Il Movimento Tradizionale Romano ha celebrato con un serrato programma di iniziative i 2766 anni dalla Fondazione di Roma.
La giornata è iniziata la mattina presto con il tradizionale saluto alle vestigia dei Fori. Accompagnati dall’archeologa Marina Simeone, i sodali del Movimento hanno potuto approfondire, in diverse tappe ragionate, la sacralità dei luoghi e le più recenti scoperte che ci consegnano, ad esempio, una stretta relazione non solo archeologica tra il Lupercale e la sovrastante basilica di S. Anastasia (ove, non a caso, l’imperatore Costantino celebrò il primo Natale cristiano), che ci restituiscono la magnificenza del tempio di Romolo, voluto da Massenzio, e ci confermano la centralità del tempio di Vesta, inserito nella prima Regia di Numa. La visita ha visto anche gli omaggi floreali del M.T.R. al grande archeologo Giacomo Boni, all’ara del Divo Cesare e all’Aguraculum sull’Arx.
A seguire, il Movimento ha celebrato nella propria sede, nell’area consacrata, il rito a Pale e alla Dea Roma.
Dopo il tradizionale banchetto rituale si è tenuto l’incontro clou della giornata: la conferenza del filosofo Giandomenico Casalino che verteva su “L’’Universale significato spirituale della Romanità”. Si è trattato di un appuntamento molto atteso e partecipato che ha visto il noto scrittore tradizionalista leccese, presentato e introdotto dal nostro sodale Pietro Rosetti, presente anche il rappresentante di Fons Perennis Gabriele Pezzano, lanciarsi con il consueto e coinvolgente trasposto in un’analisi sull’essenza della Romanità. Partito da lontano e coniugando filosofia hegeliana, platonismo ed ermetismo, l’autore del “Nome segreto di Roma” è riuscito nella non facile sintesi di trasferirci il nucleo dell’Aeternitas Romae, conferendo così un significato spirituale e non solo cerimoniale alla celebrazione della giornata.
Le cifre di questa essenza sono racchiuse nella parola “Universalità” – da unus versus, capacità di attrazione verso l’Unità, verso l’Intero, che è quindi il Vero; nel verbo “Coagula” – fortissima levatura nel cementare genti diverse su un unico, grande, progetto di vita che accolse imperatori africani e arabi, eserciti sarmati e germani pronti a morire nel nome di Roma (“in quale altra civiltà è mai successo?”); nel concetto di ammodernare nella tradizione – maestria cioè nell’accogliere il nuovo incorniciandolo istituzionalmente nel mos maiorum e nel patto con gli Dei ; infine, nella consapevolezza che l’assetto cui ha dato vita è il meglio che si possa avere sulla terra ad immagine della Città divina di Juppiter.
L’Urbe arrivò a queste vette grazie alla cultura indoeuropea dell’azione, al perenne rifiuto del dualismo (che fu invece la forza del Cristianesimo) ed alla sua padronanza ed esperienza nel relazionarsi con l’oltre natura, col metafisico, senza scindere soggetto vedente e realtà veduta.
Tutto questo oggi Roma ci consegna (“è questo il vero messaggio del 21 aprile”) e ci chiede di vivificare. Sta a noi capirlo. Scavallato il dualismo cristiano e giunti all’abisso dell’io assoluto che non cerca più neppure l’immanifesto e pensa “nient’altro oltre il sé” , è evidente il rischio di trascinamento inconsapevole nella corrente del “Solve” senza ritorno (“ben foraggiata dai poteri forti del Mondialismo”).
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