Il M.T.R. celebra la ricorrenza del Solstizio come di consueto, con un consolidato rituale comunitario.
Mercoledì 21 dicembre, infatti, quest’anno alle 22.44, si consuma astronomicamente il Solstizio d’inverno in quanto il Sole, nel suo moto meridionale apparente nelle costellazioni dello zodiaco, raggiunge la massima distanza rispetto al piano dell’equatore terrestre e il massimo rimpicciolimento.
Da questo giorno, però, il sole smette di muoversi verso sud, si ferma e, sempre apparentemente, non cambia la propria posizione per tre giorni.
Il 25 dicembre poi, si muove e si sposta di un grado verso nord.
Si consideri che, già dalla mezzanotte del 24, nel cielo meridionale brilla Sirio e alla sua destra, in alto, si stagliano i “tre re”, gli astri della cintura di Orione.
Queste quattro stelle, perfettamente allineate, ci indicano quella parte del cielo in cui sorgerà il sole, la mattina del 25.
Da allora le giornate ricominciano ad allungarsi, prospettando più luce, più calore, più vita.
Il Sol Invictus dunque risorge, portando germogli di nuova vita alla futura primavera dell’eterno ritorno.
Come noto, a Roma il 21 dicembre (giorno della reale sincronia astrale) si festeggiavano gli Angeronalia/Divalia, in onore della dea Angerona, il nume del silenzio – custode del segreto inviolato del Nume/Nome di Roma – che permetteva gli attraversamenti negli stretti passaggi e che (per Macrobio) “liberava con la forza del pensiero silente la luce solare dalla sue angustie” .
Il 25 invece (quando il solstizio si rende visibile alla lati-longitudine di Roma) si celebrava la ricorrenza del “Sole invincibile”, istituita dal 274 dall’Imperatore Aureliano (complice il mitraismo). La festa si teneva in due momenti: il 23, assorbendo i Brumaia (contrazione di brevima-die) per ricordare la posa della prima pietra del Tempio del Sole e il 25, per solennizzare il momento in cui i giorni cominciano di nuovo ad allungarsi.
Una serie, dunque, di celebrazioni concatenate e dal grande significato sacro di trionfo della luce sulle tenebre.
Le feste solstiziali in Italia, tuttavia, avevano già una loro storia prima di Roma.
Diversi sono i calendari in pietra che risalgono alla tarda età del bronzo, costruiti con le stesse tecniche d’osservazione di Stonehenge, che consentivano di traguardare i fenomeni astronomici attraverso punti di mira. Basti pensare alla tracce megalitiche nelle Piccole Dolomiti lucane, a quelle della Valle del Belice in Sicilia o a quelle pugliesi o calabre. In Lucania nel parco di Gallipoli Cognato un affioramento naturale di pietra modificata, sovrapponendo una lastra ad una spaccatura naturale della roccia, crea una galleria che permette di osservare il sole al tramonto del solstizio d’inverno. Lo stesso giorno, e solo in quello, a mezzogiorno il sole appare dallo stesso punto di osservazione in una piccola fenditura artificiale a sinistra della galleria, dando l’avviso del fenomeno che si verificherà al tramonto. Anche sul monte Stella nel Cilento c’è un calendario simile: si chiama Preta ru Mulacchio (in cilentano “pietra del figlio illegittimo” perché associato alla fertilità). Il complesso è stato frequentato fino a ieri: le donne passavano nella galleria perché la roccia illuminata dal sole era ritenuta capace di fecondare. Altri megaliti si trovano in Sicilia nel Belice: risalgono al 1700 e.v. e sono grandi lastre triangolari che servono a osservare la posizione il sole ai solstizi d’inverno e d’estate. In Puglia, a Trinitapoli, ci sono buche scavate nella roccia allineate con la direzione del sole sempre nei solstizi. Per non parlare, infine, del sito megalitico del Bosco Stilo in Calabria o delle misteriose tre piramidi sepolte di Montevecchia, a Lecco, allineate con i solstizi e con la costellazione di Orione.
La Redazione