agli Oracoli Caldaici con “l’inno a Ecate e Giano” di Proclo il santo. I ragionamenti filosofici seguiranno nei prossimi articoli. In questo, lasciamo che il Fior dell’intuire ci ispiri verità ineffabili.
Ad Ecate e a Giano
Salve, o Madre degli Dei, dai molti nomi, dalla bella prole;
salve, o Ecate, custode delle porte, di gran potenza;
ma anche a Te salve, o Giano, progenitore, Giove imperituro;
salve Giove supremo;
rendete luminoso il cammino della mia vita,
colmo di beni, stornate i funesti morbi
dalle mie membra, e l’anima, che sulla terra delira,
traete in alto, purificata dalle iniziazioni che risvegliano la mente.
Vi supplico, tendetemi la mano, e le divine vie
mostratemi, ché le desidero; la luce preziosissima io voglio mirare,
onde m’è dato fuggire la turpitudine della fosca generazione.
Vi supplico, porgetemi la mano, e con i vostri soffi
me travagliato sospingete nel porto della pietà.
Salve, o madre degli Dei, dai molti nomi, dalla bella prole;
salve, o Ecate, custode delle porte, di gran potenza; ma anche a Te
salve, o Giano, progenitore, Giove imperituro; salve Giove supremo.
Mario Basile